L'INIZIAZIONE (seconda parte)
by TheDominusNoctisПосмотрели: 371 раз Комментарии 3 Date: 21-02-2023 Язык:
Seconda Parte.
Che sensazione! Una sensazione di disagio che piano, piano si trasformava in uno stato di piacere. Un piacere intenso che si stava insinuando in un vortice di piacere che aveva come origini una zona ben precisa dietro le mie labbra. Labbra che libere come al vento della trasgressione ora sentivo umide.
Presi la coulotte e, cercai, di indossarla non pensando più che Alfredo potesse vedere le mie intimità.
Solo pochi mesi se avessi immaginato cosa stavo facendo ora, non ci avrei credo e non avrei mai potuto farlo, eseguirlo ma nemmeno pensarlo.
Con una movenza che adesso mi apparteneva, dopo aver valutato l’ingombro dell’auto, indossai la mutandine.
Cercai di sistemarla e, come se fosse naturale mi trovai a sfiorare le mie labbra. Un brivido caldo mi trafisse la schiena e termino nella “valle” che é contenuta tra le due natiche e che scendendo porta in quesi due dolci orifizi…
Mi scoprivo eccitata. Mi scoprivo e volevo essere squaldrina, porca, puttana, troia… mi scoprivo donna che voleva provare quelle perversioni che da qualche mese volevo provare.
Emozioni realmente forti che superavano quella intensità sessuale che pur cercavo, ma che ora era subalterna ad una mente sempre e perennemente eccitata e trafitta da emozioni forti.
Mi toccavo voluttuosamente sentendo che le labbra si aprivano e lasciavano spazio ad un dito, il mio che cercava trovandolo il clitoride già duro.
Mi stavo mastrurbando in macchina di uno sconosciuto con uno sconosciuto che mi stava guardando.
Cercavo di bloccare quella sensazione di piacere che di li a poco sarebbe uscita dalla bocca. Una bocca che voleva assaporare le labbra del suo Signore. Voleva sentire le sue dita entrare nella bocca e sentire le sue falangi piene della mia saliva, della mia famelica fame di donna.
Non potevo continuare cosi o sarei venuta. Non potevo continuare cosi o avrei certo anche i presupposti per essere violentata da quell’uomo che sicuramente, tranne se non aveva avuto ordine contrario, di lasciami sfogare nella mia passionale trasgressività di femmina.
Mi fermai con mio sommo dispiacere.
Dovevo continuare la vestizione.
Presi le autoreggenti e aprii la confezione. Ne tirai fuori la prima e cercai di trovare la posizione giusta, corretta, più comoda per indossarle.
Non avevo mai provato una cosa simili in auto, ma ci riuscii benissimo.
La sensazione del nylon sulla pelle mi dava una sensazione di benessere che, prima di conoscere il Dottore, non avevo mai scoperto appieno. Aggiustai la balza e mi sentii scrutata, osservata!
Alfredo si stava godendo lo spettacolo che questa donna che le stava regalando. Non mi preoccupai più di tanto. Avevo scoperto che lo sguardo di un uomo invece di bloccarmi o infastidirmi mi stava portando ad una eccitazione diversa. Diversa perchè sai che qualcuno ti guarda, ti ammira, sbava e sarebbe pronto ad uscire il suo attrezzo per masturbarsi, ma non può farlo!
Abbassi lo sguardo, dopo aver incrociato i suoi occhi nello specchietto, e presi l’altra calza. Con nonchalance l’indossai e mi massaggia le cosce. Mi piaceva essere al centro delle attenzioni e sentirmi desiderata. Ma di un desiderio diverso; di colui che non può toccarti.
Perchè avevo compreso, o meglio credevo, che Alfredo era li solo per condurmi dal mio Lui e quindi non poteva approfittare di me. Il mio Dottore non avrebbe concesso la sua apprendista da altra persona prima di averla fatta sua nei modi e nei tempi che egli riteneva più giusti.
