HISTOIRE TITRE: Regalo di Natale 
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Regalo di Natale


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Regalo di Natale

by iaaia
Vu: 310 fois Commentaires 3 Date: 02-10-2024 Langue : Language

Sottotitolo: racconto di fantasia.
Ma partendo da un fondo di verità.
La verità è la cena di tre anni fa, con coppie amiche e qualche singolo, in prossimità del Natale.
Cena organizzata in un ristorante al lago di Garda, niente di meno comodo per noi emiliani doc.
Altra cosa vera, il rientro in 3. Cioè, dovevamo essere solo io e mia moglie in macchina ma, all’ultimo secondo, letteralmente prima di ripartire per tornare a casa, uno degli scapoli della compagnia mi ha chiesto se poteva salire con noi. E non potevo rifiutare.
Ultima cosa vera e poi parto con il racconto di fantasia, lei quella sera indossava una gonna corta, stivaletti, un maglia di lana che la fasciava e… esclusivamente per il rientro… l’ovetto.
Si perché il “regalo di Natale” che le avevio chiesto per quel Natale era di infilarsi l’ovetto durante il ritorno così che io mi sarei potuto sbizzarrire ad attivarlo e disattivarlo a piacimento, magari mentre parlava, per sentirla sussultare o magari singhiozzare o più semplicemente ridacchiare. L’avevamo già fatto altre volte (altra cosa vera) ed era mio desiderio sfruttarlo anche durante quel lungo ritorno.
Per accontentarmi quindi, e qui finisce davvero la realtà, lei prima di uscire dal ristorante si era recata in bagno e, tiratasi dietro la porta, si era infilata l’ovetto in figa, risistemando mutandine e calze collant. Quindi mi ha raggiunto e ci siamo diretti insieme agli altri alle macchine.
Ed è in quel momento che Giulio mi si avvicina e, tra il bevuto e il non, mi rifila una pacca sulla spalla e mi chiede se c’è posto per lui.
Io guardo Claudia, faccio buon viso a cattivo gioco (anche se vedevo frantumarsi il mio “regalo di Natale”) e gli dico di sì. Del resto, che altro potevo fare? Eravamo solo io e Claudia in piedi affianco all’auto. Mica potevo dirgli che non c’era posto per lui.
A lei, fra l’altro, la cosa non dispiaceva neppure. Non ci ha mai tenuto troppo al gioco dell’ovetto e almeno così avrei evitato di attivarlo.
Saliamo, imposto il navigatore, e via che si va.
E qui, come detto, finisce la realtà e inizia la fantiasia.
Giulio, inizialmente si sistema dietro, in mezzo al sedile, e si affaccia di tanto in tanto verso di noi.
Poco dopo, imboccata l’autostrada, si mette più comodo, appoggiandosi alla portiera, dietro di me.
Sono certo che è anche un modo per tenere d’occhio i collant di Claudia, che sono sicuramente una vista migliore rispetto ai miei pantaloni.
Lui è sempre stato uno con la battuta pronta. Parlano soprattutto loro, del più e del meno, della cena, degli spettegolezzi, della canzone che sta girando alla radio… ed io guido.
E mentre guido, mi viene la balzana idea.
Ho sempre il telecomando dell’ovetto nella tasca della giacca. Lo cerco con la mano sinistra. Lo trovo. Lo afferro e riporto la mano sul volante. Nessuno mi ha notato.
Lo faccio o non lo faccio?
Loro stanno parlando di una coppia di amici.
Lei si gira spesso indietro verso Giulio, per parlargli meglio. Nel farlo, accavalla quasi le cosce. Si piega verso di lui e riesco solo a immaginare la vista di lui sul decoltè di lei. La maglia la fascia e le disegna le tettone, ma è anche generosamente scollata e il reggiseno fa il resto.
Lo faccio o non lo faccio, dunque?
Claudia non sembra essersi accorta di niente. Ora sta ribattendo, divertita, sull’osservazione di lui sull’abito che una nostra amica indossava quella sera.
Non riesco a trattenermi e schiaccio il pulsante del telecomando.
Lei ha un sussulto, quasi un singhiozzo e mi dà una pacca sulla spalla. Come a dire, ma cosa fai!
Nel mentre ha serrato le cosce e si sta muovendo, impercettibilmente, sul sedile, per trovare una confort zone che non esiste.
Interrompe quello che stava dicendo con una risatina imbarazzata e si torna a sedere girata in avanti, le cosce sempre ben chiuse.
Spengo l’ovetto.
Giulio non si è accorto di niente.
Ma io vedo bene che Claudia si è fatta rossa in viso. E con la mano aperta mi fa segno di stare fermo, di non farlo più.
Tutto ok? – chiede Giulio dopo un po’ che il silenzio è calato nell’abitacolo.
Sì sì – dice lei – mi è venuto solo un giramento di testa a stare girata all’indietro. Ma ora è già passato.
Vieni a sederti dietro – dice lui divertito.
Ma no, è già passato.
Cla, se vuoi mi fermo un attimo e puoi salire dietro come dice Giulio. Non vorrei mai che mi svenissi qua. – E detto questo riattivo l’ovetto.
Lei ci mette un attimo per riprendersi dalla sorpresa della seconda scossa.
Spengo l’ovetto.
Se mi prometti… di andare piano… vado dietro. Ma non devi smetterla di fare…. come poco fa – risponde lei, fra il serio e il faceto.
Capisco e annuisco.
Per sembrare meno perfido di quanto sono, chiedo a Giulio se vuole venire davanti al posto di Claudia. E lui, candidamente, mi dice di no, che sta bene lì.
