HISTOIRE TITRE: Cuck umiliato al ristorante e poi in camera 
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HISTOIRE

Cuck umiliato al ristorante e poi in camera

by Queencuckdog
Vu: 292 fois Commentaires 1 Date: 18-06-2025 Langue : Language


Arrivammo al parcheggio del ristorante. Mi guardò e, senza dire nulla, mi porse una busta nera.
Dentro, un collare in pelle nera con la scritta “CUCKOLD” in argento.

«Lo metti tu o devo farti inginocchiare qui fuori?»
Lo misi, tremando.
Era umiliazione pura.

Entrammo. Il tavolo era pronto, in un angolo riservato ma non troppo. Quanto bastava per garantire un po’ di discrezione... e una buona dose di esibizionismo.

La Queen entrò per prima, con passo deciso e sguardo glaciale.
Indossava un abito da puttana: di jeans, aderente, senza intimo (come si vede nelle foto del profilo).
Il seno premeva sul tessuto leggero, i capezzoli si intuivano chiaramente sotto le luci del locale.
Ogni volta che un cameriere passava, cercava di non guardare… e falliva.
Le cosce nude, lo spacco profondo e l’assenza totale di biancheria erano una dichiarazione: “Guardami, ma non toccarmi.”

Dietro di lei, il cuck camminava a testa bassa con il collare ben evidente. Castità ben stretta, plug in tasca.
Il Bull li attendeva già seduto, sorrideva compiaciuto. I suoi occhi si posarono sulla Queen con ammirazione.
Poi si girò verso il cuck e lo fulminò con uno sguardo di superiorità.

La Queen si sedette con grazia, incrociò le gambe in modo da mostrare volutamente troppo, ignorando ogni sguardo attorno.
Poi, con un tono secco e pubblico, disse:
«Cornuto, tu cosa prendi? Ah già… non hai voce in capitolo.»
Il Bull sorrise.
Lei ordinò per tutti, senza consultare nessuno.

Il cuck si contorceva sulla sedia. Il Bull, con calma, gli sussurrò:
«Vai in bagno. Lo sai cosa devi fare.»
Il cuck si alzò in silenzio, arrossito. Sparì.
Tornò dopo qualche minuto con il plug vibrante ben inserito.
Il telecomando era nelle mani sbagliate: quelle del Bull.

Durante la cena, tra una portata e l’altra, la Queen si divertiva a parlare ad alta voce:
«Sai, caro, lui oggi ha chiesto di essere liberato. Poverino. Troppa pressione sulle palle... Ma io preferisco quando soffre.»

Ogni frase era una lama.
Ogni vibrazione, un fremito di umiliazione.
Il Bull lo attivava a sorpresa, osservando le reazioni del cuck mentre cercava di non perdere il controllo davanti ai camerieri.

Alla fine del pasto, la Queen si alzò per prima, lasciando intravedere ancora una volta la sua nudità perfetta sotto il vestito.
Il Bull la seguì.
Il cuck si alzò in silenzio, il plug ancora dentro, la castità ancora chiusa, la vergogna stampata in volto.
E lei… aveva brillato con il suo Bull.

Quando uscirono dal ristorante, lei non disse nulla. Aprì lo sportello della macchina… e salì accanto al Bull.
Io capii subito il mio posto.
Salii nel mio veicolo e mi misi in coda.
Come un autista. Come uno schiavo. Come un cuck.

Arrivati all’hotel, fu lei a scendere per prima.
Entrai nella hall con lei.
Io vestito con collare.
Lei vestita da troia di classe, senza nulla sotto, con il seno che sfiorava la trasparenza, con l’odore del Bull ancora nell’aria.

Presi la stanza per tre. Nessuno fece domande. Ma tutti capivano.

La porta della camera si chiuse alle spalle, e fu subito chiaro chi comandava.

La Queen si tolse le scarpe, si sedette sul bordo del letto, accavallando lentamente le gambe come una Dea stanca di dover aspettare di essere adorata.
Mi indicò una busta nera.
Dentro c’era una tutina da donna, diversa da quella che avevo indossato: dal rosso siamo passati al rosa fluorescente, con un buco aperto sul retro e davanti con trasparenze sopra che lasciavano scoperte le mie inutili tette da maschio cuck (vedi foto profilo).

«Vestiti. Ora. Sei la nostra piccola troia stasera.»

Mi spogliai tremando. Il plug ancora dentro, la cintura chiusa.
Mi infilai quella tutina umiliante, mi sentivo esposto, ridicolo, obbediente.
La Queen si sistemò su una poltrona di fronte al letto. Le gambe aperte, il vibratore già tra le dita.
«Fammi godere mentre lui ti prende. Fammi vedere quanto sei cornuto, troia.»

Quando il Bull arrivò, sorrise appena.
Non mi guardò nemmeno.
Andò direttamente dietro di me.
Fece tutto lui: spinse, sputò, prese.
Mi piegò in avanti sul bordo del letto e iniziò a penetrarmi con dolcezza, senza parole, solo con dominio.

Ogni colpo era accompagnato dal rumore della pelle che sbatteva, dai suoi respiri profondi, e dai gemiti contenuti della Queen.
Lei si masturbava con eleganza, ma senza freni.
Si toccava lentamente, guardava la scena con occhi accesi.
Era l’apice del potere: il suo schiavo usato, il suo Bull dominante, il suo sesso al centro del mondo.

