STORY TITLE: Rapita 
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Rapita


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Rapita

by Evoman
Viewed: 34 times Comments 0 Date: 14-12-2021 Language: Language

Sono stata presa nel garage di casa.
Tante volte, quando mi capitava di tornare tardi da sola, ci avevo pensato: il garage è un posto pericoloso perché è isolato e non ci passa mai nessuno.
Però non avrei mai pensato che mi sarebbe potuto capitare alle 5 del pomeriggio.
Non l’ho sentito arrivare, avevo appena chiuso la macchina, quando sono stata afferrata da dietro, una lieve pressione su bocca e naso con qualcosa di morbido e bagnato dall’odore strano, ed ho perso i sensi.
Ricordo solo vagamente di essere stata trascinata, poi un breve viaggio, sdraiata sul pavimento di qualcosa che poteva essere un furgone e infine il vuoto, il buio.
Mi sono risvegliata in un ambiente sconosciuto e la mia mente, ancora annebbiata dal narcotico, ha impiegato un po’ a comprendere la situazione.
Mi trovo in una cantina, o comunque un locale sotto terra, perché non ci sono finestre o aperture da cui possa entrare la luce naturale.
Un ambiente spoglio, anonimo dove l’unico arredo che vedo è un bancone di metallo.
Io sono proprio al centro della stanza, sotto il tubo al neon nudo che inonda la mia prigione di una luce fredda ed irreale.
Sì, ho detto prigione, perché sono legata.
I polsi e le caviglie sono serrati da fasce di cuoio, legate con delle strisce di pelle, da cui partono delle catene fissate a dei ganci nel muro.
Sono completamente bloccata, con braccia e gambe allargate, in una posizione innaturale e fastidiosa.
Il mio cervello si mette in moto: quali possono essere i motivi che spingono qualcuno a rapire ed imprigionare una donna?
Le ipotesi sono due: mi uccide oppure mi violenta, oppure entrambe, insomma non c’è da stare allegre.
Il vestito nero, un po’ aderente, fascia le mie forme di donna un po’ abbondante, come sono sempre stata.
Non sono grassa, ma non sono mai stata una taglia 40, neanche a 16 anni: allora ero una ragazzona alta e robusta, con seni, sedere e cosce di proporzioni generose.
Ora che sono arrivata alla quarantina ho messo su un filo di pancia ed i fianchi si sono leggermente allargati, ma mi piaccio ancora.
Piacerò anche al mio rapitore?
Questo pensiero mi riempie di angoscia e ripenso alle due ipotesi sulla mia sorte.
Credevo di essere sola e invece mi sbagliavo, lui, il mio rapitore, se ne stava in silenzio dietro di me, forse aspettava solo che mi svegliassi.
Ora ce l’ho di fronte, è vestito completamente di nero ed in testa porta un passamontagna attraverso il quale si vedono solo gli occhi, i buchi delle narici e la bocca.
Vorrei dire qualcosa, supplicarlo di non farmi del male ma ho la lingua paralizzata.
Beh, parlerà lui, no?
Invece non dice niente, continua a guardarmi, forse sta pensando cosa fare di me.
Si dirige verso il bancone apre il cassetto e prende qualcosa.
Quando torna verso di me mi accorgo che tiene in mano un paio di forbici, e allora comincio ad urlare.
Mi agito, scuoto le catene fissate al muro ma ottengo solo il risultato di farmi male ai polsi.
Lui intanto è sparito dalla mia vista, non so cosa voglia fare con quelle dannate forbici.
Zzzzzzzz!
Ha aperto la lampo del mio vestito, poi sento il freddo del metallo sulla schiena e mi irrigidisco.
Sta tagliando il mio vestito, accidenti, l’ho pagato un sacco di soldi.
Chissà perché in certi momenti vengono dei pensieri così cretini?
Sono nelle mani di un maniaco, un pazzo, ed io penso al vestito.
Lo ha tagliato fino in fondo, sento le sue mani carezzarmi i fianchi ed il sedere e comincio a singhiozzare.
Lo supplico di non farmi del male, ma lui non mi risponde, poi mi viene in mente una cosa buona: se non si è fatto vedere in faccia, significa che dopo mi lascerà viva.
Già, il problema è cosa ci sarà prima del dopo.
Ora le forbici iniziano a tagliare la stoffa sulla spalla e poi continuano lungo la manica, fino al polsino.
Mano mano che procede, l’abito abbandona il mio corpo ed inizio a sentire freddo, poi, quando finisce di tagliare anche la seconda manica, il vestito cade a terra.
Ma sì, mi spoglierà e poi mi violenterà, mi chiedo cosa si provi a farlo così, a me è sempre piaciuto fare sesso, ma ora è diverso.
Le sue dita hanno sganciato il reggiseno e sento le mie tettone, liberate dall’armatura, scendere ed appoggiarsi sul petto.
Due precisi colpi di forbice recidono le spalline ed il reggiseno va a fare compagnia al vestito sul pavimento.
Le sue mani passano leggere sui miei seni nudi, come per volerne saggiare la consistenza, poi riprende il suo lavoro accurato di taglio.
Le forbici ora se la prendono con le calze: partono dall’alto, sul lato esterno ed iniziano a tagliare la gamba sinistra del collant.
Procede piano, preciso e sicuro, il tessuto scuro si apre, forbiciata dopo forbiciata, scoprendo la mia pelle bianca, supera il ginocchio e continua poggiando il bordo esterno della forbice sullo stinco.
Arrivato alla caviglia si deve fermare, perché la fascia di pelle gli impedisce di andare oltre, allora pizzica leggermente la stoffa della calza e taglia tutto in torno.
Ecco, ora ho una gamba completamente nuda, con la calza tagliata che penzola verso il pavimento.
Mentre prosegue il lavoro con l’altra gamba, mi rendo conto che ora non sono più spaventata.
Ma sì, gli piaccio, da come mi sta tagliando i vestiti, senza neanche un accenno di brutalità, penso che si limiterà a scoparmi, non mi farà del male.
Ricordo quando con il mio primo ragazzo, allora avevo solo 17 anni, facevamo un gioco: io provavo a resistergli e lui allora mi prendeva con la forza.
Il gioco durava poco, perché dopo qualche rotolamento sul letto, eravamo così eccitati, che non riuscivamo più a trattenerci.
So che a molte donne piace essere dominate e a molti uomini invece dominare, non mi sono mai posta un problema del genere ‘
I miei pensieri vengono interrotti dalla planata del collant sul pavimento.
Mi guardo il ventre ora coperto soltanto dallo slip nero.
La pancia fa una piccola piega, perché sono un po’ ingrassata, dovrei indossare delle mutandine più alte in vita, che contengano un po’, ma non mi sono mai piaciute.
E naturalmente le forbici attaccano anche l’ultimo brandello di stoffa che mi è rimasto addosso, basta tagliare di lato, lungo i fianchi e sono completamente nuda.
Lui intanto ha preso un sacco di plastica, di quelli usati per la spazzatura e ci ha ficcato dentro vestito e biancheria.
La mia tranquillità, dovuta al fatto che mi ero rassegnata ad essere scopata da questo sconosciuto, viene spazzata via di colpo, quando si avvicina di nuovo al bancone e torna con un oggetto in mano.
Il mio grido, un no disperato e angosciato, riempie il silenzio della stanza.
Mi sembra di vederlo sorridere, attraverso i buchi del passamontagna, mentre si avvicina tenendo in mano la frusta.
è fatta di strisce di cuoio intrecciate e termina con un manico rigido lungo circa 30 centimetri.
La tiene in mano stringendo insieme manico e resto dello strumento, ripiegato tre volte.
Ho paura, ho sempre avuto paura del dolore fisico e lui deve averlo capito.
Con il manico prima mi sfiora i capezzoli, poi lo poggia di taglio sopra la vagina ed inizia a muoverlo su e giù, come se fosse l’archetto di un violino, mentre io grido.
Lui continua incurante delle mie grida finché io non mi placo, guardo in basso, il mio sesso si è leggermente aperto ed è anche un po’ bagnato.
Mi passa per la testa un pensiero orribile, prima mi fa eccitare e poi mi frusta lì.
No, per favore, questo no, grido dentro di me, ma lui è scomparso di nuovo.
Se non lo vedo, può essere solo dietro di me.
La prima frustata mi coglie di sorpresa, un carezza rovente sulla schiena che poi esplode in un dolore acuto e forte.
Passano dei secondi interminabili con l’ansia di non sapere dove e quando arriverà il secondo colpo.
Mi ha preso più in basso, questa volta, all’altezza della vita e la frusta si è arrotolata sul mio busto, colpendomi anche la pancia.
Un segno violaceo in rilievo, si è materializzato all’altezza dell’ombelico, lo vedo scurirsi a vista d’occhio, mentre un’ondata di dolore mi attraversa.
Il terzo colpo mi prende in pieno sul sedere ed io grido, sobbalzo ed oscillo appesa alle catene, in preda al terrore.
Lui continua, inesorabile e sistematico, i colpi si susseguono lenti e precisi, sulle gambe, dove la frusta si arrotola facendo due o tre giri, sulla schiena dove sento la striscia di cuoio raschiarmi le ossa sottostanti, sul sedere dove la quantità di tessuti morbidi presenti, aumenta il dolore rispetto agli altri punti.
Mi colpisce anche sulle braccia e lì la frusta si avvolge come un serpente lasciando un segno violaceo a spirale.
Vorrei svenire, per non sentire, ma non ci riesco, poi smette e me lo ritrovo ancora davanti.
Lo supplico, basta per favore, ma lui si limita a fissarmi, senza dire nulla, poi alza ancora la frusta, la fa roteare in aria e riprende a colpirmi.
Ora lo posso vedere, quell’arnese terribile si abbatte sui miei poveri seni, lasciando una scia violacea poco sopra i capezzoli.
Vedo il suo sguardo abbassarsi e vengo presa dal terrore: ecco, ora comincerà a frustarmi sulla vagina, non posso sopportare una cosa simile.
Abbasso gli occhi e mi accorgo che è aperta e bagnata fradicia, come se avesse provato piacere dalla mia fustigazione.
E poi succede quello che non mi aspettavo: posa la frusta, si apre i pantaloni e viene verso di me.
Il suo pene, completamente eretto, oscilla leggermente mentre lui avanza ed io penso che sono contenta.
Sì, scopami, ti prego, ma non frustarmi più.
è di fronte a me, la punta del pene mi fa il solletico, come prima, quando mi ha prima spogliata e poi frustata, non ha fretta, sembra voler assaporare lentamente il piacere che proverà.
Potrebbe penetrarmi subito, io sono lì, bloccata a gambe aperte, gli basterebbe spingermelo dentro, ed entrerebbe senza sforzo, visto che sono aperta e bagnata.
Dovrei aggiungere inspiegabilmente, perché tutto quello che mi ha fatto finora, secondo la logica non dovrebbe essere piacevole, invece la mia vagina ha deciso che le sta piacendo.
Spinge leggermente in avanti il bacino, mi tocca leggermente il ciuffo di peli che sovrasta il mio sesso ed io mi lascio sfuggire un gemito.
Lo vedo sorridere attraverso il passamontagna, mentre lo fa muovere, andandomi a toccare più in giù.
Io allora cerco di sporgermi in avanti, sono stanca, il dolore delle frustate mi tormenta e voglio farla finita, ma lui prontamente si ritrae, poi, quando io desisto, torna di nuovo a stuzzicarmi.
è come il gatto che gioca con il topo, andiamo avanti così per un po’, poi, quando meno me lo aspetto, lo spinge in avanti e mi penetra di colpo.
Vedo sparire il suo pene dentro il mio ventre, poi lui, per la prima volta da quando sono lì, parla.
Mi dice soltanto: ‘muoviti’.
Ed io eseguo, dapprima timidamente, inizio ad oscillare aventi ed indietro, stando attenta a non farlo uscire del tutto, poi prendo coraggio ed aumento l’escursione, così, quando mi sposto in avanti il mio ventre viene a contatto con il suo.
Lui se ne sta fermo, dritto in piedi, con le gambe leggermente divaricate e le mani sui fianchi, emettendo ogni tanto un verso che credo testimoni il suo piacere.
Ecco, ora il dolore mi sembra più lontano, come se il corpo mi appartenesse di meno, mentre inizio a gemere di piacere, se prima di questa sera mi avessero detto che era possibile provare piacere in questa maniera, non lo avrei creduto possibile, invece ‘
Sto respirando a bocca aperta e ogni tanto reclino indietro il capo, mentre cerco di spingere il bacino più in avanti, per farmi penetrare più a fondo, finché lui non prende l’iniziativa.
Ha affondato le mani nei miei fianchi e lancio un grido perché la pressione ha riacutizzato il dolore delle frustate, ma è solo un momento, e riprendo subito a gemere di piacere, mentre lui va e viene dentro di me con una foga incontrollabile.
Penso che voglio venire, voglio raggiungere l’orgasmo, altrimenti tutta questa sofferenza non sarà servita a niente.
Ecco, lui c’è riuscito, quasi mi ha sollevata da terra mentre spingeva con maggior forza e sentivo lo sperma che mi invadeva, spruzzo dopo spruzzo.
Alla fine si è staccato da me, lasciandomi con la vagina gocciolante e l’orgasmo mancato per un soffio, come un grido strozzato in gola.
Se potessi toccarmi ci metterei un attimo a venire, ma le mie mani sono in alto, legate ed incatenate.
E allora provo ad impietosirlo: ‘ti prego, fammi venire ‘ anche io …’
Nei suoi occhi leggo un lampo strano, forse ho sbagliato a condividere con lui questa mia vulnerabilità, penso mentre lo vedo dirigersi di nuovo verso il bancone.
Oddio, ora riprende a frustarmi!
Invece torna tenendo in mano una specie di paletta di legno.
Prima osserva la mia vagina, rossa, dilatata e sporca del suo sperma, poi allunga un dito e mi tocca il clitoride gonfio ed io sobbalzo.
La paletta è fatta di legno leggero e flessibile, la prova prima a vuoto nell’aria, poi mi assesta un colpo.
Non è terribile come la frusta, ma sono così sensibilizzata che mi sembra di essere stata colpita da una scarica elettrica e mi contorco per quello che mi permette la posizione.
La paletta si abbatte nuovamente su di me, il colpo non è forte, d’altra parte anche il primo non lo era stato, ma questa volta centra il clitoride ed io non riesco a non gridare, poi vengo scossa da dei tremiti incontrollabili, allora lui continua, tanti piccoli colpetti, che arrivano sempre a destinazione.
Se potessi muovermi liberamente, cercherei di chiudere le gambe per ripararmi, invece resto lì, completamente esposta alla paletta che aumenta la sensibilità della parte ad ogni nuovo colpo.
Sono venuta, lui si è fermato con la paletta in aria, e mi ha lasciato emettere tutte le grida di gioia di rito.
Quando l’ho visto con in mano il tubo di gomma verde, lì per lì non ho capito, poi lui, dopo avermi sparato un getto di acqua gelida in mezzo alle gambe ha cominciato ad insaponarmi. Dopo tre passate abbondanti, la mia vagina ha perso ogni traccia del rapporto avuto con lui.
Sono così stravolta che poi mi sono addormentata.
Mi sono svegliata sentendo che i piedi poggiavano liberamente sul pavimento.
Mi sta slegando.
Per sciogliermi le braccia deve salire su un panchetto ed io gli frano addosso, una volta liberata.
Scende dal panchetto sostenendomi e poi mi fa fare qualche passo fino a lasciarmi cadere su una sedia impagliata.
Faccio un salto, quando le mie chiappe martoriate vengono a contatto con quella ruvida superficie, poi lui, dopo essersi assicurato che non possa cadere si allontana.
Torna portandomi una tuta da ginnastica grigia.
Praticamente mi ha dovuta vestire, come se fossi una bambina, poi mi ha applicato nuovamente un tampone con il narcotico, ed ho perso conoscenza.
Mi sono svegliata la mattina presto, seduta al posto guida della mia macchina, con indosso la tuta grigia e la borsetta in grembo.
In ospedale mi hanno medicato le numerose frustate e volevano pure trattenermi ma io ho firmato e sono tornata a casa.
In commissariato mi hanno detto che hanno avuto diversi casi del genere ma non li hanno pubblicizzati, per evitare possibili emulazioni, e poi le innumerevoli donne frustate e violentate non avevano molta voglia di parlarne.
Sarà difficile beccarlo, perché non lascia mai tracce, anche il lavaggio con il tubo di gomma che mi ha fatto alla fine, mi hanno spiegato, era per non lasciare tracce rilevabili con un test del DNA.
Per ultimo mi hanno proposto di richiedere un supporto psicologico ma credo che eviterò, non vorrei che scoprissero che ho provato piacere.

Per fare quattro chiacchiere: evoman@libero.it

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