La Venere Di ... Milos
by LokiDianaGesehen: 1449 Mal Kommentare 11 Date: 10-08-2020 Sprache:
Finalmente in vacanza!
A memoria, credo di non aver mai desiderato andarci come quell’anno. Erano stati mesi impegnativi, turbolenti, stancanti dal punto di vista psicologico e fisico. Erano, però, stati i mesi in cui avevo ritrovato Diana, dopo che i nostri destini si erano divertiti nei loro saliscendi per molti anni: l’affetto era diventato amore, l’attrazione fisica aveva trovato il suo apice trascinando quella mentale, la chimica… beh… quella non era mai mancata.
Era, insomma, la nostra prima vacanza insieme e più volte avevamo immaginato di trascorrerla con dolcezza e trasgressione, in relax ed esibizionismo, in amore e … sesso.
Avevo scelto Milos per trascorrere i nostri dieci giorni distanti da tutto. In un recente viaggio di lavoro ad Atene, una collega greca me l’aveva descritta come un’isola ancora poco inflazionata, caratterizzata da un mare cristallino e spiagge dorate, con qualche bel localino e gente del posto davvero accogliente. Proprio quello che desideravamo, e anche Diana, da subito, si era dimostrata entusiasta all’idea.
La destinazione fu quantomai azzeccata, in effetti.
Appena arrivati ci accorgemmo subito del clima di frizzante quiete che avrebbe caratterizzato la nostra vacanza: l’isola era carinissima come pure i greci che la popolavano, molti erano i turisti in quella settimana di pieno agosto, ma curiosamente anch’essi pienamente inseriti nell’ordine e nella rilassatezza dei ritmi di quel piccolo paradiso dell’Egeo.
Diana era stupenda.
Il vento, docile e piacevole, le sfiorava i capelli nero corvino donandole un nonsocchè di sfrontatezza che, sulla sua pelle già abbronzata, si trasformava in una sensualità raffinata. Mi faceva impazzire. A ogni ora che passava il sole giocava con il suo corpo rendendolo via via più scuro aumentando le lentiggini sul suo volto, e lei, divertita, sapeva di attrarmi ogni secondo di più.
Già dal primo pomeriggio, appena dopo aver lasciato i nostri bagagli in camera ed esserci infilati i costumi, le ordinai di lasciare a casa – per tutta la durata del nostro soggiorno – il reggiseno, fosse esso intimo o costume. Era il momento di liberare i suoi grossi capezzoli, li avrebbe mostrati sfacciatamente ai vicini sulle spiagge che avremmo frequentato e si sarebbero notati, maliziosi, sotto i top o i vestiti che avrebbe indossato la sera a cena e per i vicoli bianchi e blu di Milos.
Le nostre vacanze potevano iniziare.
Quando Federico mi parlò di Milos un sorriso enorme fece capolino sul mio viso. Avevamo vissuto mesi davvero tosti dal punto di vista personale per svariate ragioni e, alla vigilia dell’estate, ancora serbavo dubbi sulla possibilità di prenderci qualche giorno tutto per noi. Ancora una volta mi stava sorprendendo ed ero eccitata all’idea di tornare nella “mia” Grecia, una terra di cui mi ero innamorata sin da piccola.
Ricordo di aver preparato la mia valigia in pochi minuti: volevo concedermi la possibilità di acquistare qualche abito tipico sul posto, i miei completini intimi li avevo già sfoggiati abbondantemente durante l’anno per la gioia di Federico, non era il caso di portarli in ferie, e poi…. …poi sapevo che non mi avrebbe lasciato coprire molto: più volte nei momenti in cui facevamo l’amore mi aveva confidato di volermi ‘esibire’ sulle spiagge dell’isola; confidavo, eccitata e divertita, che avrebbe mantenuto fede ai suoi peccaminosi pensieri. I miei capezzoli si erano inturgiditi al solo immaginarlo.
Una settimana era già passata, ahinoi. Erano stati sette giorni splendidi, quelli che ti fanno venire la voglia di non tornare più o quantomeno domandare chi te lo faccia fare di esaurirti nell’esasperante routine quotidiana quando nel mondo ci sono posti dove il tempo semplicemente si ferma.
Diana era ormai nera, mi stupivo ogni volta di come riuscisse ad abbronzarsi a tal punto. Era una pantera che si aggirava per l’isola con un’eleganza e sinuosità da lasciare tutti a bocca aperta.
