Lampi di azzurro sotto il cielo vaniglia
by mentenudaViewed: 269 times Comments 1 Date: 09-08-2021 Language:
Messaggio:“ Potremmo vederci per 5 minuti se ti va, sono di corsa ma vorrei avere la possibilità offrirti almeno un caffè”.
La risposta non si fa attendere a lungo.
Messaggio: “ Si, va bene, ho anche io 5 minuti liberi”. “P.S.: finalmente possiamo fare due chiacchere dal vivo, dopo tanto virtuale!”
Fissiamo il luogo dell’appuntamento. Si tratta di un distributore di benzina con bar annesso su una delle tangenziali che unisce l’autostrada alla città, un luogo di passaggio, un posto che garantisce un certo anonimato. B. mi scrive le indicazioni che io seguo in uno stato emozionale intenso, quasi frenetico tant’è che sbaglio strada un paio di volte arrivando così con qualche minuto di ritardo e maledicendo la mia emotività
Lei mi sta attendendo in auto. Conosco modello e colore, me lo ha comunicato come ultimo dettaglio nel nostro scambio di messaggi. Parcheggio accanto alla sua macchina e mi faccio riconosere salutandola attraverso il finestrino. Porto la mano alla bocca mimando il gesto di prendere un caffè, lei, sorridendo, annuisce ed entrambi scendiamo dalla macchina.
È una calda mattina di inizio estate, il cielo ha il colore vaniglia tipico della pianura in quel periodo e l’aria è umida. Fuori dal confortevole “habitat” climatizzato dell’abitacolo, l’afa si appiccica alla pelle come un denso sudario. Il fastidio fisico svanisce, dimenticato, quando incrocio lo sguardo di B. I suoi grandi occhi sono di un azzurro intenso. Il suo sorriso ha qualcosa di enigmatico. Timidezza, curiosità e, forse, un pizzico di malizia, sembrano contendersi il primato donando al viso una sfumatura intrigante.
Ci scambiamo i convenevoli, una stretta di mano, uno paio di baci sulle guance, le tipiche frasi che includono il clima, il traffico e altri banalità che celano le emozioni, che nascondono pensieri vorticosi mentre con gli occhi, per la prima volta dal vivo, osserviamo i dettagli l’uno dell’altra.
Propongo di “rifuguarci” all’interno del bar dove l’aria condizionata e un buon caffè ci avrebbe permesso di parlare in modo più rilassato.
B. indossa un paio di jeans e una camicetta di cotone bianca sotto una giacca leggera beige, nei piedi, un paio di sneakers. Quasi a volersi giustificare, come se fosse un peccato imperdonabile, con la sua voce calma e dai toni armoniosi mi dice: “scusa ma sono uscita di corsa di casa e non ho avuto tempo di curare molto i dettagli, in più, non ero sola e se fossi uscita con minigonna e tacchi avrei dato troppo nell’occhio”. Sorrido, le dico che con me, certi problemi non se li deve fare e poi aggiungo: “tanto prendiamo solo un caffè, mi posso fermare solo 5 minuti. Volevo conoscerti, non pensavo a cose più audaci di questo”.
Mento spudoratamente. Dal primo istante in cui ho incrociato il mio sguardo con il suo, ho immaginato ben più di cinque minuti trascorsi al tavolino di un bar a parlare di banalità. Ho l’impressione che B. lo abbia intuito e risponde allargando il sorriso che assume una sfumatura più maliziosa di prima.
Di comune accordo, decidiamo di consumare il caffè al bancone, rapidamente. Dopo, ci saremo concessi una sigaretta all’aperto, li dove il rumore del traffico e, purtroppo, l’afa, ci avrebbero garantito una maggiore intimità. Nessuno dei due lo dice apertamente ma abbiamo voglia di poterci esprimerci liberamente, senza il timore che orecchie indiscrete intercettino i nostri dialoghi.
Fuori dal bar, con ancora il sapore del caffè in bocca, sotto il cielo lattiginoso, porgo la fiamma dell’accendino verso la sigaretta stretta tra le labbra di B. che aspirando, infiamma la punta della sigaretta.
Ora, all’aperto, lascio correre impudicamente lo sguardo sulla silhouette di lei e quando i miei occhi ritornano sui suoi, leggo una sfumatura di intesa, qualcosa di invitante che ha la tonalità del desiderio.
