STORY TITLE: Contest di cuccioli 
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STORY

Contest di cuccioli

by SchiavoPadronaSilvia
Viewed: 65 times Comments 0 Date: 25-08-2025 Language: Language

Questo racconto è ispirato ad un contest vero a cui ho partecipato con la mia padrona solo leggermente romanzato per renderlo più accattivante. Se avete domande e curiosità sull'evento vero, chiedete senza vergogna e sarò felice di rispondere ad ogni vostra curiosità, anche la più scabrosa e intima.

Il sole pomeridiano filtrava tra le fronde degli alberi, disegnando macchie dorate sull’erba alta del prato dove era stato allestito il contest. Una trentina di spettatori, alcuni seduti su vecchie panche di legno, altri in piedi con bicchieri di vino in mano, formavano un cerchio irregolare intorno all’area centrale. L’aria profumava di terra umida e sudore, mescolata al dolce sentore dei campi circostanti. Al centro, un palchetto di legno grezzo fungeva da palco per il presentatore, un uomo sulla cinquantina con una voce roca che sembrava fatta apposta per comandare. Indossava solo un paio di pantaloni di pelle attillati, il torace glabro e lucido di olio, e teneva in mano un frustino che faceva scattare ogni tanto contro la coscia, producendo un crack secco che faceva sobbalzare qualcuno tra il pubblico.
Antonino era in ginocchio sull’erba, le mani appoggiate sulle cosce, la schiena dritta nonostante il tremore quasi impercettibile che gli percorreva le spalle. Il collare di cuoio nero gli stringeva la gola, freddo contro la pelle sudaticcia, mentre il guinzaglio pendeva mollemente tra le dita della sua padrona, una donna alta con i capelli raccolti in una crocchia severa e un corsetto di latex che le modellava il busto come una seconda pelle. Non portava altro: niente slip, niente scarpe, solo quel collare e la consapevolezza di essere esposto, vulnerabile, proprietà. Il suo cazzo, già mezzo duro per l’adrenalina, pendeva pesante tra le gambe, le palle strette contro il corpo. Respirava a fondo, cercando di calmare il battito martellante nel petto. Non era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, ma c’era qualcosa in quell’atmosfera rurale, in quel misto di curiosità e lussuria negli sguardi degli spettatori, che lo faceva sentire più nudo che mai.
«Pronti, cuccioli?» La voce del presentatore risuonò nel silenzio carico di attesa. «Prima prova: Passeggiata tra la folla. Ogni padrona guiderà il suo animale tra il pubblico. Chi di voi, cari spettatori, vorrà accarezzare, palpare o… stimolare i nostri concorrenti, è libero di farlo. Ricordate: sono bestie addestrate, non hanno diritto al pudore.» Una risatina collettiva percorse la piccola folla, seguita da qualche fischio di approvazione. Antonino sentì le dita della padrona stringersi attorno al guinzaglio, tirandolo leggermente in avanti. «A quattro zampe, cane,» gli ordinò lei, la voce bassa ma tagliente come una lama. Non c’era bisogno di ripeterlo. Con un sospiro tremante, abbassò le mani a terra, inarcando la schiena fino a quando le ginocchia non toccarono l’erba umida. La posizione lo costrinse ad allargare le cosce, esponendo ancora di più il suo corpo: il culo sodo e pallido rivolto verso l’alto, le palle che oscillavano leggermente ad ogni movimento, il cazzo che ora cominciava a inturgidirsi del tutto, la punta già lucida di presborra.
