Quando tutto questo fa... paura
by maqualebullVisto: 1832 volte Commenti 9 Date: 11-10-2024 Lingua:
Otto del mattino di un giorno qualunque alle porte di Milano. Sono in coda ad una stazione di servizio, una di quelle attigue ai centri commerciali con numerosi distributori e, dunque, numerosi veicoli in coda.
Il cielo plumbeo che ricopre la città contribuisce al malumore generato dall’attesa e da un’estate terminata giusto qualche giorno prima ma che sembra già lontanissima.
Evito di aiutare una signora, piuttosto avanti con l’età, che non si spiega come mai l’erogatore non… eroghi il carburante: sarebbe forse la centesima volta che spiego a qualcuno che chi lo ha preceduto deve prima effettuare il pagamento; una piccola mancanza di buona educazione tesa ad evitare di mischiarmi ancora per un po’ con la socialità.
A risvegliarmi dal grigiore che sembra destinato a governare la mia mattinata ci pensa, però, una donna a bordo di una BMW che già di per se non passa inosservata: è una Serie 8 Coupè, un modello decisamente appariscente, come del resto sembra essere la donna alla guida. Pochi secondi e scende, lei, tacco 12, tailleur chiaro, occhiale scurissimo che sembra nascondere uno scoglionamento molto simile al mio, chissà se per gli stessi futili motivi. Come spesso mi capita di fare, mentre la osservo immagino cosa si nasconda dietro a quel portamento così magnetico, e giungo alla conclusione che, sì, può trattarsi di un profilo dirigenziale all’interno di una multinazionale cui ha probabilmente imposto una vettura aziendale di quel calibro quale riprova di uno “status quo” guadagnato negli anni (non molti, in realtà, ne avrà poco più di 40) magari all’interno della stessa azienda.
Si muove sicura, una figura totalmente in contrasto con la mediocrità sparsa per la stazione di servizio a quell’ora del mattino. Quasi mi infastidisco nel vedere la vitalità, banale, che si sviluppa attorno a una figura di così alto profilo e, soprattutto, di così notevole fascino: capelli corvino, rossetto delicato su labbra carnose il giusto, mani curatissime nonostante una linguaggio del corpo tutt’altro che snob: “Dietro a quell’armatura si nasconde del tenero” mi sorprendo sussurrare all’interno del mio abitacolo, prima che la delicatezza da portuale nel riporre l’erogatore da parte dell’anziana signora di fronte a me non mi faccia sussultare e tornare alla realtà.
Passano alcune settimane, probabilmente mesi. Il ricordo di quel fugace incontro alla stazione di servizio è scappato via proprio come quella donna quel giorno: reinfilatasi nella sua vettura, era parso evidente il richiamo che la Milano tutta business, call di lavoro e ritmi improbi esercitava su di lei, già in vivavoce probabilmente in collegamento con qualche altra metropoli nel mondo.
Stavolta sono di buon umore: sto rientrando in ufficio dopo un pranzo di lavoro con esito piuttosto positivo in città e, prima di risedermi alla scrivania, indugio per un caffè al bar del solito centro commerciale a due passi dalla mia sede di lavoro. “Cazzo – penso – Questa macchina la conosco”. E’ la stessa Serie 8 Coupè che mi colpì quella mattina, tra l’altro parcheggiata “di muso”, una pratica insolita per le donne, a maggior ragione con un veicolo simile, il che da una parte mi strappa un sorriso sulla “sportività” della mia musa, dall’altra mi fa temere che questa volta in zona potrebbe esserci un lui, magari suo marito.
Il dubbio viene svelato da lì a poco: pochi passi all’interno della galleria di negozi tipica del mall quando al di là della vetrina del negozio Yamamay scorgo la sua sagoma: occhiali identici a quelli che ricordavo, ma outfit molto più sportivo con giacca lunga da uomo sopra un jeans e sneakers Gucci ai piedi. Rallento. Mi fermo. Tiro fuori l’iphone come a voler leggere un messaggio tanto importante da impormi una sosta. La verità è che a capo semichino i miei occhi sono rivolti verso di lei.
Ha già in mano un paio di body e un completo intimo, ma la vedo indugiare quasi timidamente nel corner dedicato all’intimo sexy. Sfiora con le dita dapprima un kimono nero, parecchio trasparente, poi la vedo soffermarsi su un body a differenza degli altri molto provocante: pizzo nero, smanicato ma allacciato al collo a mò di finto castigato, scoperto sia nella scollatura che sulla schiena. “Mi piace sul manichino, figuriamoci su di lei”. Indugia, ma non lo prende. Torna al kimono, ma mentre mi avvicino all’ingresso del negozio vedo che lo sguardo ricade nuovamente sul body. “Lo vuole – penso – Ma non sa se è troppo”. Per chi? Per quale situazione? Non posso saperlo, ma quanto vorrei…
A un certo punto si dirige verso la commessa, chiede alcuni perizomi di quelli senza cucitura, ne sceglie un paio e si rifugia dietro la tenda del camerino a provare, immagino, i primi body da lei selezionati.