Ero come una spogliarellista che faceva vedere le sue grazie a persone sconosciute. Ma mentre quelle donne svolgono quella professione e, immagino siano abituate ad avere indosso gli occhi fateli e vocali di tanti uomini, io non ero abituata e comunque ci stavo provando piacere.
Un piacere che se non fossi stata paga avrei continuando mastrurbamdomi violentemente e inserendo nella mia natura qualcosa che poteva sostituire, male, il membro di un uomo.
Sentivo di essere troia. Questa sensazione mi piaceva.
Ora, dopo aver indossato gli slip e gli autoreggenti, dovevo indossare anche il reggiseno. Pensai…”Ora, in un modo o nell’altro, devo scoprire il seno e comunque anche se eccitata, da quella situazione inusuale, non mi andava di farmi vedere ad Alfredo”.
Però dovevo farlo. Il mio maestro vuole vedermi con quella biancheria intima e non volevo deluderlo. Mentre pensavo questo Alfredo si sposto, con il busto, sulla destra e dal posto del passeggero estrasse una busta e cerco di consegnarmela.
“Signora, indossi anche queste”.
Avvicinai la mia mano alla mano di Alfredo e presi in consegna questa busta. La appoggiai sul divanetto posteriore dell’auto dove ero seduta e scrutai nella busta: erano delle scarpe.
Adoro le scarpe e il mio padrone adora vederle indossate. Con una frenesia quasi anormale estrassi la scatola e apri il coperchio.
Erano un paio di Dress Sling col tacco dieci e con Plateau . Rigorosamente di vernice nera, lucida scintillante. Belle, non bellissime ma decisamente affascinanti.
Tolsi le mie, le riposi nella scatola e con movenze delicate indossai la prima e poi la seconda. Erano nuove e quindi inizialmente mi avrebbero fatto male. Ma pensai subito che anche questo particolare era stato studiato.
“Provocare dolore per poi sentire piacere”.
Questa frase comparve nella mia mente oramai in preda ad una serie di emozioni contrastanti che, se da una parte mi eccitavano, dall’altra mi rendevano nervosa per cio che poteva accadere.
D’un tratto Alfredo, alzando gli occhi dalla strada per rivolgermi il suo sguardo compiaciuto dallo specchietto retrovisore, mi disse: “Signora, la prego di completare la sua vestizione. A breve siamo arrivati”.
Ero in trance. Il culetto freddo sul sedile dell’auto mi dava una sensazione di freschezza e di piacere, la natura umida e calda mi faceva sentire in imbarazzo ma anche quella sensazione di trasgressione che il mio signore mi aveva insegnato ad apprezzare e quell’uomo sconosciuto che mi stava osservando dallo specchietto dell’auto.
Non potevo più tardare. Abbassai le spalline dell’abito che avevo e cercando di coprirmi il più possibile slaccia il reggiseno e, un pochino goffamente, rimasi con il seno scoperto. Pochi istanti. Il tempo di prendere il nuovo indumento e l’indossai. Era un reggiseno a balconcino che slanciava il mio décolleté.
Velocemente mi ricomposi alzandomi le spalline dell’abito e mi sistemai meglio sul divanetto dell’auto.
Caldo. Fuori faceva caldo.
A breve anch’io avrei sentito quelle folate calde sulla mia pelle sulle mie gambe. Le gambe che ora erano fasciate da un nylon che se da una parte mi piaceva, mi consegnava un look molto intrigante, dall’altra mi immaginavo avrebbero dato quel fastidio tipico del sudore sulle calze.
Ma anche questa sensazione era voluta sicuramente dal mio signore. Un signore che mi conosceva sin troppo bene e che nelle nostre chiacchierate telefoniche aveva abusato di me: della mia anima e del mio corpo… anche se a distanza.
