ERZÄHLUNG TITEL: La mia vicina 
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ERZÄHLUNG

La mia vicina

by Claude
Gesehen: 1234 Mal Kommentare 22 Date: 12-04-2025 Sprache: Language

Questa è una storia vera, e ho deciso di raccontarla qui. È sempre stato un segreto. Nessuno la conosce. Nemmeno i miei amici più stretti. È una cosa che sappiamo solo io e lei. E ora anche voi. I nomi, naturalmente, sono inventati. I fatti no.

Era il 1999 e tutto cominciò con il ritrovamento del mio primo cellulare. Un oggetto primitivo, che serviva solo per mandare messaggi e fare chiamate, ma che già esercitava su di me una dipendenza silenziosa. Quando lo persi, capii quanto fosse diventato una parte di me. Quando lo ritrovai, non fu tanto il sollievo a colpirmi… quanto l’incontro con la donna che me lo restituì.

Chiara.

Il telefono era stato ritrovato da un signore del condominio di fronte. Un vicino che conoscevo di vista. Lo aveva trovato lì, a pochi metri dal mio cancello. Aveva chiamato un numero in rubrica e quel mio amico mi contattò subito per darmi la buona notizia. E così, quel giorno, per la prima volta, conobbi Chiara. Era lei, la moglie del vicino, a porgermi l’oggetto smarrito. Un semplice scambio, davanti al loro cancello. Un grazie, un sorriso, e via. Ognuno rientrò nel proprio appartamento.

Chiara… aveva qualcosa che non sapevo spiegare.

Una donna decisamente matura, sicuramente oltre i 55, anche se non l’ho mai saputo con certezza. Io, invece, ne avevo diciannove. Ero pieno della fame degli anni giovani, delle voglie che corrono sotto la pelle e ti pulsano nelle tempie. A quell’età ero invaghito di una coetanea che neanche mi filava, eppure… bastò uno sguardo di Chiara per accendere in me qualcosa che con le ragazze della mia età non avevo mai provato.

Era il suo portamento. Non la bellezza – non era bella nel senso canonico – ma quella presenza regale, austera, composta, quasi nobile. Aveva qualcosa di antico e misterioso. I suoi capelli ramati, corti, si arricciavano appena vicino alle orecchie e sulla nuca, e le conferivano un’aria raffinata, ma ribelle. E poi quegli occhi verdi, che sembravano sapere tutto di te anche senza averti mai guardato veramente.

Chiara non era una delle fantasie normali di un diciannovenne. Era quella che ci entrava senza chiedere il permesso. Sorpassava tutte le professoresse sexy, le amiche più grandi, le donne in carriera dei film. Lei era diversa. Era proibita. E quindi perfetta.

Da quel giorno, iniziai a notarla. Non passava più inosservata. E poco dopo successe qualcosa di incredibile, quasi impensabile: cominciammo a guardarci.

Dalla mia finestra al suo balcone. Cinquanta metri d’aria, e in mezzo, solo i nostri sguardi. Mai un saluto, mai un cenno. Solo quel contatto silenzioso che valeva più di ogni parola.

Ricordo quell’estate come se fosse sospesa nel tempo. Me ne stavo sdraiato sul terrazzo, boxer e occhiali da sole, il corpo nudo offerto al sole, con la scusa dell’abbronzatura. E sapevo che lei, mentre puliva i vetri o sbatteva la tovaglia, mi guardava. Fingeva distrazione, ma io lo sentivo sulla pelle, lo sguardo. E attraverso le lenti scure, lo vedevo. E lei sapeva che io vedevo.

Arrivò l’autunno, poi l’inverno. Niente più sole, niente terrazzo. Ma gli sguardi continuarono. Ero girato di spalle alla finestra mentre studiavo, ma avevo trovato un trucco: un piccolo specchietto sistemato tra il mio astuccio e i libri. Bastava un’occhiata e potevo vedere se lei era lì, affacciata. E c’era. Sempre più spesso.

Una volta, a novembre, faceva insolitamente caldo. Studiavo a petto nudo, e anche da dietro, senza vedermi in faccia, lei mi guardava a lungo, come se sapesse esattamente cosa stesse facendo. Come se volesse farmelo capire. Nonostante la distanza, lessi nei suoi occhi un desiderio calmo, controllato, ma innegabile.