Senza fretta fumiamo la sigaretta chiacchierando di nuovo di come siamo arrivati al sito, dei motivi che ci hanno portato ad iscriverci, delle esperienze vissute nell’ambito della trasgressione. Le parole vengono fuori con calma, con la consueta di curiosità nonostante li abbiamo trattati decine di volte ma mai guardandoci negli occhi, dal vivo, respirando la stessa aria. Non scendiamo nei particolari, sorvoliamo, raccontando per lo più il contesto, il momento. Non c’è imbarazzo ma solo il piacere di parlare senza il filtro di una app, di una chat o di tutto ciò che fino a quel momento è rimasto solo su un piano virtuale. Ora invece le parole hanno forma, si arricchiscono di significati attraverso il linguaggio del corpo. Le frasi che viaggiano veloci sottotraccia sono più di quelle che ci scambiamo verbalmente, tra sorrisi e piccole battute solo in parte maliziose.
C’è complicità, l’intesa percepita durante lo scambio di messaggi o attraverso i commenti sulle rispettive foto, si fa palpabile come l’afa appiccicosa che rende statica l’aria. Quell’atmosfera così indolente, amplificata dal clima è una sorta di bolla emozionale in cui entrambi nuotiamo tenendo il fiato in attesa della prossima mossa.
Spegnendo la sigaretta nel posacenere accanto all’ingresso del bar dico: “ Senti, io tra poco devo andare ma se vuoi possiamo parlare ancora un po’ in macchina, qua fuori fa troppo caldo, almeno, dentro l’abitacolo, possiamo accendere l’aria condizionata , che ne dici ?”
Lei, voltando la testa da un lato, soffia fuori l’ultima boccata di fumo bianco e spegne anche lei la sigaretta.
“ Si, va bene, vuoi salire sulla mia o preferisci sulla tua?”
Io rispondo che possiamo andare sulla mia che essendo un po’ più grande ci permetterà di stare più comodi e poi, aggiungo “ poi la mia è a noleggio, non dobbiamo temere troppo di lasciare tracce”. Quella che voleva essere una frase neutra, in realtà lascia spazio ad imterpretazioni quanto meno ambigue. B. sorride cogliendo quella sfumatura involontaria e lascia correre senza aggiungere altro se non quel suo sensuale sorriso malizioso.
Seduti in auto, avvio il motore e abbasso il volume della radio in modo che sia solo un sottofondo. L’aria secca e fredda che esce dalle bocchette del cruscotto colpisce la pelle accaldata come uno schiaffo ma il sollievo immediato vale il rischio di un colpo d’aria.
B. si aggiusta la giacca sopra il collo, immagino possa essere infastidita dal quel flusso gelido. “ E’ troppo fredda ? Riduco un po’ la ventola? Alzo un po’ la temperatura ?”
Mentre le parlo ho già portato la mano sui controlli del climatizzatore ma lei mi ferma appoggiando la sua sulla mia. “No, lascia così, mi devo solo abituare”.
Mi volto e nel guardarla noto che la stoffa della camicetta delinea la forma dei capezzoli. Lei se ne accorge, mi sorride e con tono ironico mi dice: “ è l’effetto dell’aria condizionata...”, poi, spostando la mia mano dal controllo della ventilazione al cambio, facendomi immaginare per un istante un più ardito movimento, continua con una sfumatura più ambigua: “ ...almeno per ora, o forse, non è solo il freddo.”
L’atmosfera è carica di sensualità, il desiderio è vibrante, palpabile. Mi avvicino a lei sporgendomi dal suo lato, lei non si ritrae, rimane ferma con gli occhi dritti nei miei.
“Sai cosa vorrei ora ?”
Sfilo la mano ancora appoggiata al cambio da sotto la sua. Lei non si oppone.
“No, dimmi, cosa vorresti ora ? Forse è la stessa cosa che voglio anche io.”
Con le dita le sfioro le labbra, le stropiccio.
“Mi piacciono molto. Sono morbide e carnose. Secondo te, sarebbe osare troppo baciarti qua ed ora, in questo piazzale trafficato?”
B. mi lascia fare, piega la testa di lato, in un gesto che trasmette desiderio e piacere.
“Se si tratta di un bacio, no, direi che non è troppo, anzi...”
Appoggio la bocca sulla sua. Il contatto è delicato, morbido ma subito un fremito di passione mi induce a schiudere le labbra e respirando la sua stessa aria, ne accarezzo la voluttuosa consistenza con la punta della lingua. Lei si concede, emula il gesto. Il desiderio prende forma, gonfia, si agita e spinge contro i pantaloni.
Rimaniamo così per qualche istante, come adolescenti che si scambiano timide efusioni al primo appuntamento. Questo primo contatto ha l’effetto dirompente di una tempesta che ,agitando le acque di un lago profondo e misteroso come solo l’animo umano sa essere, fa tracimare i flutti spumeggianti oltre l’argine della morigeratezza.
La mia mano scivola dal viso alla gola, la stringe per un lungo istante mentre lei geme in preda ad un fremito di concupiscenza.
Lascio correre le dita sulla stoffa della camicetta, libero un paio di bottoni dalle asole che oppongono una debole resistenza.
Proteso su di lei, la spingo contro lo schienale. Le dita si insinuano nella scollatura, accarezzano la pelle e poi affondano sotto la stoffa del reggiseno fino a lambire con i polpastrelli il morbido turgore dei capezzoli. Ci scambiamo baci ardimentosi. Le lingue si cercano tra le labbra dischiuse prima di fondersi in morbidi contatti per poi separarsi, lasciando spazio a nuove, languide carezze che trasformano i respiri in sospiri fino salire al livello di gemiti quando le mordo un labbro portandola a sfiorare la soglia mutevole che separa il piacere dal dolore.
La passione è come un vulcano sopito che si risveglia sotto le spinte profonde di un desiderio tellurico.
Voglio di più. Comprendo come fosse illusoria l’idea di poter trascorrere insieme a B. solo cinque minuti. Anche lei desidera più tempo, più spazio, più pelle. Me lo comunica con lo sguardo che è ora un incendio azzurro, lo sottolinea con i suoi baci, lo rende palese con la mano che ora è appoggiata sul mio ginocchio.
“Forse sarebbe meglio spostarci in un luogo più appartato, tu, cosa ne dici, sei d’accordo?”
Le sorrido malizioso e lei risponde dicendo: “ si, sono assolutamente d’accordo. Tu però non avevi un appuntamento ?”. Il tono della sua voce è caldo ed invitante come una tazza di cioccolata fumante in una giornata d’inverno.
È vero, ma certe emozioni, certi istanti fanno perdere il controllo, ci inducono a dimenticarsi degli impegni e nel contempo, ci rendono scaltri e rapidi nel trovare soluzioni.
“Si, ho un appuntamento ma...fammi fare una telefonata, sono certo di trovare il modo di posticiparlo. Sono fortemente motivato ora.”
La patta dei pantaloni, oscenamente gonfia è la prova evidente della mia affermazione. Il suo sguardo scivola languido sullo scabroso dettaglio e con un sorriso pieno di sensuale malizia mi dice: “ beh, si, lo vedo!”
“Dove possiamo andare ?” lei, dopo averci pensato qualche istante, mi dice di entrare sulla tangenziale e di seguire le sue indicazioni.
Mi immetto nel placido traffico tipico della tarda mattinata. Procedendo lentamente lungo la corsia di destra, dopo aver indossato gli auricolari, compongo il numero della persona con cui avrei dovuto incotrarmi da li a poco. La conversazione è un rapido scambio di battute tra me e il mio interlocutore. Mi scuso dicendo che a causa di un incidente devo chiedere di spostare l’appuntamento. L’uomo dall’altro capo del telefono mi comunica di poter posticipare l’appuntamento di un’ora a causa di altri impegni improrogabili. B. segue il dialogo distrattamente guardando fuori dal finestrino senza mai smettere giocherellare con i bottoni della camicetta che è rimasta provocantemente aperta sul petto dopo la mia incursione post caffè.
Ho guadagnato un po’ di tempo, non tanto quanto avrei voluto ma comunque meglio di nulla. Più rilassato, mi sistemo sul sedile e spiego in poche parole la situazione a B. che con il solito sorriso mi dice: “ ci faremo bastare il tempo che abbiamo”.
Dopo pochi chilometri B. mi fa uscire dalla tangenziale. Percorriamo strade sempre meno frequentate allontanandoci dall’abitato. Presto l’asfalto lascia il posto alla ghiaia e le case si fanno sempre più rade. Immensi campi di mais circondano la strada sterrata. Con gesto della mano mi indica una stretto viottolo tra le fronde delle coltivazioni. Mi dice di parcheggiare li.
Spengo il motore e abbassando un po’ il finestrino. Le foglie di mais mosse da un debole alito di vento sono il suono predominante.
Estraendo dal vano della portiera il pacchetto di tabacco le dico : “Ti dispiace se fumo un’altra sigaretta ?”
“ok, ma solo a patto che me ne fai una anche a me!”
Acconsento. Preparo prima la sua, riempio la cartina di tabacco, inserisco il filtro e con rapidi movimenti la chiudo bagnando la colla con la punta della lingua. Lei mi guarda in silenzio, attenta e curiosa e mi ringrazia quando gliela porgo appoggiandogliela direttamente alle sue labbra. Un gesto intimo e malizioso che lei sembra gradire.
Decidiamo di fumare all’aperto e dopo essere sceso dalla macchina la raggiungo dal suo lato. B. si è tolta la giacca e con fare molto femminile, porta la sigaretta alla bocca aspirando profondomanente. Il contrarsi delle guance è un particola sensuale capace di evocare nella mia mente immagini scabrose. Lei, di nuovo, sembra leggere i miei pensieri e guardando la sigaretta, mi dice “ha un sapore strano, forte ed aromatico” poi, cercando il mio sguardo, aggiunge: “ un po’ come il sapore dei tuoi baci”.
Mi avvicino e cingendole i fianchi con un braccio la bacio con passione. Il sapore di tabacco e nicotina sulle sue labbra è quello del vizio, è piacere lascivo, è desiderio da appagare.
Avvicino il viso all’orecchio e le sussurro: “ Apri la camicetta fino in fondo.” Lei, stringendo la sigaretta tra le labbra, liberando entrambe le mani, fa scivolare fuori dalle asole, uno ad uno, tutti i bottoni. Un filo sottile di fumo sale dritto di fronte al suo viso. Le accarezzo il petto. Lei osserva il gesto e si appoggia con la schiena alla macchina. Mi piego in avanti e con lentezza le bacio la pelle nuda lambendo il bordo del reggiseno. Sento la sua mano carezzevole sulla nuca. Un gesto che mi invita a proseguire, spibgendomi all’audacia. Abbasso le coppe di stoffa e mi avvento sui capezzoli gonfi come frutti maturi ungendoli con baci appassionati, tormentandoli con la lingua, stringendoli tra i denti. La sua carezza diventa un affondo di unghie che affondano nel cuoio capelluto. Geme e si agita contro la carrozzeria dell’auto.
Senza smettere di nutrirmi del suo desiderio, le sbottono i pantaloni e infilo la mano. È calda, è umida sotto le mutandine. Spingo con un dito. Affondo la stoffa dentro la sua femminilità. Sollevo il viso, cerco il suo. L’azzurro dei suoi occhi è fuoco, è lussuria.
Stringe ancora la sigaretta tra le dita. “ Fammi dare una boccata!” Lei me la porge, io aspiro e poi, avvicinado la bocca alla sua, le soffio il fumo denso tra le labbra dischiuse prima di baciarla mischiando diverse sfumature di vizio.
Alle sue spalle, la portiera è spalancata. Indicandole con un cenno il sedile le dico“Siediti!”
Le prendo la sigaretta dalle dita e me la porto alla bocca. Lei, visibilmente accaldata, si sistema i capelli spingemdoli indietro con una mano poi si siede rimanendo cone le gambe fuori dall’abitacolo. Mi guarda dal basso, la pelle chiara, arrossata sul petto, i seni nudi e lucidi dei miei baci, i capezzoli scuri e turgidi, il reggiseno ridotto a sottile striscia di stoffa, la camicia, aperta come un sipario strappato. È bellissima, è iconica silouhette di lussuriosi appetiti.
Stringendo la sigaretta tra le labbra le sussurro: “Ho visto come mi guardavi prima. Dove cadeva il tuo sguardo quando eravamo nel parcheggio, seduti in macchina. Perchè allora non prendi ciò che desideri? Sbottonami i pantaloni e tiralo fuori !”
La patta è di nuovo gonfia e la stoffa delinea l’eccitazione messa di traverso, scabrosa presenza a stento celata e pronta per essere messa a nudo.
In piedi davanti a lei la osservo protendere le braccia verso di me. Con il palmo della mano accarezza la protuberanza, ne segue la linea e poi ne tasta la consistenza attraverso i pantaloni stringendola tra le dita. Aspiro un’altra profonda boccata di fumo mentre lei inizia a sbottonare. Fa correre la cerniera verso il basso, scosta i lembi e prima di abbassare la stoffa dei boxer, ripete il gesto, accarezza e stringe con più veemenza provocandomi un fremito mentre faccio defluire il fumo in una tesa colonna biancastra che si disperde rapidamente sospinta dalla leggera brezza.
L’eccitazione è ora nuda, esposta ma ancora adesa al ventre. Lei la fa scivolare fuori, delicatamente, liberandola dalla stoffa. L’aiuto abbassando i pantaloni che, sostenuti dalle postura, rimangono sospesi a metà coscia.
“Stringilo forte!” ho la voce irrochita dal desiderio e dal fumo della sigaretta. Lei lo cinge. “ Di più...stringilo di più!” Sento la pressione, le vene sono come torrenti in piena dopo un acquazone estivo, si gonfiano e si palesano diventando fitta ragnatela sul desiderio pulsante. Gemo mentre penso a quanto mi eccita sentire dita affusolate che si aggrappano al mio desiderio rendendolo oscenamente gonfio.
Appoggiandole una mano sulla testa, dopo aver infilato le dita tra i capelli, la induco ad avvicinarsi. Lei, golosamente, sta già schiudendo le labbra pronta a scoprire il sapore della mia mascolinità quando la blocco, trattenendola a pochi centimetri dalla sua preda. Mi guarda dal basso. Sul viso campeggia un esperessione perplessa. Il suo sguardo sembra dire “perchè? Ho fatto qualche cosa che non va? Lo voglio, non privarmene ora che è così vicino”.
Rispondo a quella silenziosa supplica dicendo: “Non in bocca, non ancora. Voglio che prima te lo strofini sul viso.” L’azzurro degli occhi ha un guizzo. Concupiscenza e abbandono si intrecciano mentre inzia ad accarezzarsi usando la mia carne come fosse un caldo oggetto del desiderio o come uno strumento di vanità da usare sulla pelle per dare sfumature di lucida lussuria al viso su cui campeggia un esperessione estatica . Prima le guance, poi il mento, ovunuque ad eccezione della bocca. Muove la testa ruotandola sul collo. La lascio libera di fare ma senza togliere le dita dai capelli in un gesto che è controllo e possesso, eccitante per entrambi.
Ora è lei a gemere, mugola, rapita da emozioni troppo intense per essere trattenute. Tutto quello strofinare, quel muovere su e giù lungo i lineamenti mette a nudo la punta gonfia, paonazzo, quasi violaceo, così lucida e lubrificata che piccoli fili trasparenti le si appiccicano alla pelle tessendo una trama sottile di desiderio.
Getto la sigaretta giunta ormai al termine, trasformata in un corto mozzicone che arde ancora qualche istante prima di spegnersi sul terreno.
Tirandola per i capelli in un gesto misurato ma deciso le impongo di piegare la testa in modo che il suo sguardo possa incontrare il mio. L’azzurro intenso dei suoi occhi luccica, alimentato dal fuoco della passione, il desiderio è fiamma.
Le strappo dalle dita il mio duro desiderio e lo brandisco come un pugnale puntandolo verso il cielo lattiginoso.
“ baciami le palle!” Il tono è perentorio, di quel tipo che non ammette repliche e lei non obietta, non dice una parola ma semplicemente esegue il comando. Il calore umido delle sua bocca si appiccica alla pelle, la lingua saetta facendo danzare i testicoli, che si contraggono ad ogni tocco. Poi, con fare lascivo, gardandomi dal basso cercando ancora il mio sguardo, li accoglie tra le labbra, prima uno e poi l’altro, con passione e delicatezza, golosamente. Mi porta in alto, mi fa sfiorare l’estasi, attenta ad ogni più piccolo dettaglio. I suoi brevi gemiti di soddisfazione si confondono con quelli più profondi e gutturali del mio piacere crescente.
E’ avida di sensazione. Si agita sul sedile mentre con la lingua risale lungo il desiderio. Le mie dita sono un ostacolo. Se ne libera con umide lusighe e sorrisi invitanti. Non mi oppongo alle sue languide attenzioni, la lascio fare, la guardo mentre con la bocca sale avvicinandosi sempre più al vertice, alla punta gonfia e paonazza del mio desiderio che luccica nella luce lattiginosa di un tardo mattino padano. Si attarda per qualche intenso istante sul frenulo. La lingua serpeggia sulla sottile fascia di tessuto elastico stropicciando il prepuzio. Lo fa in modo plateale, goloso, irresitibilmente eccitante.
E poi succede. Puntando l’azzurro bagliore di concupiscenza nel languido castano nel mio sguardo estasiato, come fa il predatore con la preda prima di avventarvisi con un rapido guizzo finale, in un gesto che è ineluttabile, intenso e lussurioso, fa suo il il glande accogliendolo tra le morbide labbra. Lo soffoca, lo succhia, lo assapora. Le guance si contraggono ritmicamente. Liquidi suoni riempono l’aria perdendosi tra le fronde del mais. Mi aggrappo alla sua chioma, la tiro, cerco di allontanarla ma la sua voracia è una forza a cui non so più resistere. Oppongo una debole resistenza, vinto, battuto, in procinto di cedere. Lei lo sente, il sapore della resa la inebria, brama il mio piacere. Accellera inesorabile. Come un’abile prestigiatrice fa sparire la mia dura mascolinità fino alla base per poi sfilarla lentamente dal caldo cilindro della sua bocca bollente ripetendo il gioco in sempre più rapide sequenze.
Vorrei ricambiare quelle scabrose attenzioni. Immagino la mia lingua saettare tra i petali del suo fiore, farla sparire nel lago profondo del suo desiderio, stuzzicare maliziosamente quel piccolo, luccicante pistillo di carne arrossata. Il pensiero non aiuta, anzi, mi avvicina sempre più a quella sottile linea immaginaria che è il punto di non ritorno, dove ogni tentativo di controllo diventa vano e la scarica di piacere si trasforma in caldo fiotto, liquido, spinto con veemenza da pulsazioni che sono febrili scosse telluriche che squassano.
Tra i denti, nello strenuo tentativo di prolungare quel mare di sensazione che mi sferza la mente come una tempesta tropicale, le dico: “Togliti i pantaloni e le mutandine, ora!” Di nuovo mi investe con l’azzurro dei suoi occhi, cerca di capire le mie intenzioni in una soffocata esperessione di ingorda lussuria.
Mi libera un istante prima che i miei sforzi diventino vani. Lascia che la mia dura mascolinità, lucida di saliva e passione, beccheggi come una barca trattenuta da ormeggi troppo fragile per contrastare la forza della tempesta. Una grossa e densa goccia di piacere tracima dal taglio al vertice del mio paonazzo desiderio e dopo un istante cade a terra, pesante come piombo fuso.
Pulendosi la bocca con il dorso della mano mi dice in un sussurro: “ Lasciami finire, voglio sentire il tuo sapore in bocca.”
Quell’unica goccia allenta un po’ la tensione e mi permette di riprendere il controllo, almeno per qualche istante. So che non potrò più sostenere un nuovo avvolgente affondo. Sono battuto ma determinato a dare una sfumatura più intensa a questo fantastico istante di lussuria.
“Assecondami, togliti pantaloni e mutandine” Ho la voce cavernosa e provo a convincerla sfoggiando un sorriso malizioso e seducente.
Lei lo fa, in silenzio. Toglie le scarpe, sfila prima una gamba e poi l’altra dall’ingombro dei pantaloni e sollevandosi rapidamente dal sedile giusto il tempo necessario a far scivolare le mutandine oltre le ginocchia, esaudisce la mia richiesta ed ora attende guardandomi dal basso sistemando i capelli con una mano.
“Ora, cosa vuoi che faccia?” me lo chiede con quel suo tono carezzevole e pacato.
“Allarga le cosce e sporgiti bene sul bordo del sedile”. Non se lo fa ripetere e con le mani appoggiate sulle ginocchia mi osserva mentre il mio sguardo si fa impertinente insinunadosi in profondità.
Cingo il mio desiderio nella mano destra e inizio a muoverla piano.
“Toccati! Fallo per me, fallo guardandomi il cazzo!”
Lei sposta una mano dal ginocchio e la fa scivolare tra le cosce. Si accarezza in superficie e non toglie gli occhi dal mio desiderio. La cosa sembra eccitarla. La inebria e i suoi tocchi si fanno immediatamente più profondi, ritmati, accopagnati dal respiro che, accellerando, diventa sensuale gemito di piacere.
