STORY TITLE: Paris 
logo The Cuckold


STORY

Paris

by 1AmanteSegreto
Viewed: 128 times Comments 0 Date: 28-04-2025 Language: Language

Tre giorni a Parigi.
Tre giorni a seguire la stessa routine meccanica: sveglia, riunioni, pranzi veloci, email, altre riunioni.
Ogni giorno uguale al precedente.
Ogni sera più stanco.

Eppure, ogni sera, c’era qualcosa che rompeva quella monotonia.
Lei.

Non sapevo il suo nome.
Non sapevo chi fosse.
Ma sapevo che sarebbe stata lì, al ristorante dell’hotel.
Sempre seduta allo stesso tavolo.
Sempre con quell’uomo che parlava troppo e la guardava troppo poco.

Il suo capo, non suo marito.
Questo era evidente.
Il modo in cui le parlava, come a una proprietà più che a una donna.

Io andavo al bar ogni sera fingendo di volermi rilassare, ma sapevo bene perché lo facevo.
Era lei.
Era sempre lei.

La prima sera la osservai da lontano.
Curioso.
Affascinato.

La seconda sera, il mio sguardo si fece più insistente.
Volevo vedere se avrebbe ricambiato.
E lo fece.

La terza sera, non c’erano più dubbi.

Entrai nel bar più tardi del solito, volutamente, come per tendere la corda ancora un po’.
Ordinai un Bordeaux e mi sedetti al banco, da dove potevo vederla senza essere visto.

Lei era lì.
Vestito nero, semplice, raffinato.
Il calice di vino tra le dita.
Il sorriso educato che non toccava mai davvero gli occhi.

Ogni tanto i nostri sguardi si incontravano.
Non era più casuale.
Era una sfida silenziosa.

Quando il suo capo si alzò per rispondere a una chiamata, lei si mosse.

Prese il suo calice vuoto e si avvicinò al bancone.

Non mi guardò.
Non mi sfiorò.
Ma lasciò cadere un biglietto da visita vicino al mio bicchiere.

Senza fretta, ordinò un altro vino:

«Another glass of red, please.»
(Un altro bicchiere di rosso, per favore.)

Poi tornò al suo tavolo, senza mai voltarsi.

Il biglietto era normale: il suo nome, il logo della sua compagnia, un numero.
Nessuna scritta.
Nessun messaggio.

Eppure il messaggio era chiaro come la notte.

Aspettai qualche istante.
Raccolsi il biglietto solo dopo che fu tornata a sedersi.

Sorrisi.
Afferrai il telefono, aprii WhatsApp e scrissi:

“Maybe you dropped something?”
(Forse ti è caduto qualcosa?)

La vidi guardare il telefono sotto il tavolo.
Una mano che tremava appena.

Rispose:

“Maybe I did.”
(Forse sì.)

Non bastava.
Volevo vedere fino a dove sarebbe arrivata.

Scrissi ancora:

“Anyway, you are beautiful with that glass of wine in your hand.”
(Comunque, sei bellissima con quel bicchiere di vino in mano.)

Lei sorrise.
Un sorriso trattenuto.
Quasi infantile.

Lui tornò al tavolo.
Lei ricominciò a fingere di ascoltare, ma i suoi occhi continuavano a sfiorare i miei.

La risposta arrivò in pochi minuti:

“Then you should take me out for another one, later.”
(Allora dovresti portarmi a berne un altro, più tardi.)

Quando si alzarono per andarsene, ricevetti un altro messaggio:

“Give me ten minutes. I’ll find a way.”
(Dammi dieci minuti. Troverò un modo.)

Uscii.
Mi appoggiai contro una colonna sotto il portico.
La notte era fresca, il selciato ancora umido di pioggia.

Dieci minuti.
Precisi.

Poi la vidi.

Sola.
Il trench chiaro sopra il vestito nero.
La borsa stretta tra le mani.

Mi raggiunse, rallentando il passo.

«Where are you taking me?»
(Dove mi stai portando?)
chiese, la voce più un soffio che un suono.

«Follow me.»
(Seguimi.)

Le offrii il braccio.

Dopo un istante di esitazione, lo prese.

Non conoscevo nulla di quella zona ma ero con lei. Carico e sicuro.

Camminammo nella notte parigina.
I tacchi bassi che battevano piano sull’asfalto umido.
Le luci dei lampioni che disegnavano ombre dorate sui marciapiedi.

«You’ve been watching me.»
(Mi hai osservata.)

«Three nights.»
(Tre notti.)

Lei rise piano, nervosa.

«You didn’t say a word.»
(Non hai detto una parola.)

«I was enjoying the view.»
(Mi godevo lo spettacolo.)

Lei abbassò lo sguardo, sorridendo.

Camminammo ancora.

«Are you going to tell me your name?»
(Mi dirai il tuo nome?)

«I already know yours.»
(Il tuo lo so già.)