E io… io esplodevo dentro. Letteralmente.

Un ragazzo di diciannove anni, oggetto di attenzione da parte di una donna matura. Non una qualunque, no. Una donna di quelle che non si concedono mai. Di quelle che sembrano inaccessibili, intoccabili. Una regina, che ti guarda come se potesse averti, ma solo se decide lei.

Passò un anno. Io ventenne. Lei sempre uguale: presente, elegante, impenetrabile. E noi, ancora, senza salutarci mai per strada. Mai. Quegli sguardi erano un codice segreto, un linguaggio che avevamo inventato senza mai parlarci.

Poi, nel 2002, accadde qualcosa. Incrociai per la prima volta da tre anni suo marito. Fu una conversazione breve, in strada. Io col mio vecchio cellulare in mano, lui che sorrideva. Lei, accanto. Scoprì che il marito viaggiava molto per lavoro e che lei era in pensione. E lì, un dettaglio mi fece battere forte il cuore: Chiara aveva un nuovo cellulare e non riusciva a usarlo. Neanche lui. E io… io mi offrii di aiutarli.

Fu la svolta. Avevo finalmente il suo numero.

Qualche giorno dopo, le scrissi:

Buongiorno Chiara, domani pomeriggio ci sarei per controllare il suo cellulare, per lei andrebbe bene alle 14 subito dopo pranzo?

La sua risposta arrivò quasi subito:

Per me è ok e, mi raccomando, dammi del tu. A domani!

Quel

dammi del tu

fu come se avesse aperto una porta. Dietro quella porta non c’era ancora il sesso, ma c’era la promessa di qualcosa. Qualcosa che non sapevo ancora definire ma che mi accendeva l’anima.

Andai da lei. L’accoglienza fu perfetta, cortese, calda. Mi offrì un caffè. Si sedette a guardarmi mentre smanettavo al PC, a pochi metri da lei. E non successe niente. Nessun contatto. Nessuna parola fuori posto. Eppure… la stanza era satura di tensione. Il non detto riempiva l’aria più delle parole.

E da lì, cominciarono le richieste. Ogni due o tre mesi, un messaggio. Un problema al computer. Un altro piccolo guasto al cellulare. E ogni volta io andavo. Sempre lei, sempre sola. Sempre gentile. Eppure, ogni volta c’era qualcosa in più.

Qualche mese dopo, iniziai ad andarci in tuta. E una volta… la vidi. Con la coda dell’occhio. Guardò lì. Proprio lì. Una frazione di secondo, ma bastava. Non era immaginazione. Non era sogno.

Mi sentivo come un adolescente impazzito: passavo le serate su Google a cercare spiegazioni, interpretazioni, segnali. Lei aveva guardato il mio sesso. Cosa significava? Era voluto? Era un caso?

E poi, giugno. Giugno 2002.

Quel giorno mi sentivo come un vulcano pronto a esplodere. Avevo deciso che ci avrei provato. Stupidamente, lo so. Ma l’attesa era stata troppo lunga, troppo carica.

Sistemai il computer come al solito. Poi, nel momento dei saluti, mi lasciai andare. Le misi una mano sulla schiena, la sfiorai, e spostai lentamente il bacio dalla guancia verso le labbra. Appena un millimetro in più del consentito.

Lei non si scostò. Rimase lì. Emise solo un piccolo suono, un “mmm”, quasi impercettibile, e poi disse:

È meglio di no.



La voce era ferma. Gentile. Ma definitiva.

Arrossii ovunque. Sentii la pelle bruciare, le mani sudate, le gambe molli. Balbettai una scusa, non ricordo neppure cosa dissi. Lei, dolce, chiuse la porta con un sorriso che non sapevo se fosse triste o solo umano.

Mi sentii sprofondare.

Ma non potevo immaginare quello che sarebbe successo in seguito.
Dopo quel “È meglio di no”, ogni passo verso casa fu un lento stillicidio. Sentivo ancora sulle dita il calore del suo corpo, quel lieve tremore nella sua schiena sotto la mia carezza, e quel “mmm”… quel suono basso e gutturale che, se non avessi avuto diciannove anni e un’inesperienza tagliente come un rasoio, avrei forse interpretato in tutt’altro modo.