Il primo passo fu il più difficile. Si mosse in avanti, le mani che affondavano nell’erba fresca, le ginocchia che scricchiolavano leggermente. Il guinzaglio si tese, e lui sentì il collare premere contro la trachea, ricordandogli il suo posto. Il pubblico si aprì per lasciarlo passare, ma non si tirò indietro. Mani sconosciute si allungarono verso di lui non appena fu abbastanza vicino. Una donna con le unghie laccate di rosso gli accarezzò la schiena, seguendo la linea della spina dorsale fino al solco tra le natiche, dove si fermò a massaggiare con le dita in cerchi lenti. «Che bel cucciolo obbediente…» mormorò, e lui sentì il calore salirgli alle guance, mescolato a un brivido di eccitazione che gli fece contrarre l’ano. Un uomo, più avanti, non ebbe tanta delicatezza: gli afferrò il cazzo alla base, strizzandolo con forza prima di passare il pollice sulla fessura umida dell’uretra. Antonino gemette, la bocca semiaperta, la saliva che cominciava a colargli sul mento. Non poteva reagire, non poteva ritirarsi. Era proprietà. Era preda.
La padrona lo guidava con sicurezza, lasciando che le mani del pubblico lo esplorassero senza sosta. Qualcuno gli tirò i capelli, costringendolo a sollevare la testa e a mostrare il viso contratto dal piacere e dall’umiliazione. Altri gli pizzicarono i capezzoli, già duri per l’eccitazione, o gli passarono le dita tra le natiche, sfiorando il buco stretto che si contraeva istintivamente. Una mano grassoccia gli avvolse le palle, pesandole come frutta al mercato, mentre un’altra gli infilò due dita in bocca, costringendolo a succhiarle come se fossero un cazzo. Lui ubbidì, la lingua che si avvolgeva attorno alle falangi, gli occhi che si velavano di lacrime per lo sforzo di non venire lì, in mezzo a tutti. «Bravo, puttana…» sibilò la padrona, dandogli uno strattone al guinzaglio che lo fece barcollare. «Mostra loro quanto ti piace.»
Quando finalmente raggiunsero l’altro lato del cerchio, Antonino era madido di sudore, il cazzo dolorante per l’erezione non sfogata, le labbra gonfie per i morsi e i baci rubati. Si leccò il labbro inferiore, assaporando il sapore salato delle dita altrui, e si accorse che stava tremando. Non era solo l’eccitazione: era qualcosa di più profondo, una specie di fame che gli divorava le viscere, il desiderio di essere usato, posseduto, ridotto a nulla se non carne e gemiti. La padrona si chinò, afferrandogli il mento tra le dita e costringendolo a guardarla. «Ti piace, vero? Essere la loro troietta, il loro giocattolo…» Non era una domanda. Lui annuì, le parole bloccate in gola, e lei rise, un suono freddo e soddisfatto. «Bene. Perché la prossima prova sarà ancora più… intima.»
Il presentatore batté le mani, richiamando l’attenzione. «Seconda prova: Incontro tra cuccioli! I nostri concorrenti si affronteranno a coppie. Ogni cane dovrà leccare il buco del culo e le palle del compagno fino a farlo eccitare. Chi otterrà l’erezione più dura e duratura vincerà il round!» Un coro di esclamazioni eccitate risuonò tra il pubblico. Antonino sentì lo stomaco chiudersi. Conosceva le regole, sapeva cosa lo aspettava, ma ora che il momento era arrivato, una parte di lui voleva scappare, nascondersi. La padrona, però, non gli diede scelta. Lo spinse in avanti, verso il centro del cerchio, dove un altro 

