STORY TITLE: L'INIZIAZIONE (prima parte) 
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L'INIZIAZIONE (prima parte)


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L'INIZIAZIONE (prima parte)

by TheDominusNoctis
Viewed: 873 times Comments 2 Date: 20-02-2023 Language: Language

L'INIZIAZIONE SOLVET ET COAUGULA
Il racconto si basa su di una vicenda realmente accaduta.

Pensare che una volta quel trillo mi irritava; al punto tale anche che mi lasciava una sensazione di fastidio materiale. Ma ora volevo assolutamente sentirlo. Solo sentirlo mi dava quella emozione e mi conduceva verso uno stato di eccitazione che quasi impercettibilmente partiva dalla mente sino ad arrivare sul ventre, e li perdersi in quei meandri di carne che, al sol pensiero, vibravano di vita propria.

Caldo.
Una giornata afosa e calda aveva segnato la mattinata. Una mattinata dove avevo avuto modo solo di pensare al suo modo di scrivermi, parlare, definire, ordinare. Modi di comportarsi con me che mi avevano conquistato e rapita nello stesso tempo. Ordini che credevo mai avrei potuto ottemperare e che ora mi mancavano. Mancavano alla mia mente, sempre più come una spugna che assorbe, e al mio corpo. Un corpo che cercava di entrare in sintonia con ciò che mi veniva impartito. 


Faceva veramente caldo. Ma non volevo rimane a casa. Senza pensarci su indossai quel vestito nero lucido attillato, la scarpa con un accenno di tacco e la mia borsa preferita; una Disegual colorata. Senza trucco e con la mente sempre più assorta nei pensieri uscii di casa diretta non so dove, ma sicuramente cercando quel refrigerio mentale che mi potesse allontanare dalla mancanza di messaggi, di ordini, di lui.
Camminavo tra le vetrine senza un motivo, senza una meta, senza una ragione. 

Caldo. 
Un caldo mai visto mi faceva sudare e sentivo che, anche tra i glutei, ero bagnata. Quel pensiero mi portò lontano nel tempo quando mi sentii bagnata tra le chiappe quando mi fu impartito quello strano e inusueto ordine. 
Un sorriso infantile comparse sul mio volto mentre incrociavo un ragazzo che, a sua volta, ricambio quella espressione di soddisfazione. 
Ma non era a lui che mi riferivo.

Tuttavia notai con la coda dell’occhio che quel ragazzo si voltò verso di me sperando che io facessi altrettanto. Una azione del genere l’avrebbe spinto a scambiare quattro chiacchiere con me. Ma non avevo voglia di fare la fata ammaliatrice, la donna che cercare un toyboy. Avevo mille pensieri nella mente, l’interno del culetto bagnato e una strana voglia che mi stava pulsando nella mente.
Ad un tratto dal telefono si udì il trillo: un messaggio. Era lui?
Era lui, era forse mio marito, era forse la mia amica, era forse... la mente già vagava in mille risposte. Presi il telefono, con il cuore che sentivo batteva sempre più forte, e guardai lo schermo. Era lui. 


D’un tratto mille pensieri si affollarono nell’ambito mia mente, ma non riuscì a discernere nulla. Quindi apri semplicemente il messaggio. Era un ordine! 
Quello che avevo atteso per giorni e giorni si era materializzato. Controllai più attentamente e l’ordine era perentorio. “ A breve sarai raggiunta da macchina condotta da un uomo. Lui ti dirà di salire. Tu sali e segui, attentamente, le istruzioni che ti dara’.”
Non capivo, ma ero talmente tanto immersa in mille pensieri che non mi preoccupai di nulla e non sapendo chi fosse quest’uomo e che auto mi avrebbe avvicinata, mi fermai esattamente nel punto dove mi trovavo.

Chi sarà quest’uomo sulla cui macchina devo salire? Ma come farà a riconoscermi? Conosce la mia posizione? Mi sta già seguendo?
Mille pensieri erano compressi in una mente che continuava ad elaborare domande e risposte. Mille immagini apparivano nel mio subconscio che oramai era un fiume in piena.