Un abuso che mi ero autoinflitta sotto la costrizione vocale del mio Lui. Un abuso che inizialmente non capivo, ma che poi avevo apprezzato e, di volta in volta, non vedevo l’ora che Giuseppe mi chiamasse e mi ordinasse qualcosa.
Nei bagni, nell’auto mentre guidavo, a casa, in ufficio, di notte, di giorno. Le ore, i momenti, le abitudini erano state spazzate via dalla sua voce che mi entrava dentro e non voleva andarsene. Non volevo che se ne andasse!
Quell’abuso dolce e delicato, che tanto amavo, contrastava con quello forte e deciso! Due modi, due emozioni, due situazioni diverse.
Amavo abusare di me stessa!
Al termine mi sentivo svuotata nel corpo, nella mente e nella intimità che sentivo il padrone violare ogni volta… al telefono!
Una volta avevo abusato di me mentre ero in auto e, ferma al semaforo, una donna mi guardava, immaginando cosa facessi con l’altra mano, tra lo stupito e lo sconcertato! Stavo abusando violentemente dentro di me! Al telefono, con l’auricolare, avevo il mio signore e lo sguardo diretto verso quella donna sull’altra auto.
D’un tratto mentre scattava il rosso e ripartiva, viddi il suo labiale: “Puttana!”.
Mi aveva dato della puttana! Non sapevo chi ero, cosa realmente stessi facendo, ma ero stata etichettata come una prostituta!
La cosa all’inizio mi colpì. Sentivo che forse ero stata troppo diretta nel guardala negli occhi e farle capire che stavo con la mia mano nella natura. Ma era stato un ordine del mio signore. Potevo negarmi. Potevo negare al mio signore quella mia voce che raccontava le mie sensazioni e come e cosa la mia mano stava facendo in quella natura calda che, ad essere sincera, voleva qualcosa di più delle mie dita!
Questo pensiero durò lo spazio di un battito d’ali e poi, poco dopo, mi sali una eccitazione e volevo farlo nuovamente. Trovare un’altra donna ferma al semaforo e abusare di me ancora più violentemente di prima lanciando sguardo di sfida.
Volevo, questa volta, sentire la voce di una sconosciuta etichettami come “Puttana”!
Quante sensazioni nuove, diverse, emozionanti e stimolanti avevo iniziato a provare da quando avevo voluto seguire questo master, questo uomo, questo ignoto essere umano che ormai mi faceva fare tutto ciò che voleva. Ed io, come una cagnolino addestrata e ammaestrata, facevo senza batteri ciglio o contraddirlo.
Freddo.
Freddo aveva il mio sedere che nell’auto con Alfredo stavano percorrendo le strade verso una meta. Ma quale metà?
I pensieri si avvinghiavano dentro me come l’edera attecchisce e si avvinghia a tutto ciò che trova sul suo cammino.
Pensieri. Caldo benevolo nella natura ancora vorace di essere seviziata da qualcosa e da qualcuno e freddo dei glutei su quel sedile dell’auto.
Due opposti che si attraggono!
Due opposti che… non feci in tempo ad associare compiutamente questo pensiero che viddi l’auto rallentare e fermarsi.
Alfredo si giro verso di me. Alzo lo sguardo. “Signora, siamo giunti al luogo dove mi è stato ordinato di condurla.
La prego di attendere un attimo che le avrò la portiera.
“No, Alfredo. Non si scomodi, faccio io.”
“La prego di attendere in auto.!” Il suo tono era diventato perentorio. Non volevo contraddirlo, quindi annui e attesi che Alfredo spegnesse il motore, si levasse la cintura di sicurezza e aprisse la sua portiera. Mentre in posizione eretta, fuori dall’auto dal suo lato, chiudeva la portiera per fare il giro del mezzo, notai che aveva la patta dei pantaloni bagnata!
Era venuto? Era venuto guardando lo spettacolo che avevo dato nella vestizione? Oppure era venuto mentre stavo abusando di me?