Ma ero giovane. Troppo. E maledettamente inesperto. E così lo presi come un rifiuto totale. Un muro. Uno schiaffo. E mi chiusi.

Per settimane non riuscii nemmeno a guardare verso il suo balcone. Eppure, ogni tanto, come un richiamo a cui non potevo resistere, sollevavo lo sguardo, cercando quei capelli ramati che conoscevo a memoria, quella sua figura sottile e composta. Ma niente. Chiara sembrava scomparsa.

Poi, verso fine luglio, accadde qualcosa. Una sera afosa, senza luna, mentre ero sul balcone a cercare un minimo di refrigerio, vidi la sua luce accendersi. Una sola lampada da tavolo, quella vicino alla finestra. E una figura: lei. Seduta, sola, con un bicchiere in mano. Forse vino, forse qualcosa di più forte. Non lo seppi mai. Ma quella sera fu la prima volta che, da mesi, incrociammo lo sguardo di nuovo. Non un saluto, non un gesto. Solo occhi. Fissi. Immobili. Lunghi. Dolorosi.

Poi, con movimenti lenti, come se sapesse esattamente cosa stava facendo, Chiara si alzò. La vidi allontanarsi dalla finestra, scomparire per pochi istanti. Quando tornò, spense la luce. La stanza divenne buia, ma un lampione esterno la illuminava di taglio, rendendo la sua figura visibile, netta. Indossava una vestaglia leggera, di quelle che si legano in vita, e sotto… non saprei dirlo, ma sembrava nuda.

Si fermò un istante, in piedi, davanti alla finestra aperta. E poi, lentamente, sciolse il nodo.

Il tessuto cadde morbido sulle sue spalle, poi lungo i fianchi, e infine a terra. Rimase lì, in piedi, di profilo. Il suo corpo era quello di una donna vissuta, segnato dagli anni ma ancora incredibilmente elegante. I seni pieni, naturali, scendevano con una grazia innata. Le cosce, forti e morbide, si stagliavano contro la luce fioca. La curva dei fianchi, la linea del collo… era tutta un inno alla femminilità. Vera. Cruda. Senza filtri.

Il mio respiro si fermò. Il sangue pulsava forte, ovunque. Il desiderio non era più fantasia, ma materia viva.

Poi, con la stessa lentezza con cui si era scoperta, Chiara si voltò, raccolse la vestaglia e sparì nell’ombra. Nessuna parola. Nessun gesto. Solo quella visione che mi si impresse addosso come una bruciatura.

Non dormii per due notti.

E tre giorni dopo, arrivò il suo messaggio.

“Ciao. Il PC ha ripreso a fare i capricci. Quando puoi passare?”

Aveva messo anche una faccina sorridente. La prima volta che lo faceva.

Il cuore cominciò a battermi nel petto come un tamburo di guerra. E questa volta, lo giurai a me stesso, non avrei più sbagliato nulla.
Quel pomeriggio sembrava uguale agli altri. Ma non lo era.

La temperatura era ancora alta, l’aria immobile e pesante. Mi feci la doccia due volte prima di uscire. Cambiai maglietta tre. E quando suonai il campanello, avevo il cuore che sembrava voler sfondare lo sterno. Il PC era solo una scusa. Lo sapevamo entrambi.

Chiara mi aprì con un sorriso lento, appena accennato, che mi colpì come uno schiaffo e una carezza insieme.

Indossava un abito estivo, corto, in lino chiaro. Senza maniche, scollato, ma non in modo sfacciato. C’era qualcosa nei suoi movimenti, in quella camminata lenta e controllata, che sembrava voler trattenere e concedere allo stesso tempo. Mi guidò in salotto con un gesto della mano, mentre io facevo del mio meglio per sembrare calmo.

Il portatile era sul tavolo, aperto. Ma spento.

— “Credo si sia preso una vacanza anche lui” — disse ironica, e poi mi lasciò lì con un — “Torno subito”.

Quando tornò, portava due bicchieri con dentro qualcosa di fresco, agrumato. Il bordo era appannato di ghiaccio, e il suo sguardo sembrava altrettanto freddo… e pericoloso.

— “Ci vuole qualcosa per rinfrescarsi, no?”

Brindammo senza toccarci. Poi mi sedetti davanti al computer, feci finta di accenderlo, ma non stavo guardando davvero lo schermo. Ogni mia attenzione era catturata da lei: dalla posizione in cui si era messa — dietro di me, in piedi — e dal profumo che arrivava improvviso, come una promessa. Sandalo, e qualcosa di più dolce. Forse vaniglia. Forse pelle.

Poi, lentamente, si abbassò verso di me.

— “Scusa se l’altra volta sono stata un po’ brusca…” — mi sussurrò all’orecchio.

La sua voce era bassa, quasi rauca. Sentii il suo respiro sfiorarmi il collo, e in quel momento non avrei saputo dire se il mio corpo stesse tremando di desiderio o di paura. Forse entrambi.

— “Non volevo allontanarti.”

Il suo viso era così vicino che bastò un mezzo giro del mio per trovarmi il suo sguardo addosso. Non mi lasciò dire nulla. Mi fissò per un istante, poi scivolò lentamente sul divano, accanto a me. Le gambe accavallate, i piedi nudi. Il vestito si sollevò appena, rivelando la coscia. Mi parlava di problemi al computer, ma le parole erano solo un’illusione.

La sua mano, con un gesto quasi casuale, si posò sulla mia. Rimanemmo così per qualche secondo. Poi le sue dita si intrecciarono alle mie. E la sua bocca si avvicinò.

Quando ci baciammo, non fu tenero. Fu istintivo. Rapido. Caldo. Aveva il sapore del drink, del desiderio, del tempo perso. Mi si sedette sopra senza preavviso, le ginocchia ai lati dei miei fianchi, e il vestito si sollevò del tutto, lasciando le sue cosce nude contro le mie gambe. Non portava nulla sotto.

— “È questo che volevi, vero?” — sussurrò, guardandomi dritto negli occhi, con quel sorriso ambiguo tra la sfida e la promessa.

Io annuii. Ma non bastava. Le mie mani salirono lungo le sue gambe, tremanti, insicure, e lei mi guidò. Letteralmente. Le prese, le condusse sotto il suo abito, fino a farmele posare lì, tra le cosce, calde e aperte.

Il suo corpo era morbido, accogliente, ma allo stesso tempo solido. I seni sotto il vestito si premevano contro il mio petto, e sentivo i capezzoli duri attraverso il tessuto. La sua bocca si muoveva sulla mia con una fame calma, controllata, ma in crescendo.

Poi, all’improvviso, si fermò.

Mi guardò, respirando veloce. I suoi occhi cercavano qualcosa nei miei.

— “Se adesso ti alzi e te ne vai, ti giuro che non ti fermerò. Ma se resti… non ci saranno più mezze misure.”

Io restai.
Restai.

Non dissi niente. Ma il mio silenzio era un “sì” che urlava.

Chiara si alzò in piedi davanti a me, e il suo vestito cadde lentamente sulle piastrelle, come un sipario che si apre su uno spettacolo privato. Era completamente nuda. La luce del pomeriggio filtrava dalle tende e ne accarezzava i fianchi, le curve, le ombre tra le gambe. Mi guardava come se fossi suo, da sempre. E io, in quel momento, lo ero davvero.

Si inginocchiò davanti a me, senza fretta. Le sue mani sfiorarono la cintura, l’aprirono. Mi slacciò i pantaloni, li abbassò. I suoi occhi rimasero fissi nei miei mentre mi liberava, centimetro dopo centimetro, da ogni barriera. Quando la sua pelle toccò la mia, non ci fu fuoco. Ci fu acqua bollente. Un'ondata. Un ruggito trattenuto che attraversava i muscoli, il respiro, la mente.

Non era solo il piacere fisico.

Era il modo in cui mi prendeva, con calma e fame insieme, come se stesse assaporando qualcosa che aveva desiderato a lungo. La sua bocca era calda, precisa, intensa. Usava la lingua come se stesse scrivendo un messaggio segreto, e ogni movimento sembrava chiedere: “mi senti adesso? Sei qui davvero?”