Un fiume in piena di sudore che sentivo scivolare sulla schiena e arrivare sui mie glutei.
Quesi glutei che tanto attiravano le passioni del mio… lui.
Del mio Padrone!
Quasi come un automa, mi aggiustai i capelli che si erano mossi ad una breve quanto appagante folata di vento fresco, mi stirai i fianchi del vestito con le mani affinché scendesse meglio, mi levai dagli occhi gli occhiali da sole e… rimasi in una posizione di attesa con il corpo rivolto verso la strada.
In questo modo l’uomo con l’auto poteva vedermi meglio. 
Faceva caldo.

Eccomi qui come una ebete, come una ragazzina in attesa del suo spasimante che immobile come una statua attende, attende, attende ed ancora attende.


Una attesa seguita dai soliti mille pensieri e dai mille ricordi dei suoi ordini. Ordini impartiti da un uomo che non avevo mai visto. Un uomo che si celava dietro lo schermo del computer, dietro i messaggi di whatsapp e dietro la sua voce all’atro capo del telefono. 
I suoi ordini però mi aveva talmente tanto colpito che oramai lo seguivo come un cagnolino segue il suo padrone… anzi, come un gregge segue il padrone. 
Ed ora coronavo la mia curiosità, la mia voglia di incontrarlo, la mia necessita di sottomettermi materialmente.


Attesa, trepidazione, curiosità, eccitazione e un senso di timore albergavano in me e in quel ventre che sentivo vibrare e agitarsi come ormai non mi accade più da anni.
Le sue mani sulla mia schiena si insinuano delicate e decise dietro la spaccatura del vestito provocavano una ritrazione dei muscoli dei glutei che mi faceva indurire il mio culo. La salivazione che veniva sempre meno e un groppo alla gola non permetteva di proferire parola ma solo esternare un suono gutturale acuto. Le mie mani tremanti scendere quasi senza vitalità sui lati del corpo. Un corpo sopraffatto da un formicolio che non capivo da cosa fosse provocato ma che mi dava piacere.
La pelle d’oca su tutto il corpo evidenziava in me un stato di eccitazione che si era sin troppo esposto e che mi aveva esposto a lui.


Caldo. 
Faceva troppo caldo. Di un caldo che ti faceva venire voglia di bagnarti e dare refrigerio al corpo e alla mente. Una mente che fantastica di ciò che avevo sempre sognato.
Sogni. Sogni ad occhi aperti. Ecco che, in quella attesa che mi sembrava sempre più lunga, la mia mente vagare in quella sessualità che il corpo cercava quasi inconsciamente.
Ma sapevo che non sarebbe stata cosi. Era il corpo, il mio ventre, il sudore e quella sensazione di tensione emotiva che facevano in modo di immaginare le sue mani varcare i confini del mio abitino per sentire le mie emozioni cutanee esplodere.


Caldo, caldo e ancora caldo… pensavo mentre cercavo di ricomporre i pensieri e fare mente locale per bloccare quello stato du eccitazione multisensoriale che il corpo sentiva e percepiva.
Il suono di un clacson terminò prontamente i mie caldi e afosi pensieri. Feci appena in tempo a ruotare di poco gradi il mio corpo e un signore, sembrava un sessantenne, mi chiamo per nome.
“Anna. Signora Anna?”
Un momento di empasse, un momento di smarrimento, il cuore che sentivo battere velocemente, il brusio delle persone intorno a me che mi passavano accanto, il rumore delle auto che scorrevano lungo la strada.




“Signora Anna!” 
Ancora una volta, ma questa volta con voce perentoria, il signore dall’auto mi chiamo nuovamente! 
Mi ripresi. Mi ripresi da uno stato di smarrimento inusuale per me e risposi, con un filo di voce, annuendo “Si, sono io.”

“Signora Anna, sono Alfredo e sono un conoscente del Dottore. Mi è stato ordinato di condurla da lui. Mi segua, per favore!”
Rimasi per un attimo interdetta e poi, quasi meccanicamente, mi diressi vicino l’auto. Girai intorno dalla parte portiere e mi avvicinai allo sportello del passeggero.
“No, signora. Si deve accomodare dietro!”
Mi ritrassi e girandosi su me stessa posi la mia mano sulla maniglia della Giulietta color nero che era venuta a prendermi.