Ricordai d’un tratto il mio padrone che mi diceva… “Immagina la reazioni di chi, ferma in auto al semaforo, intravede che la tua mano sta controllando in modo frenetico la tua fica. Immagina cosa può pensare, cosa può dire e come il suo corpo può rispondere. Chiediti se a sua volta avrà la voglia di mastrubarsi, se i suoi umori bagneranno il sedile, se avrà voglia di insultarti o se semplicemente ti considerare pazza. Chiediti cosa potrà fare la spettatrice che ti vede, ti immagina…”
Ora in auto mentre aspettavo Alfredo mi chiedevo… mi ponevo domande che non avevo risposta se non pensare che avrei aspettato che l’uno mi aprisse la portiera ed io, cogliendo all’improvviso, avrei cercato di abbassare la cerniera e vedere come stava il suo cazzo. Mentre con l’altra mano spostavo lo slip e mi frugavo in quella natura già abbondantemente umida e pronta per essere penetrata da un membro deciso!
Pensieri, eccitazioni, propositi, sogni che solo due mesi fa avrei bollato come depravata e senza coscienza!
Ed ora li con uno sconosciuto stavo facendo mentre attendevo di recarmi da un’altro sconosciuto che, oramai, mi aveva strada con i suoi modi e che dipendevo completamente da lui!
Ero una puttana come mi aveva etichettato quella donna al semaforo? Ero una troia come io stesso avevo più volte detto al telefono sotto l’effetto della eccitazione?
Oppure ero la solita persona di sempre che aveva scoperto il piacere della trasgressione, della perversione?
Ero semplicemente Anna!
Alfredo aveva fatto il giro dell’auto ed era giunta dalla mia parte. Nell’aprire lo sportello aveva fatto in modo da nascondere il suo “problema” eiaculativo dietro la portiera stessa. Si vedeva che era imbarazzatissimo.
Poggiai il piede fasciato da quella scarpa cosi “appariscente” in quella giornata afosa sull’asfalto bollente, poi l’altra e mi eressi accanto al mezzo che sino a poco tempo prima aveva preservato la mia eccitazione tra quattro lamiere fredde!
“Grazie Alfredo per la sua cortesia. Mi dica, per favore, ora dove devo recarmi?”.
L’uomo ancora più in imbarazzo perché non poteva, completamente, nascondere la sua situazione con un filo di voci rispose… “Signora, si diriga verso quel portone e suoni al secondo campanello a destra partendo dal basso. La saluto Signora, è stato un piacere. Arrivederci”.
Chiuse la portiera dell’auto. Si girò su se stesso e fece nuovamente il giro del mezzo per riaccomodarsi nel mezzo. Non parti subito, ma controllò attentamente che eseguissi il suo invito a suonare il campanello ed entrare in quell’elegante portone; struttura che delimitata delle abitazioni che, immaginai, esclusive o uffici, studi o chissà cos’altro.
Mentre Alfredo si stava rimettendo in auto avevo già raggiunto l’impianto citofonino che, notavo, era dotato di telecamera.
Mi sentivo alquanto in imbarazzo con quell’abbigliamento cosi fuori luogo, anzi fuori stagione visto l’eterno caldo afoso che oramai l’aria faceva sentire addosso.
Suonai mentre sentivo il caldo cingermi le gambe!
“Chi è?” Sentii uscire una voce di donna dalla grata dove si trovava l’altoparlante dell’impianto di videocitofonia.
“Sono la Signora Anna.” Risposi trafelata e timorosa.
“Era attesa. Prenda l’ascensore A e spinga il tasto 2. La prima porta a destra dopo l’uscita dall’ascensore”.
Un rumore sordo fece scattare l’apertura del portone. Spinsi la struttura vetrata ed entrai varcando l’uscio.
Faceva caldo! Ma di un caldo che sentivo sin troppo. Era tensione, era timore, era malcelata eccitazione da una serie di situazioni mai provate prima.
Faceva caldo!