Non se ne rendeva conto, ma in spiaggia era preda degli sguardi di tutti gli uomini che ci stavano intorno. Le sue movenze feline, i suoi seni stupendi esibiti con disinvoltura disarmante, i suoi capezzoli enormi che come due ciliegie coronavano quelle curve, non lasciavano indifferente nessuno, nemmeno alcune donne che si dividevano fra invidia e maliziosa eccitazione: in particolare le più giovani – per la maggior parte straniere e probabilmente più aperte di mente – davano dimostrazione di apprezzare spesso e volentieri imitando il topless della mia fidanzata per la gioia di noi maschietti con il cazzo perennemente in allerta.
Avevamo anche trovato un piccolo anfratto sabbioso che si affacciava sul mare, nascosto al passaggio della folla, quasi sconosciuto anche agli stessi abitanti del posto.
Per scoprirlo, ci era venuta incontro una pura coincidenza.
Un paio di giorni prima stavamo infatti riscendendo in spiaggia a bordo di una Smart presa a noleggio, avevamo appena terminato di pranzare presso un grazioso ristorante arroccato al centro dell’isola. Diana mi aveva raccontato di come, la mattina stessa, durante una delle sue lunghe nuotate, proprio dietro a un piccolo promontorio roccioso, si era imbattuta in uno yacht a detta sua splendido: “Sai che non me ne intendo e non mi importa nulla, ma non era enorme pur avendo un qualcosa di regale, immagino sia di proprietà di un uomo che ha molto gusto ma che non è abituato ad ostentare. Non so perché, ma ho voluto sfilarmi il costume e continuare a nuotare completamente nuda nei pressi di quell’imbarcazione, nella speranza che qualcuno a bordo mi vedesse, magari spiandomi fra le natiche con uno di quei binocoli che di solito usano. Poi sono tornata da te, amore…”.
Quel racconto mi aveva eccitato da morire e, come spesso accade anche in città, qualche minuto dopo accostai con l’auto alla prima radura e iniziai a scopare Diana sul cofano, mettendola a novanta e premendo la sua testa sulla carrozzeria. Uno di quei raptus cui tanto ci piace abbandonarci. A maggior ragione dopo aver sorseggiato del buon vino e prima di tornare a spogliarci al sole.
Proprio in quel momento, quando i suoi mugolii stavano dando spazio a urlettini di godimento, ci accorgemmo di essere spiati da un giovane ragazzo appostatosi dietro a un cespuglio poco distante.
Non era la prima volta che le nostre “performance” venivano offerte alla vista di qualche curioso, a Roma capita anzi di frequente, e mi bastò farlo notare a Diana per vederla eccitarsi ancora di più e regalarmi urla ancor più sfacciate mentre ormai dalle sue cosce colavano cascate di umori.
Il ragazzo, quello che poi scoprimmo essere un 20enne di nome Dimitris, si masturbava a più non posso, ma a differenza di quanto la sua giovane età potesse far pensare, era da subito apparso consapevole del suo ruolo di osservatore quasi come se già più volte gli fosse capitato di assistere a quella scena.
Scaricata tutta la mia sborra nel culo della mia stupenda compagna, in concomitanza del suo orgasmo forte, urlato, voluto, richiamai l’attenzione del giovane per fare le dovute presentazioni e proprio lui ci suggerii di provare quel fazzoletto di spiaggia in fondo a una scarpata poco distante luogo, evidentemente, presidiato da coppie che già gli avevano dato motivo di soddisfazione così come fatto da noi poco prima.
Federico era stato fino a quel momento un eccellente compagno di viaggio. Mi aveva viziato in tutti quei primi sette giorni, soddisfando appieno le mie voglie e leggendo i miei desideri. Avevamo girato diverse spiagge di Milos, tutte molto carine, e mi ero divertita molto nell’esibire il mio seno ovunque noi ci recassimo.
Pur nascondendolo al mio Fede, più volte mi ero resa conto di quanto il mio corpo attirasse sguardi indiscreti, aspetto questo che mi eccitava ogni volta di più: i miei capezzoli diventavano subito turgidi e, quasi a giustificarmi, davo la colpa ora alla temperatura gelida dell’acqua ora al vento che frequente sfiorava la mia pelle. Ero molto eccitata da questo gioco di sensualità e relax, un gioco che probabilmente si era rivelato contagioso viste le svariate donne che, prendendomi quasi ad esempio, decidevano dopo qualche minuto di perplessità di imitarmi e svestirsi della parte superiore del loro costume. Una specie di nudismo indotto dalla sottoscritta, io che di solito sono così timida! “Guarda te cosa sono capace di fare” pensavo fra me e me divertita e maliziosa.
