La Mia Regina, Il Suo Servitore
by MisterFive
La notte del patto, quella in cui il
velo
era stato strappato e la mia Regina aveva dichiarato il suo volere, aveva acceso una passione straordinaria tra noi, una fiamma perversa che ardeva più intensamente di prima. Ogni tocco, ogni sguardo, era ora intriso di un significato nuovo, di una sottomissione che Matteo aveva abbracciato con un misto di terrore e delirio. Era bastato un cenno dei miei desideri e Matteo, il mio obbediente servitore, era corso a procurarmi una nuova serie di strumenti per ampliare il nostro
divertimento
.
Avevamo comprato di tutto, la mia lista era stata precisa e inequivocabile: un frustino da cavallerizza, un gatto a nove code con le sue code sottili e sibilanti, pronte a lasciare tracce scarlatte sulla pelle, una gabbia di castità per Matteo, perché la sua devozione non conoscesse interruzioni. Ma i miei acquisti preferiti erano stati gli slip di lattice: un paio da donna, neri e lucidi, con un pene finto prominente sul davanti. Li avrei indossati per possedere Matteo, per fargli sentire il mio potere in un modo nuovo, per renderlo ancora più docile, più completamente mio. E un paio da uomo, con un pene finto interno, per le sessioni di dominazione, quando Matteo avrebbe desiderato sentire il mio
controllo
in un modo più diretto e profondo.
Mentre il mio corpo si preparava a nuovi incontri, il telefono divenne un prolungamento del mio desiderio. Michele, il motociclista dagli occhi ardenti e dalla parlantina disinvolta, si era rivelato un complice perfetto. Il nostro rapporto telefonico a distanza era diventato una danza di anticipazione. Le sue parole, cariche di desiderio e promesse, accendevano in me un fuoco sotterraneo, una voglia di rivederlo, di sentire il suo corpo sul mio, che mi incendiava ogni giorno di più.
Giada,
mi aveva detto una sera al telefono, la sua voce profonda che mi faceva vibrare fino alle mutandine,
non smetto di pensare a quella sera. E a te, così audace, così perfetta. Voglio sentirti di nuovo, voglio assaggiarti.
E io, con un sorriso malizioso, gli avevo risposto:
Michele, non aspetto altro. Il mio schiavo è impaziente di vedermi soddisfatta.
Il desiderio di Michele era contagioso, e in breve, la voglia di rivederlo era diventata un'ossessione, un richiamo irresistibile.
Non potevo più aspettare. Il desiderio per Michele era diventato una fame che mi divorava, un bisogno fisico che dovevo appagare. Organizzai un incontro in albergo, un pomeriggio intero dedicato a noi due, lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, da quelli troppo ansiosi del mio schiavo. Matteo, infatti, era rimasto a casa con la sua gabbia di castità, ben serrata, per evitare che eccedesse con la masturbazione. Lo volevo carico, carico di desiderio e sottomissione, quando sarei tornata.
Non provare nemmeno a toccarti, Matteo,
gli avevo ordinato quella mattina, mentre gli sistemavo la gabbia, le mie dita che gli sfioravano il metallo freddo, il suo membro prigioniero.
Voglio che tu sia in fiamme quando torno. Voglio che la tua brama per la tua padrona sia incontenibile.
Lui aveva annuito, gli occhi pieni di una perversa devozione.
Arrivata in albergo, l'eccitazione mi saliva alle stelle. Michele mi aspettava nella suite, un sorriso smagliante sulle labbra, i suoi occhi che mi divoravano. Il nostro incontro fu un'esplosione di desiderio represso. Non appena la porta si chiuse alle nostre spalle, le sue mani furono subito su di me, togliendomi i vestiti con una foga che mi fece gemere. I suoi baci erano caldi e umidi, scendevano sul mio collo, poi sui miei seni, che si gonfiavano e indurivano sotto la sua lingua. Mi spinse sul letto, le mie gambe che si aprirono quasi da sole, invitandolo ad entrare. Non ci fu tempo per preamboli. Michele si posizionò tra le mie cosce, e con un colpo deciso, mi penetrò. Il suo membro era grosso e bollente, riempendomi completamente. Gemetti, stringendolo a me, le mie unghie che si conficcavano nella sua schiena. I nostri corpi si mossero in un ritmo primitivo, senza fretta ma con una potenza che mi toglieva il fiato. Sentivo ogni singolo centimetro del suo pene dentro di me, le pareti della mia vagina che si contraevano attorno a lui, una stretta di piacere che mi faceva tremare. Il suo profumo maschile mi inebriava, mescolandosi al mio, creando un'atmosfera densa e primordiale. Michele mi teneva stretta, i suoi muscoli che si tendevano, il suo fiato pesante sul mio viso.