Entrata, mi girai verso l’auto e con un cenno salutai l’occupante che ricambio con un gesto della testa e, acceso il more, parti lentamente verso…
Verso un luogo che non immaginavo. Ma dovevo concentrami su di me, su dove mi stavo recando. Segui il corridoio e i mie passi, con quelle scarpe, si udivano quasi in un frastuono ritmico tribale.
Volevo non fare troppo baccano, ma quelle calzature non mi permettevano di essere discreta!
Raggiunta la porta dell’ascensore spinsi il pulsante e si aprii. Una luce quasi accecante e uno specchio, che rifletteva quasi nella sua completezza la mia figura, mi accolsero.
Il tempo di capire dove era la pulsantiera tra luci e display di luce azzurrognola e pigia.
Si chiusero le porte! Mi aggiustai il vestitino cercando di darmi un contengo dopo che qualche decina di minuti prima mi stavo masturbano in auto.
Un attimo, un pensiero, un sogno, una incognita, una emozione e sobbalzai leggermente: ero giunta al secondo piano.
La porta si apri lasciandomi vedere un corridoio non troppo lungo ma con diverse porte. La prima a destra! La prima a destra aveva detto quella voce femminile e senza nessun accento dall’altoparlante dell’impianto videocifonico.
Feci un passo in avanti e mi trovai nel corridoio. Con la testa mi guardai interno e identifica “la prima porta a destra”. Era lei!
Dove mi avrebbe condotta quella porta? Quali altri stati emozionali avrei provato? Avrei incontrato il mio maestro?
Cercando di fare meno rumore possibile, con quelle scarpe che ora mi davano qualche fastidio alla pianta del piede perchè nuove, mi avvicinai alla porta e suoni un pulsante privo di indicazioni.
Pochi secondi di attesa interminabile dove sentivo il mio cuore battere all’impazzata!
Pochi secondi per aprire la porta che mi conduceva verso l’ignoto!
Pochi secondi per immaginare cosa mi sarebbe accaduto!
Pochi secondi e…
La porta si aprii e verso di me si stagliò la figura di una donna; bruna, un metro e sessanta circa, occhi scuri e un vestitino grigio molto attillato che lasciava vedere una silhouette che ad ogni uomo avrebbe fatto girare la testa.
“Signora Anna, la prego si accomodi”.
Si spostò lasciandomi vedere un grande ambiente dove regnava la luce che entrava nella stanza e dove due grandi divani di pelle facevano bella figura di se in un ambiente molto minimalista.
“Grazie”.
Entrai lasciandomi dietri di me quella donna. Ma subito dopo mi fermai e attesi dove andare. La porta dietro di me si chiuse con un piccolo tonfo sordo!
Come la porta si chiudeva dietro di me anche il mio passato si era chiuso dietro le mie paure, timori e emozioni recluse e strozzate da una condizione vecchia e stantia!
Ero entrata in un mondo nuovo che volevo esplorare, valutare, godere e appropriarmi come ci si appropria della propria vita quanto da ragazzi si diventa adulti!
“Prego, si accomodi sul divano. Tra un attimo arrivo da lei”.
Feci qualche passo, salii su di un tappeto che dava di antico nella sua foggia, ma che emana un odore di sandalo molto tende e rassicurante.
Arrivata al divano mi aggiustai il vestitino e mi sedetti sulla seduta. Accavallai le gambe notando che quelle scarpe mi donavano più di quello che avessi immaginato.
Ero dubbiosa sulle scarpe, sulla colore e su quell’effetto molto lucido! Ma forse mi sbagliavo o forse vedevo il tutto sotto una nuova prospettiva.
Una prospettiva che guardava al piacere di farmi notare, vedere, spogliare con gli occhi e godere del piacere altrui e non solo quello personale.
Un rumore di tacchi preannuncio l’arrivo della donna che mi aveva aperto la porta e che, nel frattempo, era sparita in una stanza non visibile dalla mia posizione visiva.
