HISTOIRE TITRE: Corna, Calce e Altri Desideri 
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HISTOIRE

Corna, Calce e Altri Desideri

by ilmattiniero
Vu: 185 fois Commentaires 0 Date: 29-07-2025 Langue : Language



La casa era un cantiere, vivo come un organismo in trasformazione. I muratori avevano appena finito per il giorno. Si erano allontanati lasciandosi dietro il ronzio dei trapani spenti, l’odore pungente della calce, e una nuvola leggera di polvere in sospensione, come una nebbia che non voleva andarsene. Ma il portico… il portico era perfetto. In legno scuro, fresco d’ombra, rifinito come un salotto sacro in mezzo al caos.
Lì mi aspettavano Lara e Carlo.

Carlo, canotta sudata, un bicchiere di birra in mano e l’aria di chi osserva il mondo da un passo indietro. Ma nei suoi occhi c’era qualcosa. Una luce obliqua. Strana. Uno scintillio che sapeva di complicità e di resa. Lara invece sembrava disegnata apposta per l’estate. Seduta sul bordo del tavolo grezzo, le gambe nude incrociate, la camicia bianca sbottonata più di quanto fosse necessario. Le dita sporche di calce, i capelli raccolti alla meglio. Il seno che si intravedeva a ogni movimento, come se non avesse importanza. Come se sapesse benissimo l’effetto che aveva.

«Ci voleva proprio una visita oggi» disse Carlo, passandosi la mano sulla nuca. Poi si avvicinò, mi diede una pacca sulla spalla e con un mezzo sorriso disse: «Vado a prendere dei drink. Mi raccomando se dovete farlo... fatelo quando arrivo. Sono un cornuto a cui eccita da morire vedere la propria moglie scopata davanti a sè.» Mi fissò, fermo, come se volesse assicurarsi che capissi che era serio. Poi si voltò e se ne andò, con passo lento e sicuro, come un direttore d’orchestra che ha appena dato il via al suo pezzo preferito.

Restammo in silenzio. Lara non disse nulla. Si limitò a guardarmi. Poi scese dal tavolo, camminando scalza sulla pietra grezza. «È così da sempre, sai?» sussurrò, avvicinandosi. «Carlo ama vedere le cose sporche… quelle che non osa chiedere nemmeno a se stesso. Ma io gliele regalo lo stesso. Per amore, o per gioco. O forse perché sono fatta così.»

Mi sfiorò la cintura. «Con te, oggi, è un regalo anche per me.» Mi prese con una fame animale. Mi spinse contro il pilastro del portico, mi slacciò la camicia. Le mani affondavano nella carne. Le sue labbra sapevano di sudore e menta, i suoi occhi erano due ferite aperte. «Scopami e fammi andare via di testa, fosse solo per cinque minuti» mi sibilò all’orecchio. «Fammi dimenticare anche il mio nome. Ma fallo mentre lui ci guardo. Fallo sporco come sempre. Fallo per fargli male.»

Mi strinse con le gambe, i fianchi aderenti, i gemiti trattenuti a stento. Ogni suo movimento sembrava una bestemmia sussurrata, ogni bacio una sfida al cielo. Quando Carlo tornò, lei era ancora accasciata su di me, il volto sul mio petto. Lui ci guardò. Non disse nulla. Appoggiò il vassoio, si sedette e accese una sigaretta. «Alla vostra discrezione,» disse infine. «E alla mia irrimediabile inclinazione a farmi mettere le corna da chi desidero vedere felice.»

Il giorno dopo io e mia moglie partimmo. L'avevo resa cornuta poche ore prima, ma la bestia che porta dentro è difficile da fermare. Una vacanza sognata da mesi. Un’uscita dal mondo. Volammo a sud, in Marocco, fino a Merzouga. Lì il paesaggio si ferma, si spezza, si arrende. Comincia il deserto. L’Erg Chebbi ci aspettava con le sue dune rosse, immobili e antiche come profezie non dette. Ci inoltrammo a dorso di dromedario. Una guida berbera ci condusse in silenzio, il vento che sollevava la sabbia e cancellava ogni traccia.
Arrivati al campo, ci offrirono tè alla menta sotto una tenda bianca. Il cielo si faceva blu profondo, le stelle cominciavano a danzare.

Quella notte, mia moglie mi si avvicinò scalza, avvolta in un telo. «Non sei più dove sei,» mi disse. «Ti sento… ma ti sento lontano.» La guardai. Il volto illuminato solo dal riflesso del fuoco. «Sono stanco. Ma ora sono qui.» Ci baciammo come se fosse la prima volta. E facemmo l’amore lentamente, nel silenzio più sacro che io abbia mai conosciuto. Senza fretta. Senza bisogno di nulla. Solo noi. Pelle contro pelle. Cuore contro cuore. Alla fine, restammo nudi sulla sabbia, stretti l’uno all’altra, e non ci fu colpa. Solo verità. Lei mi guardò e sussurrò: «Torna, quando vorrai. Ma fallo intero. O non tornare affatto.»

Siamo tornati in Italia. Da allora non ho più rivisto Lara e Carlo. Il nostro tempo è rimasto inchiodato a quel portico. Una ferita. Un altare. Una rovina sacra.
Qualcosa di vero e irripetibile. Loro forse ci sono ancora, tra polvere e legno, tra sguardi complici e verità taciute. Ma io sono da una altra parte.

Alcuni fuochi si accendono per ricordarci chi siamo.
Altri per mostrarci chi vogliamo diventare.

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