Caldo, ancora e sempre più caldo sentivo. 
Ma era un caldo dovuto alle condizioni atmosferiche o indotto dal mio corpo? Un corpo che adesso sentivo vacillare nella sua integrità, nella sua volontà di mantenersi calmo e tranquillo. Un corpo pervaso da uno suo stato di eccitazione che mai avevo provato prima.
Uno stato che non sapevo e non capivo se mi conducesse ad un piacere nuovo, altamente coinvolgente, o ad un fastidio che si dipanava in mille rivoli in quel corpo che aveva desiderato di appartenere ad un uomo sconosciuto: un Padrone.
Non la mano accaldata apri la portiera e mi accomodai sul sedile. La seduta di quella auto, almeno nella zona posteriore, non è di quelle agevoli e nel sede si alzo sin sopra le ginocchia il mio vestitino.

Quasi spinta da un pudore atavico mi abbassai quel tessuto che cosi birichino si era alzato lasciando intravedere le cosce a chi passava da quel lato.
Chiusi la portiera e fui immersa da una aria gelida. Il sistema di condizionamento dell’auto era sin troppo alto e lo sbalzo di temperatura mi fece sentire ancor più stordita di come già lo fossi.

La pelle delle sellerie dell’auto era fredda ed ora il mio culetto, dopo il bagno di sudore e caldo, sentiva freddo.
Una sensazione che mi ricordava uno dei primi ordini impartiti dal Dottore. 
Immaginai che non aveva lasciato nulla la cosa per il nostro incontro e la sensazione di forte freddo nell’auto era dovuto, ricercato, voluto.
Pensavo che il Dottore…
“Signora Anna. Si metta comoda. La condurrò dal Dottore. Mi dica pure se posso far qualcosa per lei”.


Mi disse Alfredo voltandosi, verso di me, e facendosi vedere completamente in volto.
Un volto sbarbato e privo di qualsiasi emozionalità si sporgeva delicato verso me. Quasi un automa che rispondeva, come se fosse collegato in remoto, ad un operatore, ad un padrone! Quella mancanza di espressività faceva il palio con un abbigliamento che identificava questo personaggio come un autista: giacca, camicia bianca e cravatta rigorosamente nera. 
Il caldo aveva lasciato velocemente il passo al freddo.
La temperatura era divenuta bassa, forse troppo bassi rispetto all’ambiente esterno. Sentivo ora quelle mutandine, che in precedenza erano quasi bagnate del mio sudore e forse anche di un umore lieve, essere diventate fredde. Il mio culetto sei era velocemente raffreddato. 




“Signor Alfredo, le chiedo una cortesia. Può alzare, per favore, la temperatura del climatizzatore? Sa… sento un pochino di fastidio dovuto al freddo.”
Alfredo, innestò la marcia, mi guardo dallo specchietto lasciandosi sfuggire un lieve, leggero e quasi incontrollato inarcamento della bocca. Un lieve sorriso o un ghigno? 
Freccia inserita, piede sull’accelerato e Alfredo si mosse lasciandomi in attesa della risposta. Un risposta, una richiesta che non stava avendo un riscontro.
Il cuore mi batteva forte, le mani sulle ginocchia e gli occhi rivolti alla strada che stavamo percorrendo.


Ero in uno stato di trance multisensoriale. 
Uno stato che avevo imparato a conoscere seguendo quel percorso che il Dottore aveva preparato per me, solo per me.
Pensare, immaginare, sentire e provare che una persona si stava dedicando completamente a me, cancellando tutte le altre sue attività, rendeva le mie giornate caratterizzate da uno stato di perenne stato di eccitazione. 
Di una eccitazione dovuta non solo da sensazioni riconducibili al sesso, ma ad un qualcosa che non avevo mai provato prima e che faceva provare un benessere nuovo, diverso. 