La vacanza si stava evolvendo in maniera interessante anche dal punto di vista sessuale. Fede mi regalava abbondanti dosi di cazzo ogni volta ci venisse voglia: appena svegli, dopo colazione, dopo pranzo, e così via. E’ splendida la chimica che viviamo ormai da molti anni e che mai accenna a spegnersi. Ne resto stupita ogni volta e di quella volta ricordo la stessa sensazione.
Un pomeriggio, poi, appena dopo pranzo, mi aveva scopata in una radura a bordo strada: proprio come piace a me, sbattendomi sul cofano della macchina, fottendomi prima la figa e poi aprendo il mio buchino con il suo possente attrezzo, così, all’aperto, col perenne rischio di essere osservati da qualcuno. Come accadde con Dimitris, un ragazzino appostatosi a pochi passi di distanza. Me lo fece notare Fede proprio mentre mi stava entrando da dietro sfondandomi il culo per l’ennesima volta. Avevo visto quel 20enne masturbarsi forsennatamente e avevo volutamente aumentato i miei gridolini di godimento.
Al di là di quella scena, in realtà non così nuova nelle nostre scorribande, ciò che mi aveva lasciato una strana sensazione addosso fu però un altro episodio, forse apparentemente privo di senso.
Durante una delle mie nuotate in solitaria, un mattino mi ero imbattuta in un’imbarcazione bellissima, uno yacht color cappuccino con lo scafo di un blu scuro cangiante; avevo pensato subito fosse di un uomo con un gusto molto raffinato ma meno megalomane di tanti altri che possedevano barche come quella: era uno yacht di dimensioni contenute ma molto affascinante, e mi sarebbe piaciuto salirci pur non essendone assolutamente un’esperta. Sarà per quel motivo che, presa dal più puro degli istinti, pensai di tornare a riva sfilandomi le mutandine e offrendo a chiunque fosse a bordo di quell’imbarcazione la visione del mio culo che, nudo, emergeva dall’acqua. Una di quelle fantasie improvvise senza troppe spiegazioni che mi ero divertita a raccontare a Fede, vedendolo eccitarsi fra un calice e l’altro di buon vino.
Era la penultima sera a Milos e a cena io e Diana ci eravamo divertiti a immaginare la destinazione delle nostre prossime vacanze, a distanza di un altro lungo anno. Le chiacchiere, come sempre, ci avevano accompagnato fra gli sfiziosi piatti della tradizione greca e in quell’occasione avevo un po’ esagerato con l’ouzo, un alcolico tipico. Ero parecchio brillo e Diana mi prendeva in giro vedendomi così alticcio.
Decidemmo di fare due passi in riva al mare prima di abbandonarci ad un suggestivo localino fatto di luci soffuse e di una piacevole musica lounge in sottofondo.
Stavamo gustandoci ognuno un’enorme coppa di gelato quando mi accorsi che lo sguardo di Diana si era fatto improvvisamente serio. Era come ipnotizzata. Mi voltai nella direzione del suo sguardo e notai un uomo sui 60 anni che, accompagnato da una giovane donna forse appena maggiorenne, si avvicinava alla veranda dove anche noi avevamo preso posto in quel dopocena in cui l’atmosfera iniziava a farsi intrigante.
“E’ lo yacht che ti dicevo” dissi a Federico dopo qualche secondo di studio in cui ebbi la certezza che sì, era la barca che tanta curiosità aveva suscitato in me qualche giorno prima.
L’uomo che raggiunse il locale dove io e Fede stavamo concludendo la nostra serata era accompagnato da una biondina palesemente annoiata che pensai potesse essere sua nipote: “Sui 5060 lui, fra i 16 e i 18 lei”.
Avevo ragione sul personaggio immaginato: l’uomo aveva uno charme visibile a decine di metri di distanza, un’eleganza inusuale, quasi magnetica. Era molto serio ma trasmetteva affetto per quella ragazzina che a pelle mi dava l’idea di essere molto viziata: le sue smorfie nel leggere il menu gentilmente offerto dal cameriere me ne diedero conferma. Ma lui… lui mi intrigava e non ne capivo il motivo visto che esteticamente, nonostante il fascino, non era assolutamente nulla di che.
Diana era rapita da quell’uomo. Lo capii subito. Le chiesi se pensasse di essere stata riconosciuta: d’altra parte mi aveva raccontato di aver nuotato completamente nuda a pochi metri dal suo yacht, sperando di essere osservata. “Non direi proprio, me ne sarei accorta adesso che ho incrociato il suo sguardo” il commento laconico della mia donna, sempre più incuriosita dal profilo di quell’uomo.
“Whisky for me and one Coke for my daughter” lo sentii ordinare in un inglese che avrei ipotizzato essere australiano, scatenando il disappunto della figlia: “Dad, I am 18! I wanna drink alcool!!” la supplica puerile della biondina.
Dopo qualche minuto di confronto fra me e Diana, in cui immaginammo vita, morte e miracoli di quell’uomo alle prese con la lagnosa figliola che ormai né io né la mia lei sopportavamo per partito preso, i nostri discorsi tornarono su binari familiari.
Fino a che, a un certo punto, uno dei camerieri si avvicinò con una bottiglia di Champagne posandola innanzi a noi: “E’ offerta da quel signore laggiù, mi ha detto di dirle, signorina, che ha un eccellente stile nella nuotata”.
Ero paralizzata. Mi aveva visto, e la cosa mi eccitava, ma ciò che davvero mi sorprendeva era il fatto che in quel breve scambio di sguardi quell’uomo non avesse rivelato il benchè minimo segno di riconoscimento. Come aveva fatto??
“C’è qualcosa che non so?” mi chiese comprensibilmente Federico. “No amore, nulla di più di ciò che ti ho raccontato”.
Silenzio.
“Bene, allora proviamo questo Champagne e fagli cenno di apprezzare il gesto” mi disse lui poi.
Lo guardai dritto negli occhi. Era eccitato e incuriosito, divertito e forse spaventato.
In effetti non mi aveva mai vista così, presa da un mix di attrazione e paura verso un perfetto sconosciuto.
Trasformai in realtà quello che Fede mi aveva chiesto di fare per la soddisfazione del facoltoso straniero di fronte a me, ma tenni a rassicurarlo: “Scordati che ci faccia qualcosa, mi incute timore”.
Mi aveva fatto piacere quella rassicurazione. Più volte con Diana avevamo fantasticato su altri uomini che partecipassero al suo piacere: strumenti della nostra perversione, a disposizione per cavalcare le dimensioni più proibite della nostra intimità. Ma si sa, un conto è pensarlo un conto è farlo, e quella situazione aveva molte incognite rispetto alle tante immaginate.
Le sorprese, però, non erano finite.
Non potevamo, infatti, restarcene lì a sorseggiare da soli la magnum gentilmente offerta da un palese corteggiatore della mia fidanzata e francamente volevo provocare lei tanto da capire sino a dove si sarebbe spinta.
Mi voltai e feci cenno a Christopher – questo scoprimmo essere il suo nome – di raggiungerci al tavolo, invito che l’uomo accolse trascinandosi dietro la figlia, Kimberly.
Mi colpì subito per il suo italiano molto puntuale, e ovviamente per sapere la nostra nazionalità ancor prima di sentirci parlare. “Avrà chiesto allo staff del locale” pensai io. “Ti stai chiedendo come ho capito che siete italiani? Il fondoschiena e l’audacia della tua Diana non potevano che farmi pensare alla sensualità di voi italiani”, mi disse leggendomi nel pensiero.
Ero convinto che Christopher volesse mettere da subito una distanza fra lui e me, fra la sua esperienza e il mio essere sorpreso, puntando al fatto che io non sapessi di quella nuotata libertina della mia donna.
Fui orgoglioso nel deluderlo: “Le nuotate di Diana sono ormai le cartoline delle nostre vacanze” risposi sfidandolo, senza sapere di avergli dato un vantaggio, quello di manifestare la nostra completa complicità, anche in materia di esibizionismo. Lessi una smorfia compiaciuta nei suoi occhi: era di nuovo in vantaggio.
Ero nervosa. Più volte in passato con Federico avevamo sfidato il nostro pudore, le nostre fantasie, ci eravamo esibiti in luoghi pubblici e anche davanti a sconosciuti per esempio in terme naturiste o in spiagge nudiste. Eppure quell’uomo alternava in me eccitazione e paura sin da quando, non capisco ancora come, capì che io e Fede eravamo italiani e, aspetto ancor più sorprendente, iniziò a sciorinare la nostra lingua senza alcun tentennamento.
Vedevo il mio uomo tenergli testa: lo amo quando gioca sulla mia sensualità, quando ne parla in maniera maliziosa senza alcun riferimento esplicito. Christopher – così si chiamava – però utilizzava tutta la sua esperienza per metterlo in difficoltà e quando iniziò a parlare del mio fondoschiena, che il porco a quel punto aveva sicuramente osservato (magari dal suo binocolo…), Fede cadde nella trappola di mostrargli tutta la nostra complicità nell’esibirci dimostrando che gli avevo raccontato per filo e per segno ciò che avevo fatto a pochi metri da quello yacht.
Christopher mi stimolava come mi stimolano tutte le persone dotate di proprietà di linguaggio e intelletto sopraffino. Dopo la battuta su Diana aveva intelligentemente cambiato argomento e i nostri discorsi erano finiti sul mondo delle telecomunicazioni, campo che ci accomunava seppur, anche senza ammetterlo, avevo capito lui fosse un vero e proprio tycoon. Era australiano, come avevo ipotizzato, divorziato da una giovane moglie americana dalla quale aveva avuto Kimberly, la figlia che, palesemente attratta da me, aveva trovato pace passando dalla Coca Cola allo Champagne grazie al mio invito al tavolo.
Non era niente male: i suoi capelli biondo cenere nascondevano due occhi enormi di un celeste non banale, e anche zigomi e labbra le donavano su un volto leggermente squadrato, quasi a volerle regalare una maturità che non aveva. Aveva un seno importante, Kimberly, e dal suo vestitino fucsia si allungavano due cosce affusolate e due polpacci tonici e sensuali; il sandalo alla schiava con un tacco fine e pronunciato, poi, facevano immaginare un potenziale di troiaggine che le moine viste poco prima col padre avevano mascherato.
Le sorridevo quasi come un fratello maggiore: ero più impegnato a capire cosa passasse fra Diana e Christopher che a pensare a qualche pensiero sessuale su quella ragazzina che, ancora non sapevo, sarebbe diventata il mio diversivo da lì a qualche ora.
Pensai di aver scampato il pericolo (quale, poi?) quando Christopher e Federico iniziarono a parlare di lavoro. Mi piace ascoltare il mio uomo quando argomenta ciò che per lui è una passione più che un mestiere, ma in quel momento ottenne l’effetto di spegnere il mio interesse nella situazione.
Christopher mi parve un uomo che, seppur elegante oltremodo, era il classico spaccone australiano e a me gli spacconi non piacciono. Forse, ciò che mi piaceva poco era il fatto di essere un po’ uscita dalla luce dei riflettori, situazione che invece mi aveva acceso fino a poco prima.
Iniziai a parlare con Kimberly, dei suoi studi e delle sue vacanze, andando a fare due passi con lei sul molo e lasciando gli uomini a colloquiare amabilmente.
Al mio ritorno, però, Federico era visibilmente sconvolto.
Non sono un fan dello Champagne e delle bollicine in generale, ma con l’ouzo bevuto a cena e il martellamento di Christopher, il quale a un certo punto aveva attaccato a parlare nel suo inglese aussie quasi a volermi appositamente mandarmi in confusione, la lucidità iniziava a venir meno.
Quasi senza che me ne accorgessi riprese a parlarmi di Diana. Alternava elogi da vero galantuomo a parole più spinte, cercava apertamente di farsi confessare qualcosa da me, aprendo spiragli nella mia irreprensibilità pubblica. D’altra parte quella dannata risposta iniziale aveva rivelato molto di noi, forse molto più di quanto avesse rivelato lei nel togliersi quelle mutandine quella mattina.
“Ho una proposta”, disse a un certo punto lui tornando bruscamente a parlare in italiano. “Ho visto come guardavi mia figlia: so che la apprezzi ma che non ti arrapa così tanto. Non mi importa. Ha bisogno di essere svezzata da te. Se una donna come Diana è innamorata di te è perché sai usare bene il cazzo, e io voglio che mia figlia impari a prenderlo per bene. Mica come fanno quei cazzi mosci di australiani e americani che sanno solo sbronzarsi”.