Mi prese completamente, poi si fermò, mi guardò, e salì sopra di me di nuovo, stavolta nuda, senza filtri, senza scuse. Quando si calò lentamente su di me, trattenne un respiro profondo. Era un gesto sacro, lento, sentito. Le sue mani sulle mie spalle, il suo bacino che cercava il mio, e poi trovava il ritmo, quello giusto, quello che non si insegna: si sente.

La penetrai con lentezza, con rispetto, ma senza tremare più. Volevo sentirla tutta. Fino in fondo. Volevo perdermi dentro di lei e trovare qualcosa che non avevo mai trovato. E lei me lo lasciava fare. Anzi, lo pretendeva.

— “Guarda me. Solo me.”

Le obbedii. I suoi occhi erano dilatati, la bocca socchiusa. Un gemito sordo le sfuggì dalle labbra mentre si muoveva sopra di me, in cerchi piccoli, profondi, quasi ipnotici. Ogni volta che scendeva, il suo ventre cercava il mio. Ogni volta che risaliva, i nostri corpi restavano attaccati come se non volessero staccarsi mai più.

Sudavamo entrambi. Il caldo ci colava lungo la schiena, lungo il petto. Le sue mani nei miei capelli, le mie mani sui suoi fianchi. E poi ovunque. Ovunque ci fosse bisogno di toccare. Ovunque potessimo riconoscerci.

Mi stringeva dentro di sé, con i muscoli, con il cuore. E quando venne, lo fece con un tremito che partì dal ventre e le attraversò tutto il corpo. Si abbandonò su di me, lasciando che la sua pelle cercasse rifugio nella mia. E mentre il suo respiro rallentava, sentii qualcosa sciogliersi dentro: come se tutta la tensione di quei giorni, settimane, mesi, si fosse finalmente trasformata in pace.

Venni poco dopo, affondato in lei, la bocca sulla sua spalla, senza parole. Solo un ringhio muto. Un morso trattenuto. Un’esplosione trattenuta troppo a lungo.

Restammo lì, fermi, uniti, sudati e stanchi. Ma vivi. Finalmente vivi.

Lei mi accarezzò i capelli, piano, come se fossi qualcosa da proteggere.

— “Hai idea di quante volte ho immaginato questo momento?” — sussurrò.

La guardai. E sorrisi.

— “Sì. Perché l’ho fatto anch’io.”
Dopo.

Dopo è quando tutto rallenta. Quando il cuore smette di galoppare e comincia a sussurrare. Quando il respiro si fa silenzioso, e i corpi si trovano in una quiete nuova, come se non fossero solo stanchi, ma finalmente liberi.

Eravamo nudi, abbracciati sul suo letto. La luce filtrava ancora dalle tende, più calda, più arancione adesso, come se anche il sole volesse restare a guardare.

Chiara aveva la testa appoggiata sul mio petto, il respiro regolare. Le sue dita tracciavano linee invisibili sul mio costato, come se stesse ancora scrivendo qualcosa. Non parlavamo. Non ce n’era bisogno. Ogni gesto, ogni sfioramento, era una parola che non serviva dire.

Io guardavo il soffitto, e non pensavo a niente.

O forse pensavo a tutto. A quanto fosse assurdo essere lì, dopo tutto quel tempo. A quanto mi facesse bene il suo silenzio, che non era mai vuoto. A quanto mi stesse mancando già, anche se era sdraiata su di me.

Chiara sollevò la testa e mi guardò. Aveva i capelli spettinati, gli occhi morbidi, le labbra leggermente gonfie. Bellissima, nel modo in cui si è belli solo quando ci si mostra senza più difese.

— “Sei stato qui, vero?” — chiese.

Annuii.

— “Sì. Totalmente.”

Mi baciò il petto. Un bacio che non chiedeva niente, non prometteva nulla. Era solo un grazie. Un

ti ho sentito

. Poi si tirò su, piano, e si infilò una camicia larga, la sua. Andò in cucina senza dirmi nulla, ma quel silenzio era complice, non distante.