Mi prese in tutte le posizioni.
A carponi, piegato contro la parete, in ginocchio sul divano, con la faccia nel cuscino mentre lui affondava fino in fondo.
Io godevo nella mia umiliazione, sborrando nonostante la gabbietta, con il cazzo che colava sborra.
I due ridevano di quanto ero cornuto.
E lei godeva nel vedermi sottomesso, bucato, inutile.

Dopo un’ora abbondante di gioco selvaggio, il Bull si alzò, nudo e soddisfatto.
Andò alla giacca. Tirò fuori una busta bianca, gonfia.
Dentro, banconote da 100, ben piegate.

«Per la tua Regina» disse.
Gliele porse.
Lei, con un sorriso da vera puttana consapevole, le prese e le mise sopra la sua pancia.
Poi prese il cellulare e disse solo:
«Aspetta. Voglio una foto. Così mi ricorderò di quanto vali davvero.»

Il Bull si avvicinò, le scattò una foto con il décolleté aperto e le banconote in bella vista.
Lei rideva, non da donna comprata, ma da padrona che sceglie di essere pagata.

A quel punto, il Bull mi fece preparare la figa della Queen con la lingua e mi chiese:
«È pronta la troia?»
«Sì, padrone», risposi.
«Allora ora prepara il mio cazzo», mi disse.
E io iniziai a pompare il Bull…

Poi disse:
«Ora inserisci tu il cazzo alla troia… e vai dietro a guardare come si scopa una puttana.»

Iniziò a penetrare la Queen e lei iniziò a godere e a umiliarmi.
«Guarda come mi scopa, cornuto… che bel cazzo… ecco perché prima godevi come una troia… cane…»

Poi mi ordinò di leccare i piedi della Queen, che urlava sempre di più.
Iniziò a prenderla in ogni posizione, e io sempre a leccare come un cane.

Alla fine, arrivò la parte peggiore.
O forse… la migliore.
Mi ordinarono di strisciare sotto di loro, mentre la Queen si metteva sopra il Bull e iniziava a cavalcarla.

Mi trovai schiacciato tra il materasso e il corpo di lei.
Sentivo i movimenti, le urla, il liquido che colava sulla mia faccia, la pelle che s’incontrava.

Alla fine, quando tutto fu finito, mi tirarono fuori.
E con lo sperma del Bull ancora caldo su di lei…
mi ordinarono di leccarla.

E io lo feci.
In ginocchio. In silenzio. Umiliato.
Come il cuck che sono.

La stanza era di nuovo silenziosa.
Il Bull si era rivestito, sistemato, e con l’aria di chi ha preso ciò che voleva, uscì senza nemmeno salutarmi.
Baciò la Queen sulla bocca, le diede uno schiaffetto sul culo e sussurrò:
«Tienilo allenato. La prossima volta voglio meno resistenza.»

La porta si chiuse.
Rimanemmo soli.

Io ero ancora sul letto, con la faccia bagnata, il collare al collo e la scritta sulla schiena: cornuto.
Lei si sedette sul bordo del letto, le cosce ancora aperte, le labbra gonfie, il corpo sudato e segnato.
Mi guardò. In silenzio.
Poi infilò due dita tra i seni e tirò fuori la chiave della mia gabbia.

«Sei stato bravo a guardare. Ma adesso viene la parte difficile.»
Si avvicinò, me la infilò nella mano.
«Togliti la gabbia. E dimostra che servi ancora a qualcosa.»

Le mani tremavano mentre mi liberavo.
Il mio cazzo, schiacciato per ore, pulsava ma era ridicolo, fragile.
Lei si sdraiò sul letto, aprì le gambe e si passò una mano tra le cosce.
Era ancora bagnata di lui.

«Leccami. Preparami. E poi scopami. Ma ti avverto… se non riesci a farmi godere, la prossima volta il Bull raddoppia il regalo… e si prende anche il mio culo. Visto che tu, da lì, non ci entrerai mai.»

Quelle parole mi tagliarono dentro.
Eccitazione, rabbia, umiliazione… tutto insieme.
Mi gettai tra le sue gambe. Le baciai le cosce, le leccai piano, poi sempre più forte.
Il sapore del Bull era ancora lì. Lei gemeva, ma non per me.
Lo sentivo.
Io non ero il piacere.
Ero il dovere.

Quando entrai in lei, lei chiuse gli occhi.
Mi lasciò fare.
Come si lascia lavorare a un servo.
Niente romanticismo.
Solo prestazione.
Solo un test.

Alla fine, quando tremò sotto di me e le sue unghie mi graffiarono la schiena, io trattenni l’orgasmo come mi aveva ordinato.
Ero scoppiato dentro, ma non dovevo godere.
Lei lo sapeva. Lo sentiva.

Mi spinse via.
Si sedette di nuovo.

«Hai evitato il culo. Per ora.»
Poi si alzò, prese il cellulare, controllò le notifiche, si avvolse in un accappatoio bianco.
Io ero di nuovo nudo, flaccido, sudato.

«Vai a preparare la doccia. E pulisci dove hai sbrodolato. Poi vestiti.
Nei prossimi giorni si va a fare shopping… e dovrai sorridere mentre il Bull mi sceglie l’intimo.»

Fece una pausa.
Poi mi guardò, con quel sorrisetto da Dea che distrugge.
«Magari te lo fa provare anche a te prima di me.»




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  • avatar maximaquercia Molto porco ed erotico maximaquercia@hotmail.com

    19-06-2025 09:14:35