Non rimasi colpito dalla sua proposta. Anzi. Sono abituato a frequentare uomini molto facoltosi e so che le loro stranezze o perversioni viaggiano di pari passo con le possibilità che hanno. Ho conosciuto imprenditori insospettabili che non vedevano l’ora di farsi inculare da ragazzini appena maggiorenni, o altri che mi avevano proposto di travestirsi da donna per spompinarmi tutta la notte. Chiedere a qualcuno di scoparti la figlia mi sembrava quasi comprensibile come idea.
“Io però voglio Diana. E la voglio da domattina a domani sera”.
Non capivo.
Dovevo scoparmi una ragazza di cui me ne fregava poco o nulla e dare in cambio la mia donna, la più attraente dell’isola, a un perfetto sconosciuto? La richiesta me l’aspettavo sin dal nostro incontro, lo scambio mi sembrava assolutamente impari.
“Anche adesso so a cosa stai pensando: il prezzo di Diana per la giornata di domani è di 50mila dollari”.
Federico non mi diede il tempo di sedermi: si alzò lui e con un braccio mi cinse il fianco prima che, in maniera sin troppo frettolosa, non mi obbligò a congedarmi con lui ringraziando Christopher e sua figlia per il dopocena trascorso insieme e la bottiglia di ottimo Champagne offertoci.
All’australiano era riapparso lo stesso ghigno che aveva mostrato dopo il botta e risposta iniziale con Fede, segno che qualcosa fra loro fosse successo e, probabilmente, Christopher ne era nuovamente uscito vincitore.
Federico era taciturno e camminava a passo svelto verso casa, incurante della richiesta di chiarimenti, quando, sull’uscio della porta, lo obbligai a raccontarmi cosa diamine fosse accaduto.
“Vuole scoparti”.
“Beh quello l’avevo capito”.
“Vuole scoparti a tutti i costi: mi dà in cambio sua figlia per tutto il giorno ed è disposto a pagarti. 50mila dollari”.
Risi di gusto. Era una risata vera, sincera, quasi liberatoria dopo tutto quel mistero che avevo respirato fino a quel momento.
“Amore, non crederai…?”
“Ho visto l’effetto che ti ha fatto lo yacht quel giorno. Ho visto l’effetto che ti ha fatto lui stasera…”
Tornai seria.
Lo feci perché Federico mi conosce come nessuno. Perché se sul momento mi sembrava la proposta di un folle, guardando negli occhi del mio uomo capii che era quantomai concreta quella possibilità.
“Amore, andiamo a letto: domani è l’ultimo giorno intero da poterci godere prima di ripartire. Andremo alla spiaggia del primo giorno che tanto ci era piaciuta, pranzeremo come sempre e trascorreremo la giornata a modo nostro. Senza australiani né yacht” provai a sdrammatizzare.
Fede provò a credermi e più uniti che mai entrammo in casa per prepararci a metterci a letto.
Mentre lui era sotto la doccia, però, gli occhi di quell’uomo mi tornarono alla mente: il suo savoir faire, il ritmo e l’audacia delle sue parole, l’offerta sfrontata che aveva recapitato all’uomo che amo, con tanto di ghigno finale. Mi affascinava, ma mai avrei fatto qualcosa che potesse incrinare il mio rapporto con Fede, mai. Lo vidi uscire dalla doccia bello come il sole, il mio adone, e cercai di concentrarmi su di lui e sul mio cazzo preferito. Che quella sera mi regalò gioie insolite.
Il getto freddo dell’acqua cercava vanamente di raffreddarmi le idee. Era stata una serata intensa, di certo non la prima in cui qualcuno facesse avance a Diana, ma quell’uomo ci sapeva indubbiamente fare. L’offerta finale, poi, era il simbolo di chi è abituato a prendersi tutto ciò che vuole, fregandosene di tutto e tutti.
Amavo Diana con tutto me stesso e da quando ci eravamo ritrovati mi ero dimostrato pronto a cavalcare con lei ogni forma di trasgressione, ogni esperienza che poi, guarda caso, ci aveva unito più di prima.
Questa proposta era decisamente fuori dagli schemi e sapevo di dover declinare senza nemmeno pensarci su ma… avevo fatto trascorrere troppo tempo dopo quelle parole, mi ero dimostrato troppo titubante. Perché?