Lei rise, il viso arrossato.

«Touché.»
(Colpita.)

«A.»


«Sofia.»
(Sofia.)

Un silenzio complice calò tra noi.

Il bistrot era caldo e raccolto.
Pochi tavoli sparsi, qualche coppia che parlava piano, bicchieri che tintinnavano in lontananza.

Ci sedemmo in un angolo, il vino davanti a noi.
Vicini.
Troppo vicini.

Sorseggiai il Bordeaux lentamente, lasciando che il silenzio crescesse tra noi.

Lei guardava il suo bicchiere, giocando con il gambo tra le dita.

«You’re nervous,» dissi, inclinando la testa.
(Sei nervosa.)

Lei rise piano, senza negarlo.

«Maybe I’m just not used to being… noticed.»
(Forse non sono più abituata a essere… notata.)

Mi sporsi un po’ in avanti, abbassando la voce.

«Their loss.»
(Una perdita per loro.)

Lei arrossì, sorridendo appena.

«I’m married.» disse, quasi a giustificarsi.
(Sono sposata.)

Non risposi subito.
La lasciai parlare.

«I have two kids. Boys. Eight and five.»
(Ho due figli. Due maschi. Otto e cinque anni.)

Guardava il vino mentre lo diceva, come se confidasse qualcosa di troppo intimo.

«And a husband who barely sees me anymore.» aggiunse, la voce scivolando via bassa.
(E un marito che quasi non mi vede più.)

Alzai il bicchiere in un gesto lento.

«Blind men exist everywhere.»
(Gli uomini ciechi esistono ovunque.)

Lei rise, un po’ triste, un po’ divertita.

«Maybe it’s not his fault. Life… work… kids… we forget.»
(Forse non è colpa sua. La vita… il lavoro… i figli… si dimentica.)

La guardai dritta negli occhi.

«I don’t forget things I want.»
(Io non dimentico mai quello che voglio.)

Lei trattenne il respiro un istante.
Un battito.
Un’esitazione.

Poi sorrise di nuovo, ma stavolta era un sorriso diverso.
Più fragile.
Più vero.

Chiacchiere cariche di doppi sensi

Bevemmo ancora.

«So tell me,» dissi, cambiando tono per alleggerire l’aria, «how does a married mother of two end up dropping her business card to a complete stranger?»
(Allora, dimmi, come fa una mamma sposata a lasciare il suo bigliettino a uno sconosciuto?)

Lei rise, coprendosi la bocca con la mano come una ragazzina colta in fallo.

«Maybe because she’s tired of being invisible.»
(Forse perché è stanca di essere invisibile.)

«You’re not invisible to me.»
(Per me non sei invisibile.)

«I noticed.» disse, il sorriso che tornava sulle labbra.
(Me ne sono accorta.)

Parlammo ancora.

Dei viaggi.
Di come fosse difficile lasciare i figli a casa.
Di come si fingesse forti, quando dentro si aveva solo voglia di sentirsi viva ancora una volta.

«And you?» chiese ad un certo punto. «Family? Wife waiting for you?»
(E tu? Famiglia? Una moglie che ti aspetta?)

Scossi la testa.

«Only bad habits.»
(Solo cattive abitudini.)

Lei rise, il viso che si rilassava un poco.

Momenti sospesi

«Maybe I’m one of your bad habits now.» sussurrò, abbassando lo sguardo.
(Forse adesso sono una delle tue cattive abitudini.)

La guardai a lungo.
Serio.

«No.» dissi.
(No.)

Lei sollevò lo sguardo, sorpresa.

«You could never be a habit. You’re a temptation.»
(Tu non potresti mai essere un’abitudine. Sei una tentazione.)

Lei si morse il labbro inferiore.
Il respiro corto.

Appoggiò il bicchiere sul tavolo, come se avesse bisogno di entrambe le mani per restare ferma.

Pagammo in silenzio.
Le dita che si sfioravano per sbaglio.
Gli sguardi che bruciavano.

Uscimmo nella notte.

Parigi ci aspettava, silenziosa e indifferente.

Camminammo ancora.

Le nostre mani si sfioravano a ogni passo.

«If we were smart,» disse lei piano, «we would stop now.»
(Se fossimo intelligenti, ci fermeremmo adesso.)

«Are you smart, Sofia?»
(Sei intelligente, Sofia?)

«Not tonight.»
(Non stanotte.)

La hall era silenziosa.

Attraversammo senza dire nulla.
I nostri passi lenti, consapevoli.

Arrivammo davanti all’ascensore.

Mi voltai verso di lei.

I suoi occhi pieni di paura e desiderio.

Allungai la mano.

Premetti il bottone.

Un suono secco.

Le porte si aprirono.

Entrammo.

Soli.

Le porte si richiusero.

La notte trattenne il fiato con noi.

==> continua

POSTED 0 COMMENTS: