RACCONTO TITOLO: Come sono diventato cornuto 
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Come sono diventato cornuto


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Come sono diventato cornuto

by Loupie1961
Visto: 3867 volte Commenti 27 Date: 20-01-2022 Lingua: Language

Come alcuni di voi sapranno (quelli che hanno letto la mia presentazione) la mia bellissima e molto amata compagna, V., non ha mai voluto cedere alle mie richieste di farmi diventare cuck, in compenso, a mia insaputa, mi ha fatto diventare cornuto. Superato lo shock della cosa, ho iniziato a nutrire una curiosità morbosa per i dettagli degli incontri di V. col suo amante, e sono riuscito a farmeli raccontare, almeno in parte. Quello che segue è un racconto, verisimile se non forse del tutto veritiero, di come sono iniziate le cose tra loro.
V. era tornata a Berlino per andare a trovare degli amici ed effettuare alcune ricerche per il suo lavoro. Qualche giorno dopo il suo arrivo, all'indomani della partenza per l'Italia, le aveva telefonato G, una sua amica, di dieci anni più giovane. Una ragazza carina, sexy, molto spigliata, che abitava oramai da un pezzo nella capitale tedesca. L'aveva invitata a uscire la sera, insieme a dei suoi amici. Sapeva che V. si stava occupando di fotografia e le aveva detto che sarebbe venuto anche J., un fotografo suo amico, astro nascente sul panorama berlinese. V. aveva deciso che per una volta, nella informale Berlino, si sarebbe vestita un po' meglio, per uscire: stivali, collant relativamente velati, una mini di cuoio, un maglioncino di lana molto aderente, indossato direttamente sulla pelle. Alle sette si presentò alla kneipe dove avevano fissato: trovò G. a i suoi amici seduti su un divanetto e delle poltroncine intorno a un tavolino basso, stavano già bevendo della birra. V. ordinò un cocktail Martini, decisa a rilassarsi e divertirsi. G. le disse che J. non era ancora arrivato: aveva ancora un po' da fare nel suo studio. Se voleva, avrebbe potuto mostrargli delle sue foto sullo smartphone, per capire lo stile dei suoi lavori. V. disse: Perché no? e iniziò a scorrere le foto: erano ritratti di donne, alcune molto belle, tutti leggermente fuori fuoco. Poi, andando avanti, scorse dei nudi maschili, sempre un po' fuori fuoco: un corpo molto bello, muscoloso ma non troppo, dalla pelle chiara. G. ridacchiando un po' imbarazzata gli spiegò che quelli erano degli autoritratti, che servivano a J. per esercitarsi in quella messa a fuoco volutamente difettosa. Per guardare meglio le foto, V. aveva accavallato le gambe, e la mini di cuoio si era sollevata un po' sulle cossce, scoprendole quasi completamente le gambe. Lievemente piegata in avanti, lo scollo a V del maglioncino lasciava intravedere gran parte dei seni, piccoli ma assai ben formati. I capezzoli, irti per il freddo e per una certa forma di piacevole inquietudine che le trasmettevano quelle fotografie, premevano contro il fine tessuto del capo. Sentì che qualcuno le chiedeva in inglese se le foto le piacessero. Da qualche minuto, infatti, era arrivato J., che si era limitato a guardare le due donne mentre ammiravano il suo lavoro. E i suoi occhi non avevano fatto che oscilare tra le gambe e l'incavo dei seni di V. Sorpresa e un po' imbarazzata V. si alzò, stirandosi la mini sulle cosce e il maglioncino sul torace, e afferrò la mano che J. le offriva: si rese conto che gliela aveva stretta un po' più a lungo e con maggior insistenza di quello che sarebbe stato immaginabile tra due completi sconosciuti. J. le chiese se poteva sedersi accanto a lei e cominciò a interrogarla sulla sua permanenza a Berlino. Iniziarono a conversare, mentre G. uscì fuori a fumare. Quando tornò, disse che doveva andare a casa a finire di scrivere una cosa, e aggiunse ridendo che lasciava V. in buone mani. Gli altri amici di G. non sembravano fare molto caso ai due nuovi arrivati, che quindi si trovarono a parlare e a bere sempre più isolati dagli altri. V. chiese a J. come mai si avvertisse tanta inquietudine, nelle sue foto. Lui le spiegò che la sua incapacità di mettere a fuoco dipendeva dal fatto di aver perso la memoria per un certo, breve periodo a seguito di un trauma, e che da allora il corpo femminile compariva ai suoi occhi soltanto come un po' sfumato, come se non riuscisse a metterlo bene a fuoco. Per questo motivo, le disse ridendo, l'aveva guardata con tanta attenzione! e con fare scherzoso le appoggiò una mano sulla gamba. V. si chiese se fosse il caso di spostarla, magari con un gesto apparentemente involontario: J. le piaceva, ma quel racconto le aveva provocato un certo disagio, un po' di irrequietezza. D'altra parte, le spiegò J., non aveva poi così tanta dimestichezza con il genere femminile: la sua ultima storia era finita più di mezzo anno prima e in modo così tragico che da allora in poi aveva preferito guardare le donne esclusivamente attraverso l'obiettivo delle sue macchine fotografiche. V. oramai era un po' ubriaca e scoppiò in un risata:

You don't mean you haven't had any sex for six months?!