Uscii dalla doccia e trovai la mia pantera sul letto di quel piccolo nido sperduto su un’isola della quale fino a pochi mesi prima ignoravo l’esistenza. La vidi bellissima come sempre, sempre in bilico fra l’amore che provavo (e provo tutt’ora) e la voglia di scoparla forte: un mix che quella notte ebbe un’intensità particolare.
Sin da quando glielo presi in bocca mi accorsi di un’erezione istantanea, potente. Pensai che il “vecchio” avesse ingelosito il mio Fede a tal punto da eccitarlo e io sarei stata la fortunata pronta ad approfittarne. E’ che anche i gesti del mio uomo erano diversi: sa quanto mi piaccia essere presa per i capelli, ma quella sera lo fece con più violenza; sa quanto mi piaccia essere sculacciata, ma le sue mani su quel letto furono incuranti della fermezza con la quale mi assestava quei grandi ceffoni sulle mie natiche; il turpiloquio spinto al quale ci abbandoniamo solitamente, quella sera fu irrispettoso, autoritario. Capii che mi stava trattando da puttana. Una puttana che si fa pagare per scopare gli uomini. 50mila dollari, per la precisione.
E mi piaceva, mi piaceva da morire.
Ci abbandonammo sul letto dopo un paio d’ore di un sesso mai provato prima. Sembrava potesse essere la nostra ultima scopata e la cosa ci eccitava e impauriva al tempo stesso. Diana è il mio amore grande ma sa essere anche la troia migliore di tutte e, mano a mano, quella notte diede prova di quella seconda qualità.
Nessuno dei due nominò mai Christopher, ma era indubbio fosse lì presente, nel nostro letto, fra le sue gambe.
Mi chiese invece di Kimberly, e mentre scopavo il culo della mia Diana le dissi che sì, svezzare quella 18enne viziata non sarebbe stato poi così male.
Quando ci abbandonammo sui nostri cuscini, ci guardammo negli occhi a lungo: avevamo entrambi voglia di superare il nostro limite. L’indomani alle 10 l’avrei condotta allo yacht color cappuccino con lo scafo blu.
Non dormii per tutta la notte. Federico è l’amore di una vita e anche quella sera me ne diede prova.
Mi ‘testò’ inconsapevolmente, testò la mia troiaggine, volle dimostrarmi e dimostrarsi di amarmi anche dopo essere stata la miglior puttana dell’isola. E quella sera mi piacque ritrovarlo fra le lenzuola dopo aver scopato ancor più dell’essermi fatta chiavare in quel modo, che pure mi aveva mandato in estasi.
Il mattino dopo mi alzai prima del solito, indossai un vestitino leggero e scesi in paese a comprare la colazione. Quando Fede si svegliò trovò davanti a sé un vassoio con caffè, pane appena sfornato e la confettura di una vecchina di Milos di cui lui si era letteralmente innamorato.
Fu il risveglio più romantico della vacanza e ciò che doveva accadere da lì a poco non sembrava turbare la nostra serenità. Unica, rara, irrinunciabile.
Salimmo sul motoscafo che usavamo di tanto in tanto per raggiungere le calette dell’isola e andare in avanscoperta fra le grotte che caratterizzavano Milos. Era l’ultimo giorno che potevamo goderci, ma non l’avrei fatto con Diana.
Nascondevo la tensione dietro ai miei Oakley dalle lenti specchiate, e anche la mia splendida donna faceva lo stesso. Per la prima volta in sette giorni sotto il vestito aveva il costume a coprirle il seno, quasi un gesto pudico prima di andare incontro a qualcosa che di pudico ero sicuro avesse molto poco.
Avevo ricevuto un sms da Christopher la sera prima: incurante del mio fastidio apparente si era fatto dare da qualcuno (inutile cercare di scoprire chi) il mio numero, mi avevo scritto orario e luogo in cui avrebbe ormeggiato lo yacht, sicuro che alla fine a quell’invito lo avrei accettato.
Lo sfidai, ancora una volta inutilmente, scrivendogli il mio iban poco dopo colazione e, nel giro di qualche secondo, una notifica di bonifico ricevuto mi apparve sullo smartphone. Desiderava Diana, la voleva, e io ormai non potevo che offrirgliela. Anzi, vendergliela.