cucciolo

 era già in posizione, a quattro zampe come lui. Era un ragazzo più giovane, magro, con i capelli biondi tagliati corti e un culo piccolo e sodo che tremava leggermente. Anche lui indossava solo il collare, e il suo cazzo, già duro, sporgeva tra le gambe come un’accusa.
«Iniziate» ordinò il presentatore, e Antonino sentì le mani della padrona premere sulla sua nuca, costringendolo ad abbassare la testa. Il ragazzino davanti a lui aveva un odore muschiato, sudore e qualcosa di dolce, come un profumo economico. Le natiche erano lisce, quasi femminee, divise da un solco rosa e stretto che si contraeva nervosamente. Antonino esitò solo un secondo prima di allungare la lingua, tracciando una linea umida dalla base delle palle fino al buco, ancora chiuso ma già leggermente umido. Il ragazzo sobbalzò, emettendo un verso strozzato, e lui sentì un’ondata di potere percorrerlo, mescolata a un senso di colpa che si dissolse non appena la punta della lingua sfiorò la pelle sensibile delle palle, tirate su verso l’inguine. Le leccò una alla volta, rotolando la lingua attorno alla loro forma ovale, assaporando il sapore salato della pelle, il peso che aumentava man mano che il compagno si eccitava.
«Di più» ringhiò la padrona, e Antonino ubbidì. Affondò il viso tra le natiche del ragazzo, la lingua che si faceva strada nel solco, cercando l’ingresso stretto del buco. Lo trovò dopo pochi secondi, e cominciò a lavorarlo con la punta, premendo, ritirandosi, poi premendo di nuovo, fino a quando il muscolo non si rilassò abbastanza da lasciarlo entrare. Il ragazzo gemette, le dita che si conficcavano nell’erba, e Antonino sentì il proprio cazzo pulsare dolorosamente. Non era solo eccitazione: era fame. Voleva sentire quel buco aprirsi per lui, voleva che il compagno si dimenasse, che lo supplicasse. Allungo una mano, afferrando le palle con delicatezza, massaggiandole mentre la lingua si faceva strada sempre più a fondo, il naso schiacciato contro la pelle sudata. Il ragazzo ora ansimava, il cazzo che gocciolava presborra sull’erba, e Antonino sentì un orgoglio perverso montargli dentro. L’ho fatto io. Sono io che lo sto riducendo così.
Ma il gioco era a doppio senso. Mentre lui leccava, sentiva altre lingue su di sé: la sua padrona aveva chiamato un altro concorrente, un uomo più anziano, peloso, con un cazzo grosso e venato che ora strusciava contro la guancia di Antonino mentre una lingua ruvida gli esplorava il solco del culo. Lui gemette contro le natiche del ragazzo, la saliva che gli colava dal mento, il corpo scosso da brividi incontrollabili. Non sapeva più chi stava leccando e chi lo stesse leccando, chi fosse il dominatore e chi il sottomesso. Era solo carne, sudore, lingue e denti e mani che affondavano nella carne, strappando gemiti sempre più alti, sempre più disperati.
Quando il presentatore gridò «Tempo scaduto!», Antonino si staccò con un gemito strozzato, la bocca lucida di saliva, il viso arrossato per lo sforzo. Il ragazzo davanti a lui aveva il cazzo duro come pietra, la punta che pulsava, e lui sapeva che il suo non era da meno. Ma quando i giudici si consultarono, fu chiaro che non aveva vinto. Il presentatore annunciò i risultati con un ghigno: «Secondo posto per il nostro Antonino! Complimenti, cagnolino… ma sai cosa significa, vero?» Il pubblico rise, alcuni già sfregandosi il cazzo attraverso i pantaloni, in attesa dello spettacolo finale.
La punizione fu immediata. Il vincitore, un uomo massiccio con le braccia coperte di tatuaggi, si avvicinò alle sue spalle, il cazzo già lubrificato e pronto. La padrona afferrò Antonino per i capelli, costringendolo a mettersi carponi, il culo esposto, le gambe tremanti. «Apri» gli ordinò, e lui ubbidì, allargando le natiche con le mani, esponendo il buco stretto e rosa, ancora umido della saliva del compagno. Sentì la punta del cazzo premere contro di lui, grossa, calda, e per un istante ebbe paura. Ma poi la pressione aumentò, e lui si costrinse a rilassarsi, a respirare, a accettare. Il cazzo entrò con un colpo secco, strappandogli un grido, le dita che affondavano nella carne delle cosce. Non era gentile. Non era lento. Era una punizione, e lui lo sapeva.
«Guardali» sibilò la padrona, e Antonino sollevò la testa, incontrando gli sguardi del pubblico. Alcuni si masturbavano apertamente, altri si limitavano a osservare con occhi lucidi di lussuria. Lui era esposto, penetrato, usato, eppure non distolse lo sguardo. Anzi, allargò ancora di più le natiche, mostrando loro come il cazzo del vincitore lo stesse sfondando, come il suo buco si aprisse e si chiudesse attorno a quella carne, come la sborra cominciasse a colargli lungo l’interno coscia, appiccicosa e umiliante. Ogni spinta lo faceva gemere, ogni colpo lo portava più vicino all’orgasmo, eppure non osava venire. Non senza permesso.
Quando finalmente il vincitore gli afferrò i fianchi, seppellendosi dentro di lui con un ultimo colpo violento, Antonino sentì il calore del seme riempirlo, colargli fuori in rivoli bianchi che gli scendevano sulle palle, sull’erba. Il pubblico esultò, qualcuno si avvicinò per raccogliere con le dita quella sborra altrui, portandosela alle labbra con un gemito. Lui rimase lì, a quattro zampe, il culo ancora aperto, il cazzo che pulsava dolorosamente, e per la prima volta si chiese: Quanto ho ceduto? Quanto di sé aveva davvero lasciato in quel prato, tra le risate, i gemiti e il sapore del sudore altrui? La padrona gli accarezzò i capelli, quasi con tenerezza, prima di tirargli su la testa per il collare. «Bravo, cane,» gli sussurrò all’orecchio. «Sei stato perfetto.»

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