STORY TITLE: Una chiave d'agosto 
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STORY

Una chiave d'agosto

by jennieivan
Viewed: 86 times Comments 0 Date: 29-05-2025 Language: Language


In una sera afosa di inizio agosto, quando il caldo è talmente asfissiante da togliere ogni voglia di uscire, mi ricordai improvvisamente: era il compleanno della mia migliore amica. L’unico desiderio era restare in casa, davanti al condizionatore, ma non potevo tirarmi indietro. Nella mente cominciavano a intrecciarsi tutte le possibili scuse per evitare quella festa.

Poi arrivò mio marito, con il suo tono dolce ma fermo: “È un compleanno importante. Non puoi mancare.”
Aveva ragione. Un’amica d’infanzia, una di quelle presenze che non si cancellano nemmeno col passare degli anni. Per l’occasione aveva scelto una serata intima tra amici, su una terrazza che si affacciava sul mare. L’idea di affrontare il caldo anche lì non mi entusiasmava, ma per lei avrei fatto volentieri questo piccolo sacrificio.

Scelsi un vestitino nero, semplice ma elegante, che accarezzava la pelle e faceva risaltare l’abbronzatura. Una lingerie leggera, appena percettibile, completava il mio silenzioso tributo alla femminilità. Presi il braccio di mio marito e ci avviammo verso il luogo dell'incontro.

La location era splendida. Il panorama mozzafiato: il mare, scuro e immobile, sembrava trattenere il fiato sotto la luna. Gli invitati erano tanti, non li conoscevo tutti, e facevo del mio meglio per sembrare coinvolta, presente.

Dopo circa un’ora, mentre già stavo decidendo se fosse educato andarsene, i miei occhi si incrociarono con quelli di un uomo tra i nuovi arrivati. Un attimo. Due. Il cuore fece un salto.
Era lui.
Un uomo con cui, anni prima, avevo condiviso una notte di passione. Una di quelle parentesi che sembrano irreali, e che poi svaniscono, lasciando dietro di sé solo il ricordo della pelle che brucia.
Ci eravamo persi di vista. Ora era lì, in piedi, con lo stesso sguardo intenso. Era in compagnia di amici, ma non smetteva di guardarmi. O meglio, di guardare me.

Si avvicinò con naturalezza, come se fossimo vecchi amici. Ci porse due calici di vino. Parlammo tutti insieme, con mio marito accanto. Poi, con un movimento impercettibile, si avvicinò al mio orecchio e, con un sussurro che mi fece rabbrividire, disse:

— Venite al piano inferiore.

Mi porse una chiave. E scomparve.

Rimasi lì, immobile, con la chiave nella mano chiusa a pugno, come se custodissi un segreto. Guardai mio marito. Lui stava ancora conversando, ignaro.
Poi mi guardò.
E sorrise.
Uno di quei sorrisi che conoscevo bene. Complice. Silenzioso.
Forse sapeva. Forse ricordava.
Forse… era curioso.

Scambiammo un’occhiata. Poi, senza dire una parola, ci alzammo e ci avviammo verso la scala che portava giù, al piano inferiore.

La chiave girò nella serratura con un clic morbido. La porta si aprì su una stanza semiilluminata, avvolta da una luce calda e dorata. Il profumo del mare si mischiava a quello di cera d’api e ambra, rendendo l’atmosfera più intima, più carnale.

Lui era già lì. In piedi, accanto a una poltrona di velluto scuro. Camicia sbottonata, lo sguardo penetrante, come se stesse aspettando esattamente quel momento, quel preciso istante in cui io — noi — saremmo entrati.

Mio marito mi camminava dietro, in silenzio, ma percepivo il suo respiro farsi più lento, profondo.

— Non pensavo sareste scesi… — disse l’uomo, la voce roca.

— Nemmeno io. — risposi, ma ormai il mio corpo parlava un’altra lingua. Quella della pelle, della memoria, del desiderio.

Lui si avvicinò, lentamente. Le dita sfiorarono la mia spalla scoperta, poi scesero lungo il braccio, come se volesse riconoscere ogni centimetro di pelle che un tempo aveva già toccato. I miei occhi cercarono quelli di mio marito. Nessuna gelosia, nessuna domanda. Solo… un cenno. E quel cenno, silenzioso e sicuro, fu il lasciapassare.

L’uomo si avvicinò ancora, mi baciò piano sulla guancia, poi all’orecchio. Le sue labbra tracciarono una linea sottile lungo il collo, dove il battito si era fatto rapido. Le sue mani trovarono l’orlo del vestito, che scivolò giù come un sussurro, lasciandomi in lingerie. Mi sentii guardata, desiderata da due sguardi diversi, eppure uguali nella fame.

Mio marito si avvicinò a sua volta. Le sue mani incontrarono le mie, poi le posò sui fianchi, lentamente. Il contrasto tra il tocco familiare e quello antico dell’altro uomo accese una scintilla che da tempo non provavo.

Non c’erano più parole.

Solo respiri.
Mani.
Corpi.

Il divano dietro di noi divenne il teatro di una danza silenziosa, dove i ruoli si confondevano, si mescolavano. Le mani dell’altro percorrevano la mia schiena mentre mio marito mi baciava tra le scapole. Sentivo la loro energia muoversi in sintonia, come se si fossero studiati prima, come se conoscessero già il mio corpo meglio di quanto io stessa potessi ricordare.

Le dita si intrecciavano, le bocche esploravano, i respiri si spezzavano a vicenda. Ogni gesto era una carezza, ogni sussurro un invito a cedere ancora, a lasciarsi andare senza vergogna.

Mi sentii libera.
Desiderata.
Al centro di qualcosa che non era solo passione, ma una promessa mantenuta con eleganza e ardore.

Quando tutto fu finito, restammo lì, intrecciati, sudati, con il mare a farci da sottofondo. Nessuno parlò. Non ce n’era bisogno.

Ero venuta per una festa. Ma quella notte, avevo ricevuto un regalo che non avrei mai osato chiedere.

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