Tintarella al "Ponte della Becca"
by LokiDianaViewed: 2414 times Comments 12 Date: 16-12-2020 Language:
L’esperienza alle terme – di cui ho raccontato in un’altra occasione – si può dire sia stata indubbiamente la svolta nel nostro rapporto con la trasgressione, se così si può intendere, “pubblica”. Lì, infatti, Diana ha assaporato l’eccitazione che l’esibizionismo le provoca, abbiamo goduto della nostra complicità innanzi a donne e uomini sconosciuti, abbiamo inaugurato un percorso fatto di fantasie e pensieri mai così realizzabili.
A quello, sono seguiti diversi altri momenti di esibizionismo e – quando tutto questo inferno sarà passato – tanti altri ne seguiranno.
Siamo solo all’inizio, d’altronde...
Una delle avventure sicuramente più eccitanti l’abbiamo vissuta l’estate scorsa.
Avevamo già fatto un po’ di nudismo in vacanza, quando un po’ per caso ci eravamo ritrovati alle “Spiagge nere”, nei pressi di Santa Severa (Lazio), lanciandoci in un’esperienza inedita ma molto divertente e, devo dire, piacevole.
Ci eravamo riproposti, quindi, di rifarlo, e l’occasione si presentò in un caldo pomeriggio di inizio agosto in cui decidemmo di dirigerci al noto, per gli “addetti ai lavori”, Ponte della Becca, nei pressi di Pavia.
E’ un luogo in cui ero già stato anni prima: frequentando come single siti per scambisti, ricordo di aver buttato l’occhio in quella location di cui molti parlavano, e dove mi ero riproposto di tornare una volta che avessi avuto al mio fianco una Lei trasgressiva e libertina tanto quanto me.
Diana è ovviamente tutto questo e molto altro…
Quando le proposi di prendere la direzione “della Becca”, accettò entusiasta col suo tipico sorriso sornione, malizioso e fintoinnocente.
Giunti sul posto, con lei avvolta da un leggerissimo vestitino di cotone bianco, ci incamminammo quindi fra le deserte spiagge che fanno da cornice alla confluenza dei fiumi Ticino e Po, non potendo non notare movimenti fugaci fra le sparute vegetazioni qua e là tipici degli “affamati” voyeur.
Per chi non è pratico del posto, i “Sabbioni”, così chiamati, sono un’infinita e incontaminata distesa di sabbia che in estate offre agli ‘italiani del Nord’ – privi ahinoi di località balneari – la possibilità di tintarella e refrigerio. Il luogo è in certe zone frequentato da nudisti e guardoni, soprattutto in passato meta imperdibile per coppie scambiste ed esibizioniste. Un po’ come noi.
Scelta la posizione su cui stendere i nostri teli, il primo approccio di Diana con i “Sabbioni” non fu, per la verità, un granchè. Sparsi qua e là, infatti, vi erano uomini soli e di età piuttosto avanzata rispetto a noi, mentre alle nostre spalle un via vai quasi inquietante nella boscaglia non è che fosse il massimo quanto a intrigo...
Un po’ diverso, evidentemente, dalle “Sabbie nere” laziali, tanto che Diana, inizialmente, optò per non togliersi il costume nero che, comunque, denotava le sue forme accattivanti e che non passò inosservato fra i presenti, seppur tutti molto distanti.
Non sapevo, per la verità, a cosa potessimo andare incontro quel pomeriggio. Mi piaceva l’idea di frequentare un posto un po’ insolito, ma l’assenza di altre coppie e il carattere addirittura un po’ goliardico dei presenti, evidentemente frequentatori abituali del Ponte della Becca, ridimensionava la situazione alla tipica tintarella sul fiume che noi lombardi ben conosciamo.
Con Diana, però, non bisogna mai dare nulla per scontato.
A un certo punto, infatti, decidemmo, di farci una passeggiata refrigerante immergendo le gambe nell’acqua, camminando in direzione contraria alla leggera corrente, in modo da approfittarne per vedere meglio chi fossero gli altri bagnanti appollaiati in riva al fiume.
Sarà stata la nudità cui ormai ci eravamo abituati, sarà stata qualche parola scambiata con un paio di simpatici signori con attributi bene in vista, saranno forse stati un paio di coetanei che, allo stesso modo, esibivano la loro natura senza soggezione, fatto sta che al ritorno verso i nostri asciugamani Diana era decisamente più sciolta, tanto da spogliarsi del costume, ormai reputato inutile.
Fu una danza.
Quella che, per tre o quattro volte, io e la mia donna inaugurammo fra la spiaggia e la battigia, una sorta di passerella che diede modo ai presenti di ammirarla e desiderarla, prima di sederci vicini in acqua lasciandoci rinfrescare dal suo fresco fluire.
Notai subito l’irrigidirsi dei suoi capezzoli, e come me coloro i quali attorno a noi iniziavano lentamente a ridurre la distanza. Quei bottoni scuri, pronti a diventare duri come chiodi, quasi a richiamare magneticamente il più carnale degli istinti, anche quella volta non furono da meno, e con disinvoltura diressi a loro le attenzioni della mia bocca e della mia lingua, accrescendo in Diana quella voglia che spesso e volentieri, a maggior ragione innanzi a sconosciuti, non può che evitare: quella di sentirsi troia esibizionista.