D’accordo – dico io – ora accosto.
Alla prima piazzola lo faccio e lei, con sguardo gelido stavolta, scende dall’auto, prende una boccata d’aria e risale dietro. Giulio è rimasto al suo posto, dietro di me.
Ripartiamo.
L’abitacolo è immerso nel buio. Nessuno ha ripreso a parlare come prima. Alzo la radio. Ogni tanto sento loro brevi commenti sulla canzone, sul traffico, sulla serata.
Io ho sempre il telecomando dell’ovetto in mano. Decido di forzare la mano, anche a costo di litigare poi con Clauida.
Schiaccio sul pulsante.
La sento mugulare. O brontolare. Intuisco il suo movimento, sempre per cercare una posizione meno sconveniente.
Seduta com’è, probabilmente, l’ovetto che le vibra in figa si fa sentire.
Vai piano – mi intima.
Sto facendo i 100 – replico io. Ma poi spengo l’ovetto.
Lei finalmente respira.
Tutto ok? – si sincera nuovamente Giulio, che capisce che Claudia ha davvero qualcosa che non va.
Ho ancora quei giramenti – spiega lei.
Appoggiati qua – le dice lui – non ti mangio… e magari ti farà bene chiudere gli occhi un attimo.
Lei tentenna. Fa per rifiutare. Io riattivo l’ovetto.
Lei sbuffa. Avvampa. Davvero non ce la fa più a stare seduta.
Ok – dice alla fine, vinta.
Ed io spengo l’ovetto.
Lei si sdraia sul sedile dietro, la testa sulle gambe di Giulio. Giulio la copre con il suo cappotto e le appoggia la mano sul fianco. E’ la sola cosa che vedo nello specchietto retrovisora. Non vedo il viso di Claudia, non vedo che la parte centrale del suo corpo, coperta dal cappotto di Giulio e la mano di questi che le accarezza il fianco, come a rincuorarla o riscaldarla.
Ora più nessuno parla per davvero. Facciamo tutti finta che sia per l’orario e la stanchezza. Ma tutti sappiamo che la situazione è davvero strana, anomala.
Fisso il telecomando un’altra volta.
Lo faccio o non lo faccio?
Do una scossetta e poi lo spengo subito.
Ma lei ha avuto un sussulto.
Immagino la sua testa premere sulla patta di lui.
Si mette più comoda, cerca una posizione diversa… maneggia con le braccia e le mani, probabilmente per farne un cuscino. Lui continua ad accarezzarle il fianco. Ma la sua mano si è infilata sotto al cappotto.
Faccio finta di non essermene accorto. Del resto, non ho modo di vedere nessuno di loro due negli occhi. Non ho modo di capire cosa sta succedendo.
Fingo di guardare fuori e mi metto persino a fischiettare. L’autostrada è quasi deserta. Posso permettermelo. Lascio parlare la radio. Lascio correre la fantasia. Mi sto torturando immaginando chissà cosa: la mano di lui sotto la maglia di lei, la carezza che diventa un palpeggio, la sua mano che le stringe la tetta, il suo cazzo inturgidirsi, crescere e premere sulla cerniera… lei che se ne accorge.
Devo calmarmi. All’autogrill sul Po metto la freccia e mi fermo.
Volete qualcosa? Vado a farmi un caffè.
No, vai pure – mi dice Giulio – Claudia secondo me dorme… non voglio svegliarla.
Lei non dice nulla.
Chi tace acconsente.
Io scendo ed entro nella stazione di servizio.
Ordino un caffè e intanto cerco di controllare l’auto, attraverso le vetrate. Il gioco di luci non mi permette di vedere niente.
Esco deluso. Chissà cosa avrei voluto intuire da là dentro. Magari la nuca di mia moglie salire e scendere?
Rientro in auto.
Eccomi qua. Claudia dorme ancora?
Sì – mi dice lui.
Riparto.
Prima butto un’occhiata dietro.
Claudia sembra addormentata. Ha sistemato un maglione di riserva sulle gambe di lui. Lo usa come guanciale insieme alle mani. Ma le mani sono esattamente sopra l’uccello di Giulio, non ci vuole un anatomista per capirlo.
Fingo di non avere visto e mi rimetto alla guida.
Ripartiamo e, come già negli ultimi chilometri, nessuno parla. Noto di sfuggita il volto di Giulio che guarda fuori. Intuisco ogni tanto qualche movimento di Claudia. Nel sonno? Cerco di capire se la mano di lui è sempre sotto al cappotto… sì, intuisco che la sta accarezzando ma non capisco in che modo e dove.
Intanto ci avviciniamo a casa.
Siamo ormai al casello. E di lì a breve siamo sotto casa di Giulio. Accosto. Claudia si tira su, Giulio si sistema. Io faccio in modo di non guardare negli specchietti. Esco dall’auto per sgranchirmi e prendere un po’ d’aria.
Esce anche Giulio.
Si sta allacciando il cappotto.
Non posso fare a meno di cercare con lo sguarda la patta dei suoi pantaloni. E’ dannatamente aperta. O semiaperta. Di sicuro non è chiusa come lo era quando è salito in macchina.
Ci salutiamo al freddo di quella quasi alba incerta. Mi sorride e mi ringrazia.
Salgo in auto e riparto. Claudia è rimasta dietro.
Nessuno dei due dice una parola.
Neppure arrivati a casa. Semplicemente un mio: Arrivati. Andiamo a letto.
Prima di infilarsi nel letto va in bagno. Ne esce di lì a poco. Mi allunga l’ovetto.
Somaro!
Sei arrabbiata?
Un po’.
Non ti è piacciuto?
Un po’.
Poi mi bacia. E mi sussurra.
Non mi sono lavata i denti apposta… non senti niente di strano?

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