Mi masturbo piano. Il prepuzio scorre sul glande perfettamente lubrificato. Mi avvicino e mentre la guardo regalarsi piacere le sfioro il viso con la punta gonfia e paonazza. L’appoggio sulle labbra che lei schiude, golosamente. Estrae la lingua e lascia che io, maneggiando il mio stesso desiderio come se fosse un martelletto, lo faccia risuonare generando liquide note al contatto con la morbida superficie.
Il piacere arriva improvviso. Senza rendermene conto, supero la soglia in un istante. La carne e debole e l’immagine che mi si para davanti è il battito d’ali di una farfalla che genera la tempesta al di la del razionale.
Un fiotto caldo le colpisce il viso, nel suo sguardo c’è sorpresa. Quella goccia pesante di poco prima, persa nella polvere, era solo un piccolo anticipo della poggia che sta per colpirla. Al primo ne segue un secondo, altrettanto copioso che le riga una guancia e poi scivola veloce verso il basso. Lo stupore e il piacere per quello scroscio improvviso la fa mugolare ma questa volta, con un gesto agile, si porta la mano verso il volto raccoglendo quel caldo rigagnolo prima che cada a terra mentre con l’altra non smette di infliggersi piacere, aumentando il ritmo.
Sa che il suo piacere amplificherà il mio, ne abbiamo parlato a lungo durante le nostre chiacchierate notturne ed ora che le parole hanno preso l’appassionata concretezza, non si risparmia. I suoi movimenti sono concitati. Indice e medio, adesi, spingono sul clitoride danzando sfrenatamente, a tratti scivolano in profondità, stuzzicando alla radice il desiderio rendendo l’orgasmo ineluttabile. Rimane in bilico sul ciglio dell’estasi ancora qualche istante, affonda di nuovo le dita nella fessura arrossata della sua concupiscenza con decisione, profondamente e poi, irrigidendosi e vibrando sul sedile, esplode gemendo lascivamente, vinta anche lei da Eros.
Ad occhi chiusi, immersa nelle sue sensazioni, seguendo un istinto atavico e irresistibile, mi sfila dalla mano la mascolinità ancora palpitante, scossa dagli ultimi fremiti di piacere e con voracia, la fa sparire tra le labbra, stillando il mio nettare fino all’ultima goccia.
Io, dall’alto, la osservo mentre si nutre del mio piacere e forte della mia posizione predominante, con la voce profonda e calda le dico. “Fammi sentire il tuo sapore ”. Spalanca gli occhi fulminandomi con l’azzurro languido e cristallino del suo sguardo. Senza privarsi della mia carne che avvolge fino quasi a farla sparire nel calore della bocca deliziosa, riesce ad abbozzarre un cenno di sorriso prima di sfilare la mano dalle cosce e protenderla verso di me, in alto, li dove le mie labbra fremono. Mi sfiora il mento con le dita. Sono bagnate. Le fa scivolare nella mia bocca schiusa. Le avvolgo con la lingua, le accarezzo e colgo quel aroma di femmina che tanto ho desiderato.
Lentamente la tensione cala, come dopo una tempesta, torna la calma. Lei fa scivolare le dita fuori dalla mia bocca ed io faccio lo stesso con la mia carne. Ci rivestiamo scambiando alcune battute che hanno ancora tutto il turbamento della passione.
In auto, seduta compostamente sul sedile del passaggero, con le gambe accavallate, è tornata ad essere quella donna insospettabile, dall’aspetto irrepresnesibile ed elegante che così bene cela la sua natura curiosa ed indomita. Torniamo verso il parcheggio dove ha lasciato la macchina, parliamo di banalità ma, sotto traccia, rimane il profumo delle emozioni vissute insieme e quando arriva il momento di separarci, ci baciamo sulle guance, in modo casto, come due conoscenti qualsiasi ma nell’azzurro dei suoi occhi colgo ancora quel lampo di intensa femminilità e allora, avvicinando la bocca al suo orecchio, le sussurro il mio ritrovato desiderio, in modo scabroso e con audacia, prendendole la mano, glielo faccio sentire, di nuovo gonfio sotto la patta. Lei freme, stringe ciò che poco prima ha assaporato a fondo e mi dice: “ ci sarà modo ancora...ora vai, prima che...”
Esce dalla macchina velocemente come se stesse scappando. Mi saluta con la mano da dietro il finestrino e mentre mi allontano penso già al nostro prossimo incontro.