Non m’importava più del batticuore che provavo o dei rischi che stavamo correndo. Sapevo che avrei separato l’amore per Federico da quella giornata che stava per iniziare, una giornata in cui sarei finita dritta nelle fauci di quell’uomo di cui avevo percepito il magnetismo ancor prima di vederlo. Senza sapere di essere osservata ma già schiava del suo potere.
Avevo indossato un costume bianco, il colore che più spiccava sulla mia carnagione ormai scurissima. Anche lo smalto su mani e piedi era color perla e un filo di trucco era nascosto, insieme all’imbarazzo e all’eccitazione, dai miei occhiali sole.
Federico accostò la nostra barca accanto allo yacht, sul quale trovai subito Christopher pronto a tendermi la mano per farmi salire con galanteria. Accolsi l’invito.
Dietro di lui vidi sbucare Kimberly. “La merce di scambio per avermi” pensai, prima di ricordare la somma di denaro già versata da quest’uomo carismatico e autoritario. Guardai Federico per l’ultima volta, prima di farmi guidare sul ponte e vivere una delle giornate più indimenticabili della mia vita.
Toccai la mano di Diana per l’ultima volta prima di cederla a quell’uomo potente e sicuro di sé, prima di provare cosa significhi davvero pensare di poter perdere la persona che ami.
Al suo posto, pochi secondi dopo, avevo accanto una ragazzina eccitata all’idea di mischiarsi ai comuni mortali molto più che di prendersi abbondanti razioni del mio cazzo. “Chissà se lo sa, chissà se è vergine” pensai.
Christopher si perse sul ponte con Diana, la vidi sculettare fintamente giuliva sui suoi sandali con tacco alto mentre lui già le aveva offerto uva e Champagne. A lei le bollicine eccitano, io le odio.
Vederla così, così femmina, così troia, cosi disposta a tutto, mi stava però regalando anche un’eccitazione particolare, una consapevolezza diversa, una garanzia che dietro a quel suo essere zoccola c’era la voglia di non lasciarmi mai, e con questa idea in testa virai con il motoscafo e mi persi sulle onde di quel mare che, oltre al godimento della mia pantera su quello yacht, quel giorno raccolse anche le urla di una ragazzina americana scopertasi ninfomane la quale, persa la verginità sul lettino di un motoscafo, si fece poi scopare ripetutamente sulle spiagge e nelle grotte della Milos più proibita.
Rividi il mio Fede a tarda sera, dopo che Chris (volle da subito essere chiamato così e non glielo negai) terminò di annodare le cime al molo del piccolo porticciolo dell’isola. Mi aspettava seduto allo stesso tavolo della sera prima. Stavolta sorseggiava un Chianti. Rosso.
Era bello come il sole.
Accanto a lui Kimberly sembrava in estasi, una bambina ancora eccitata dopo essere stata al parco divertimenti fino a poche ore prima. Beveva una Coca Cola. “Il solito scemo” dissi tra me e me sorridendo e pensando alla richiesta di alcool espressa poco prima dalla giovane.
Era tornato sicuro di sé, sereno, forte del suo carisma. Secondo a nessuno.
Nemmeno a Christopher, il quale era stranamente diventato più umano al cospetto del mio uomo. Come se i ruoli si fossero invertiti all’improvviso. Ora era il magnetismo del mio amore ad attrarmi, l’australiano aveva esaurito ciò di cui avevo goduto fino a quando non fui scesa da quella barca.
Ero stanca e felice. Avevo goduto in maniera oscena, il cazzo di Chris era enorme e mi aveva divelto figa e culo facendomi urlare come una disperata. Non avevo mai visto un cazzo di quelle dimensioni e, dopo il dolore atroce, avevo scoperto un piacere crudo, macabro, un godimento totale, fisico all’ennesima potenza. Avrò succhiato quel bastone instancabile per ore, lo avrò preso nel culo altrettante, avrò bevuto litri di sborra, densa, cremosa, buona. Ho amato il sesso con quel 60enne esperto e superdotato, galante e autoritario. Mi sono sentita un po’ più donna e molto più troia. E’ stato bellissimo.
Mai, tuttavia, come il tornare a baciare il mio Federico. L’uomo più carismatico e magnetico che conosca. Il cazzo più bello, il più galante e il più autoritario. Il mio amore grande.
Fu una bellissima vacanza. A Milos.