Saluto la commessa e mi dirigo nel poco rifornito reparto uomo, che fingo mi interessi quando in realtà il mio obiettivo è un altro… Afferro QUEL body, decido che la sua taglia dovrebbe essere una S e mi gioco le mie chance: camerino, infilo la mia mano con il body all’interno della tenda, le dico “E’ un peccato se non lo prendi, almeno provalo”, sento raccogliere il mio invito e convengo con me stesso che mai silenzio fu più indice di apprezzamento.
“Credo sia arrivato il momento di parlare”
“Immaginavo”
“Cosa?”
“Che dovessimo parlare”
“Cosa te lo ha fatto credere?”
“Sono sei mesi che scopiamo, ma sono anche sei mesi che ti osservo. Negli ultimi giorni qualcosa è cambiato, aspettavo dessi un nome a questo cambiamento”
“Dobbiamo smetterla di vederci…”
Sapevo fossimo in dirittura d’arrivo, sapevo avrebbe pronunciato quelle parole.
“Vuoi spiegarmi anche il motivo?”
“Non è giusto, lo sai. Mio marito, la tua compagna, la nostra vita è con loro, il nostro futuro…”
“…”
“Ci incontriamo di sfuggita, nei ritagli di tempo, per quanto possiamo continuare?”
Da quell’episodio nel camerino di Yamamay, io e Miriana abbiamo iniziato una relazione clandestina fatta di ogni cosa. Quel pomeriggio l’avevo scopata, nella sua auto, nel parcheggio sotterraneo della mia azienda. Nei giorni successivi, incontri in motel nel mezzo delle nostre giornate lavorative, sexting quasi a mandare in ebollizione lo smartphone, per poi ritrovarci in anonimi parcheggi sulla via di casa per sveltine di cui non potevamo fare a meno. Non solo, però.
A ogni incontro Miriana si lasciava trasportare un po’ di più, ogni volta era un po’ più trasgressiva, un filo sopra un limite ogni giorno spinto un po’ più in là. Lo abbiamo fatto sulla mia scrivania dopo che l’ultimo collega aveva lasciato gli uffici; lo abbiamo fatto al cinema in pieno giorno, posti alle ultime file della sala con le prime occupate da gente comune. Ho la cartella nascosta del mio iphone piena di immagini di lei alla guida senza mutandine; una sera, durante un car sex dinnanzi a viscidi e panzuti avventori, le ho ordinato di infilarsi il cambio di quella splendida BMW mentre con la bocca si dava da fare con me.
Abbiamo scelto un club privè veneto per vivere l’emozione dello scambio e della trasgressione senza dare nell’occhio a potenziali conoscenti: ci siamo guardati, ingelositi, divertiti, sempre alzando un po’ di più la nostra asticella. Un pacchetto con un suo perizoma di pizzo intriso dei suoi umori mi è stato recapitato dritto sulla mia scrivania; di contro, un kit ben fornito preso su Mysecretcase è arrivato sulla sua. Prima di iniziare con la realizzazione di fantasie sempre più vigorose: le ho ordinato di provocare uno dei suoi stagisti, impedendole di indossare il reggiseno e trovando il modo di strusciarsi “distrattamente” su di lui; ho scopato, in motel, la segretaria di un collega director – molto giovane, bruttina, matta per me – mentre riprendevo tutto in videochiamata al telefono con Miriana. Sempre di più, sempre un po’ più avanti. Con buona pace dei nostri partner, messi “a cuccia” con scuse di ogni tipo rese credibili dal livello lavorativo di entrambi.
Ora, però, eravamo giunti a un piano differente.
Vedevo negli occhi di Miriana qualcosa che prima non c’era. Un’ospite che in quei sei mesi non avevamo ancora conosciuto ma che, per una donna del genere, conscia dei propri obiettivi – di carriera e personali – una donna capace di dire basta davanti a tutto ciò che potesse risultare un ostacolo nel raggiungerli, diventava elemento di inquietudine e sgomento.
“Queste sono scuse. Reali, ma pur sempre scuse. E lo sai”
“Ah sì? E perché allora ti sto dicendo che è l’ultima volta che ci vediamo?”
Era bellissima. Si stava rivestendo. Nella nostra camera preferita di un hotel poco fuori città.
Era tutto perfetto tranne il contenuto delle sue parole. Anzi, delle nostre.
Le mie furono le ultime di quell’ultimo dialogo.
“Perché hai paura”