Mi piace leccarle i seni, anche quando siamo in intimità ci passerei le ore. Ha delle tette perfette, Madre Natura sembra avergliele disegnate, e succhiarle i capezzoli davanti a un pubblico in estasi è il viatico migliore per aprire capitoli di trasgressione ancora non scritti fra noi.
La mia mano fra le sue gambe fu una logica conseguenza, sentendo la viscosità dei suoi umori nonostante fosse immersa fino all’ombelico nell’acqua del fiume, una sensazione tattile che non poté far altro che portarmi a un’immediata erezione, cosa che evidentemente Diana notò subito visto che, senza indugi, iniziò anche lei a darsi da fare con la sua mano.
E’ una situazione strana, imprevedibile, speciale, probabilmente molte delle coppie che stanno leggendo l’hanno già vissuta, ma è così che ci accade: sono quegli istanti, minuti, in cui ci siamo solo noi, spesso corrispondenti alla fase iniziale di una trasgressione voluta, desiderata, complice, nella quale che intorno ci sia il deserto o centomila persone non fa differenza, non importa. E’ un prendersi per mano a vicenda, fra il gioco e il sentimento, in cui nessuno può intromettersi pur volendo.
Ed è così che avvenne.
Le nostre lingue iniziarono un vorticoso rincorrersi, con le nostre mani che sempre di più osavano e coccolavano. Sentivo il seno di Diana gonfiarsi eccitato, le pulsazioni fra le sue gambe, mentre il brivido di eccitazione pervadeva ogni nostro gesto.
Nel graduale mio tornare alla realtà, capii che lo spettacolo innanzi al pubblico non pagante era iniziato da un po’, e volli aggiungere pepe al copione chiedendo alla mia splendida musa di aprire ancor di più le cosce così da farsi ammirare da quegli occhi iniettati di libidine, sempre più vicini, come fosse un esercito di una ventina di uomini che si muoveva, a ritmo, secondo dopo secondo, tentando un avvicinamento discreto ma visibile, alla ricerca di un premio, o una preda, tutt’altro che scontato.
Masturbandola davanti a tutti avevo condotto Diana a un livello di eccitazione ormai irrefrenabile; chiederle di succhiarmi il cazzo sembrava fosse l’ordine che da secoli pregava io le impartissi, e la foga con la quale si avventò sul suo giocattolo preferito ne fu la prova.
Avevamo davanti a noi poco più di venti uomini arrapati. Anziani, di mezza età, un paio di giovani che stavano a distanza forse timorosi di macchiarsi di lesa maestà innanzi a chi di quel luogo ne sapeva più di loro – sposati, single, guardoni. Uomini di tutti i tipi.
Tutti, desideravano Diana. Un suo cenno, un suo sguardo.
E’ con questo pensiero che, dopo un pompino sontuoso e interminabile, decisi di scoparla con lo sguardo rivolto a loro, al suo pubblico in estasi, quasi a voler far annusare a quei cani affamati, in quel momento, l’intimo profumo della regina di tutte le cagne, giunta lì, in quel luogo poco battuto e noiosamente frequentato, per farsi sbattere dal suo padrone innanzi a loro.
La presi da dietro e glielo infilai sino in fondo. Non aspettava altro, bagnata com’era e desiderosa di essere impalata da carne che ben conosce ma di cui non è mai sazia.
Gli occhiali da sole scuri che indossava le permettevano di guardare negli occhi ognuno di quegli uomini, senza dar loro modo di farsi scrutare nell’anima, ma solo nel corpo. Quello sì. Eccome.
Si masturbavano tutti, tutti alle prese coi propri arnesi, chi a bocca aperta e chi, ancora, nell’intento di avvicinarsi. Li avevamo a pochi passi, e bene fece uno di loro a richiamare l’unico che provò a rompere quell’ordine non scritto, quel rigore spontaneo che permise a tutti loro di godere dello spettacolo e a noi, me e Diana, di sentirci quasi protetti nel nostro lasciarci andare.
Fu un orgasmo intenso da parte di entrambi. Le venni sulla schiena: non volli rinunciare a mostrare a tutti l’effetto di quella scopata esibita a lungo innanzi ai loro occhi, a dimostrare cosa servisse per soddisfare una dea come lei, quasi ad autografare qualcosa di mia proprietà.
Un leggero imbarazzo, del tutto assente sino a quel momento, ci ricondusse alla realtà. Sorrisi sinceri, pieni d’amore, riportarono me e Diana all’origine di quel pomeriggio, mentre un timido applauso da parte di qualcuno ci confermava che sì, eravamo noi quei due matti che fino a pochi secondi prima avevano reso quelle acque una colata di lava incandescente.
Ci ricomponemmo e uscimmo dal fiume, asciugandoci e rimettendoci il costume.
Una sorta di pudore istintivo, di ritorno al mondo reale in cui i dogmi della società limitano la libertà espressiva, consapevoli però di essere stati protagonisti della nostra trasgressione.
E di volerlo essere ancora in futuro.
“Tornerete? Di dove siete?” ci chiesero alcuni sul sentiero del ritorno verso la nostra vettura.
“Chissà, voi aspettateci” fu la nostra risposta.