Non passava giorno che non provassi scariche di pura adrenalina che il mio copro e la mia mente facevano fatica ad assorbire completamente.
Uno stato che mi rendeva drogata, assuefatta, legata, bloccata come una farfalla nel suo bozzolo che piano, piano però stava cercando di uscire e vedere finalmente la vita che vi era intorno. 
Un trillo, il trillo! Il suono del mio cellulare mi riportò alla realtà. Mentre l’auto percorreva le strade conosciute, presi lo smartphone dalla borsa e, digitando il codice di sblocco, apri la schermata dell’app dei messaggi.
Rilassati sei troppo nervosa. Ricordati ciò che ti dicevo alcuni giorni fa. 
Cosa mi diceva? 
Cercavo di ricordare nei meandri della mia mente. Sii, ecco! 
Mentre ricordavo Alfredo allungo la mano sul sedile del passeggero e prese una busta e, molto delicatamente, me la porse. 


“Per lei Signora Anna da parte del Dottore. Al suo interno troverà anche un suo biglietto”. 
Allungai le mani e accolsi questa busta dietro, con me. La busta aveva impresso a caratteri cubitali il logo di “Intimissimi”.
L’aprii e, prima di vedere cosa conteneva, cercai il bigliettino.
Eccolo.
Il biglietto emanava un odore molto piacevole. Cercai di ricordare dove e quando l’avevo sentito prima. La mente scavava nei suoi ricordi per capire, per ricordare, per tentare di dare una collocazione. 

Vero… ecco dove avevo sentito quel profumo. Un sorriso mi segnò il volto e mi resi conto di come tutto ciò che stavo provando da qualche mese a questa parte mi dava quelle emozioni cosi forti di cui ora non potevo più fare a meno. 
Ma il ricordo svanì, come il vento spazza la nebbia dei giorni di novembre sul mare, quando i mie occhi si fermarono sul biglietto.
Alla mia futura Sacerdotessa. All’interno troverai dei capi che DEVI indossare. Indossali! Non preoccuparti di Alfredo. 




Questa richiesta mi lascia un tantino interdetta, dubbiosa, timorosa. Lascia cadere il biglietto profumato, di quell’odore che mi aveva fatto sorridere, sulla pelle del sedile e controllai il contenuto della busta.
Autoreggenti velate 20 denari con riga posteriore e balza in pizzo e un completino nero Glamour Raffinée senza spalline setato con una Cullotte Regiment che, immaginai, avrebbe fasciato più che bene il mio lato “b”.
Quel lato che il dottore avevo intuito, immaginato e capito prediligere.

Aveva scelto la biancheria per me! 
Ma… ma dovevo indossare questi indumenti in auto? Mentre eravamo in marcia verso un luogo sconosciuto? Con gli occhi di Alfredo che avrebbero scrutato lo specchietto? 
Ma poi faceva caldo… fuori!
Trascorsero lunghi minuti e, d’un tratto, l’auto svolto in una strada che non conoscevo. Si diresse, sembrava, quasi lontano dal traffico cittadino ancora troppo intenso di questo caldo e afoso luglio.


L’auto rallento la sua corse e, a passo d’uomo, sembrava cercare un logo il meno frequentato possibile. Il cuore mi batteva più forte e quella sensazione di eccitazione che mi penetrava nelle carni stava scomparendo. Ma, nello stesso momento, si stava presentando e annunciando una nuova, strana e mai provata prima eccitazione. 
Una sensazione che era mista ad un timore, un timore che calcava l’onda delle mie sensazioni. Sensazioni che prima erano desiderose di esplodere alla vista del mio maestro, del mio signore come alcune volte amavo chiamarlo e che ora erano state sostituite da dubbi e perplessità.


Ma anche in quello stato assurdo e quasi surreale, una parte del mio corpo la mente era sempre attivo e pronto a scorgere quelle emozioni nuove, diverse, essenziali che il Dottore aveva detto avrei provato sulla mia pelle e nella mente. 
Una emozione che più trascorreva il tempo, mentre l’auto a passo d’uomo percorrere queste strade laterali, e più si avviluppava nel mio corpo. Una emozione che cresceva di pari passo e pari intensità al mio bisogno di capire, comprendere e varcare quella soglia che il Maestro mi aveva detto di voler far emergere in me. 


Quelle famose e ormai invocate “Colonne d’Ercole” di cui mi parlava e che io stesso, ora e più di prima, volevo varcare per scoprire le mia vera identità di donna, di femmina, di persona!
Una emozione, scaturita dalla sensazione del momento, che si era tramutata e che si stava trasformando in qualcosa che non ben capivo. 
In questo momento averi voluto per me e con me la parola confortante e decisa del mio signore. In questo momento avrei voluto che la professionalità mista alla perentorietà del mio simbionte mi potesse condurre sulla strada della conoscenza.
Invece ero sola, immersa in una nuova condizione emozionale, con un uomo sconosciuto, con ordine da eseguire e con un corpo che provava emozioni aliene.
“Signora!!!” 


Una perentorietà rimbombò nella mia testa. Era Alfredo che mi aveva, con la sua voce che ora era divenuta perentoria, fatta ritornare alla quotidianità del momento. 
“Signora, Lei sa cosa deve fare. Non credo che il Dottore sarà contento se non ottempera a ciò che le è stato ordinato”.




Era vero. Era assolutamente vero.
Per un attimo, che durò una vita, ripercorsi indietro la mia vita di donna sempre molto pudica che mai e poi mai si sarebbe un giorno immaginato di salire su di un auto condotta da uno sconosciuto e spogliata. Mai e poi mai avrei immaginato, anche a causa della professione lavorativa, di essere alla mercé di un Dottore che di conosce meglio di se stessi. Mai e poi mai avrei immaginato di guardarmi nell’intimo e conoscere le mie perversioni e materializzarle.

Mai e poi mai avrei permesso a nessuno di varcare la soglia di quella pudicità mentale che delinea il nostro essere.


Con un filo di voce, rivolgendomi all’uso in auto, ebbi solo la forza mentale di dire… “Si! Il Dottore…” 
Poi la mia frase si interruppe ed iniziai ad essere pervasa da una strana emozione che si intensifico quando inziarono ripetuti trilli sul mio telefono.
Prima uno, poi due, poi tre, quattro, cinque…

Era lui. Erano ordini! D’un tratto sentii scariche di brividi pervadermi il corpo e poi uno stato mentale contraddittorio si impadronì di me. 
Emozioni forti si stavano impadronendo di me. Compresi che di li a poco avrei incontrato il mio Dottore e quasi inconsciamente tirai fuori dalla busta di “Intimissimo” la biancheria intima e l’appoggia accanto a me. Il sedile di pelle era fresco e quella sensazione ora, dopo quel fastidio iniziale, era diventato piacevole.
Presi in mano la culotte e, notato il tagliandino, cercai di strapparlo. Sicuramente non volevo mettere quell’indumento con quell’anti estetico e anche doloroso pezzo di cartoncino. Non ci riuscivo.


Fu allora che notai che Alfredo mi guardava. Allungo la mano del cruscotto e aprendolo ne estrasse una scatolina. Fece cenno di prenderla dalle sue mani. Allungai le mie, che ormai erano fredde di quella temperatura posizionata in modo che potessi provare freddo, e presi la scatolina. L’aprii.
Era un necessarie al cui interno trovai una piccola forbicetta. La presi e tranciai il filo di nylon che aveva il tagliando identificativo. Anche il reggiseno aveva questa targhettina e senza pensarci due volte taglia anche questa. 
Quasi meccanicamente mi lavai le scarpe, prima una a poi l’altra, rimanendo a piedi nudi sul tappetino dell’auto che era pulita come se fosse stata appena lavata. 
Notai questo.

Tutto curato, tutto organizzato, tutto per fare in modo che potessi capire e fare quel passo, quel salto che oramai avevo compreso voler fare. Un passo che mi avrebbe condotto all’apprendistato e poi spinto verso il raggiungimento della mia condizione. Una condizione che finalmente stavo per raggiungere, superare e vivere apertamente senza preclusioni, senza paure e con una emozione forte che mi faceva sentire viva!


Sollevai il culetto dal sedile e cercai, con una certa difficoltà, di sfilare le mie mutandine: un perizoma che avevo sperato che il Maestro potesse strapparmi con violenza per lasciare le mie carni tenere e umide alla sua mercè. Una mercè fisica e mentale che volevo provare, che il mio corpo voleva assaporare, che la mia mente ambiva sentire.
Mi sfilai il piccolo pezzettino di stoffa e rimasi con il culetto nudo sulla pelle fredda del sedile della macchina. 


Fine Prima Parte

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