La seguii poco dopo, ancora mezzo vestito, e la trovai a preparare due caffè. Una tazza per lei, una per me. Mi guardò e sorrise.

— “Abbiamo fatto un casino, vero?”

Sorrisi anche io.

— “Forse sì.”

Sedemmo al tavolo in cucina, in silenzio, sorseggiando il caffè. Era amaro, forte. Come la consapevolezza che quel momento non poteva durare per sempre.

Poi ci furono i saluti.

Lenti. Un po’ goffi. Carichi di domande non fatte. Lei mi guardò sulla porta, appoggiata allo stipite, con la camicia ancora addosso e le gambe nude.

Poi mi avvicinai, le presi il viso tra le mani e la baciai. Non un bacio vorace, ma uno di quelli che metti via, come una fotografia. Uno di quelli che sai che ti torneranno in mente quando meno te lo aspetti.

Mi voltai e andai via. Con il suo profumo ancora addosso. Con un silenzio pieno di promesse. Con la certezza che c’eravamo stati, davvero.

E che forse bastava questo.

EINGEFüGT 22 KOMMENTARE:
  • avatar maresole44 ..PERBACCO..., complimenti....ma poi...............

    14-04-2025 13:47:52

  • avatar vacanzamente Bellissimo racconto pregno di erotismo e amore,l'amore non ha eta',ci si ama e basta.Grazie per averci coinvolto mentalmente.

    14-04-2025 11:42:09

  • avatar ilMarchese76 Un bel racconto, coinvolgente e stimolante.

    14-04-2025 01:59:32

  • avatar meteromi Stupendo. E vissuto.

    14-04-2025 00:30:45

  • avatar annamarco Molto bravo

    13-04-2025 21:41:19

  • avatar Babumba Meraviglioso raccontoBravissimo

    13-04-2025 21:09:05

  • avatar Roby6969 Racconto stupendo! Hai saputo trasmettere molto bene le tue sensazioni

    13-04-2025 19:12:56

  • avatar escanio73 Bel racconto complimenti

    13-04-2025 18:01:01

  • avatar Claude Grazie a tutti per i complimenti, mi hanno fatto davvero piacere. E mi spingono a narrare quello che poi accadde dopo

    13-04-2025 14:54:28

  • avatar freimann77777 Gran bel racconto.Complimenti per la descrizione dei fatti e delle sensazioni.

    13-04-2025 10:23:41

  • avatar Peppe60 Bellissima storia, raccontata sapientemente.Te ne auguro tante altre, anche se questa sarà difficile da replicare. Ad maiora

    13-04-2025 10:25:25

  • avatar pinkopallo Una bella storia non volgare, un'esperienza giovanile molto delicata e formativa che pochi hanno la fortuna di vivere

    13-04-2025 09:30:05

  • avatar Hdemia Lei non sa usare il nuovo cellulare e tu le sistemi il PC... Scopate sul divano e poi siete abbracciati nel letto....Tutto vero? Un sogno scritto benino

    13-04-2025 09:16:35

  • avatar Studentessa77 Scritto bene e coinvolgente. Mai volgare. Complimenti. La stessa cosa capitò anche a me con una cliente che che non sapeva usare un GPS regalatole dal marito per il compleanno. Lui mi chiese di aiutarla ed ecco che ne nacque una storia molto tumultuosa...

    13-04-2025 09:03:23

  • avatar MisterAlbert Scritto veramente bene.Complimenti.

    13-04-2025 08:22:35

  • avatar Mudiac Mi unisco ai plausi già ricevuti, il racconto mi fa pensare "nulla è impossibile, ma allora quante occasioni ho perso ?"

    13-04-2025 07:03:54

  • avatar blusergy Complimenti

    13-04-2025 00:00:21

  • avatar Oct19 Racconto bellissimo.

    13-04-2025 00:04:42

  • avatar Attila Uno dei racconti più belli che ho letto qui sul sito

    12-04-2025 23:19:15

  • avatar torello876 Narrazione di una storia ben raccontata e che suscita particolare emozione

    12-04-2025 22:59:36

  • avatar torello876 Inserisci un commento:

    12-04-2025 22:44:52

  • avatar lugiu2 Bellissimo

    12-04-2025 22:16:06