J. esplose a sua volta in uno scoppio di risa infantile e poi, proprio come un bambino si fece malinconico, con uno sguardo implorante. La cosa mise V. ancora più a disagio e visto che oramai si era fatto tardi, si alzò, dicendo che il giorno dopo doveva svegliarsi presto perchè aveva il volo di ritorno per l'Italia. J. si offrì di accompagnarla alla fermata della uBahn: lui non aveva l'auto, ma avrebbe fatto volentieri due passi a piedi. Si incamminarono nella notte piovigginosa. Arrivati all'ingresso della stazione dell'uBahn, J. si avvicinò a lei, per salutarla con i tradizionali due baci sulle guance. Dopo averle dato il primo, si fermò, e prese a guardarla intensamente. Le disse: riesco a metterti a fuoco. E iniziarono a baciarsi. Dopo alcuni minuti in cui la lingua di J. si era intrecciata a quella di V. e le sue mani avevano iniziato a percorrere il suo corpo intirizzito dal freddo, stringendosi a lui V. senti la crescente durezza del cazzo che spingeva contro i jeans, e quando lui le chiese di andare a casa sua capì che ormai era troppo tardi per dire di no. Ci misero più di mezzora per fare i dieci minuti di strada che li separavano dall'appartamento di J., dal momento che non facevano che fermarsi, baciarsi, stringersi: le mani di J. si erano già spinte sotto il maglioncino e si erano rinchiuse a coppa sui capezzoli turgidi: non più per il freddo. Quando lui le aprì la porta, V. si gettò in mezzo alla stanza, lanciando il cappotto a terra e sfilandosi il maglione, offrendo alla sua vista il seno dai capezzoli piccoli e rosa. Lui fece per avvicinarsi a baciarlo, ma lei lo respinse delicatamente: si tolse gli stivali, la gonna e i collant, rimandendo con indosso soltanto il perizoma. Fu solo allora che riprese a baciarlo, mentre lui iniziava a spogliarsi. Lei si allontanò di un passo e fece cadere il perizoma a terra: lui la spinse delicatamente indietro, per farla sedere su una poltrona di velluto verde. Le sollevò le gambe con le mani per appoggiarle le cosce sui braccioli, in modo che si trovasse di fronte a lui con le gambe completamente spalancate. Si inginocchiò e avvicinò la bocca alla sua vagina completamente aperta. V. si sentì in feroce imbarazzo e lo informò che si trovava agli ultimi giorni del ciclo. J. come impazzito le aprì ancora di più le gambe e iniziò a leccarla e succhiarla come nessuno le aveva mai fatto prima. Ogni tanto prendeva respiro staccando la testa dalle sue cosce, e lei non ebbe difficoltà a vedere labili tracce di sangue sulla sua bocca. Poi lui si alzò e senza proferire parola iniziò a penetrarla, dopo averle mostrato solo per un attimo il cazzo completamente congestionato. Dopo alcuni minuti in cui lui la penetrava a fondo baciandole i seni lei sentì arrivare un orgasmo furibondo e iniziò a urlare dal piacere: J. uscì dalla sua fica e il cazzo iniziò a tremare proiettandole sulle cosce lunghissimi schizzi di sperma. Quando alla fine si gettarono entrambi sul tappeto, esausti, V. era talmente colpita dal desiderio che J. le aveva dimostrato che per la gratitudine e la gioia prese a ripulirgli con la lingua il cazzo dal sangue e dallo sperma. Appena si accorse che, mentre lo leccava con gusto e lo succhiava per portare via anche l'ultima impurità, il cazzo tornava a farsi duro, decise di dare a J. quel piacere di cui aveva così disperatamente bisogno: si mise a cavalcioni del suo volto con il viso proteso verso il cazzo nuovamente eretto, lo prese in bocca abbassando i fianchi così da far combaciare perfettamente la sua vagina con la bocca di J. e iniziò a succhiare con avidità. Dopo qualche minuto di sessantanove, durante il quale J. bevve avidamente i suoi umori e V. riuscì a estrarre alcune gocce di liquido seminale dalla cappella congestionata, J. la fece inginocchiare sulla poltrona con la faccia contro lo schienale con le gambe lievemente divaricate e la prese da dietro, afferrandole i seni e baciandole appassionatamente il collo e le spalle. Quando le infilò le dita in bocca per farsele succhiare, V. si appoggiò su un gomito e con una mano iniziò a stimolarsi il clitoride, mentre J. la penetrava ritmicamente, sempre più eccitato. L'orgasmo colse V. di sorpresa, mentre stava stringendo le palle di J. con le dita e si stava stimolando il clitoride col pollice: si accorse che J. si sfilava e mentre era in preda alle contrazioni dell'orgasmo senti arrivarle sul culo gli schizzi di sperma: J. stava gemendo. Sembrava quasi che piangesse. V. si gettò a terra esausta e si coprì col tappeto, facendosi un cuscino con gli abiti, mentre J. era andato a lavarsi. Doveva dormire almeno qualche ora, perché all'indomani sarebbe dovuta andare presto in aeroporto. Per tornare da me.

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