“Ecco a lei Anna. Possiamo darci del tu?”
“Certo”. Risposi facendo anche un breve cenno della testa.
“Perfetto Anna.
Allora… mio chiamo Francesca e sono qui per aiutarla”. Rispose la donna che nel frattempo si era seduta sulla seduta del divano posizionato di fronte a me.
“Aiutarla per cosa?”. Questa fu la mia prima domanda che usci dalla bocca.
“Non si preoccupi. Tutto le sarà detto… a tempo debito. Dimmi Anna… hai indossato i capi d’intimo che ti sono stati consegnati.”.
“Si, certo”. Risposi perentoriamente mentre nella mia mente si insinuavano mille domande che non avevano senso o che pensavo non avessero senso!
“Perfetto. Ti posso chiedere di alzarti in piedi?”
Una richiesta che non capivo, ma senza dare una risposta e senza un senso di assenso o diniego mi alzai.
“Grazie Anna. Sei molto gentile. Non essere timorosa e non avere paura. Cerca di metterti a tuo agio. Tu sei la prescelta!”.
Con quella affermazione apri il suo viso curato e truccato in modo molto sobrio, ma ricercato, ad un sorriso.
Si alzo e si mise di fonte a me!
Due donne l’una difronte all’altra.
Si avvicino. Fece due passi per avvicinarsi quasi a sfiorarmi e, con estrema naturalezza, si accovaccio.
Rimasi stupida. La guardavo dall’alto verso il basso.
Cosa significava quel gesto? Lei chi era? Cosa dovevo fare? Perché ero la prescelta?
Domande, quesiti, interrogativi che mi balenavano la mente; una mente già piena di emozioni che si rincorrevano in modo asincrono come le foglie preda del vento in una tempesta!
Le mani di Francesca, che erano appoggiate a terra per sorreggersi, si alzarono e raggiungere le caviglie.
Un leggero tremito, un lieve fremito, un accenno di tensione scese dalla schiena sino a lambire i glutei.
Un groppo alla gola mi fece deglutire rumorosamente e un passo indietro mi allontanò dalle mani della donna.
“Anna, non avere paura. Riprendi la posizione. Non ti preoccupare. Pensa solo che questo è ciò che vuole il tuo signore”.
Ero tremendamente nervosa e non sapevo che cosa fare, come comportarsi, come reagire a queste che sembravano della avance sessuali di una donna.
Francesca mi guardo con aria rassicurate e mi face un cenno della testa come per confortarmi.
Tentennai.
Ma poi ripresi forza e feci un passo avanti e mi riposizionai nell’esatto punto dove ero e dove la donna mi aveva toccato.
Ma poi toccato cosa? Le caviglie? Non mi ero svegliata da quel letargo catartico sessuale in cui le emozioni si provano prescindendo dalla fonte?
Francesca poso nuovamente le mani su di me. Sulle caviglie sentivo il calore di quella donna che mi accarezzava voluttuosamente quella parte di me.
Mi stavo sciogliendo.
La tensione stava lasciando il posto ad una sensazione che forse poteva sfociare in una sensazione di piacere?
Le sue mani continuavano una sorta di massaggio che non era erotico, ma che lasciava forse presagire altro.
Una domanda che ebbe subito, o quasi immediatamente, una risposta.
Le delicate e affusolate mani della donna avevano lasciato il tepore delle caviglie per salire sino alle ginocchia. In modo voluttuoso e dolcemente femminile mi stava massaggiando le gambe donandomi un piace forse inaspettato e gradevole.
Di quella emozionalità che da quando avevo incontrato Giuseppe provavo continuamente e nelle varie occasioni che lui mi ordinava, consigliava.
Le mani della donna, di questa persona sconosciuta come era stato poco prima Alfredo, salirono dal ginocchio si su per le cosce andando a lambire la balza della calza.
Fine Seconda Parte