Sei incredibile, Giada,
ansimava, spingendo più a fondo, più forte.
Sei pura dinamite.
Io, le gambe strette attorno alla sua vita, sentivo il piacere salire, un'onda inarrestabile.
In uno dei movimenti della testa, in preda al piacere, vidi il mio telefono sul comodino. Un'idea mi balenò in mente, un capriccio non potevo ignorare. Matteo. Volevo che Matteo fosse lì con me, in qualche modo. Presi il telefono, il mio corpo ancora in subbuglio, e chiamai il mio schiavo.
Matteo,
dissi, la voce roca e ancora carica di piacere.
Sei lì, mio schiavo? La tua padrona ha qualcosa da dirti.
Michele si era accorto della telefonata, un sorriso divertito e complice sulle labbra, mentre mi guardava. Il suo corpo era ancora sopra il mio, la sua erezione ancora vibrante dentro di me.
Giada, va … tutto bene?
chiese Matteo, la voce tesa, la paura e l'eccitazione che si mescolavano.
Sì, Matteo,
risposi, la mia voce più alta, quasi a volerlo provocare.
Sono con Michele. E indovina un po'? È ancora dentro di me. Stiamo godendo entrambi, ed è così... incredibile. Sento ancora il suo sapore in bocca, il suo odore sulla pelle. È così grosso, così virile. E mi riempie completamente, mio schiavo. Mi fa sentire donna come nessun altro.
Sentii Matteo ansimare dall'altra parte della linea.
No.… no, Giada... non dirmelo... ti prego...
Michele mi guardò, il suo sorriso si allargò. Si mosse dentro di me, lentamente, provocatoriamente, e io gemetti, un suono che Matteo poté sentire.
Lo senti, Matteo?
dissi, la mia voce quasi un sussurro eccitato.
Si muove, vuole farsi sentire in ogni parte di me.
Rimanemmo distesi, esausti ma soddisfatti, sul letto dell'albergo. Io, godendomi il calore del corpo di Michele accanto al mio, riposavo, il mio desiderio appagato per il momento. Matteo, dall'altra parte del telefono, chiuse la chiamata, e sentii la sua eccitazione ribollire. Sapevo che si stava rodendo, che il suo desiderio era alle stelle, rinchiuso nella sua gabbia di castità, tormentato dalle mie parole.
Dopo qualche tempo, ci coccole e riposo, fu Michele a chiamare Matteo. Era una mossa astuta, un modo per stuzzicarlo, per rafforzare il suo ruolo di
cuckold
.
Allora, Matteo,
disse Michele, la sua voce calma ma intrisa di una sottile malizia.
Come te la passi? La tua Giada, la tua Regina, è stata meravigliosa. Abbiamo passato un pomeriggio indimenticabile.
Matteo era teso, la sua voce appena un sussurro.
Dimmi... dimmi cosa le hai fatto...
In quel momento, mentre Michele parlava con Matteo al telefono, mi avvicinai. Mi inginocchiai davanti a lui, i miei occhi che si posavano sul suo sesso teso, poi sul suo viso. Presi il suo pene tra le labbra, lentamente, assaporandolo. Il mio sguardo non si staccava dai suoi occhi, mentre cominciavo a muovere la testa. Michele non mancò di riferirlo a Matteo.
Senti, Matteo?
ansimò, la sua voce rotta, mentre io lo prendevo in bocca.
La tua regina mi sta succhiando ... Sento la sua lingua, la sua bocca calda. È così brava, così devota.
Matteo gemette dall'altra parte della linea, la sua eccitazione che raggiungeva livelli insopportabili.
No.… no... basta...
Michele, con un'ultima risata sfrontata, chiuse la telefonata, ma non prima di lasciare un'ultima stoccata.
Preparati, Matteo,
disse, mentre io continuavo a pompare il suo pene.
La tua regina ha un culetto stupendo. E glielo prenderò... Questo è solo l'inizio.
E poi la linea cadde, lasciando Matteo a casa, in preda a un delirio di gelosia e brama, il suo corpo in fiamme.
Tornai a casa ore dopo, stanca ma profondamente soddisfatta, il profumo di Michele ancora sulla mia pelle, il suo sapore in bocca. Entrai in salotto e trovai Matteo, seduto sul divano, la gabbia di castità che gli stringeva il membro arrossato, il suo viso tirato, gli occhi ardenti di desiderio. Era carico, lo sapevo. Ma anche se ero esausta, il mio dovere di Padrona non era ancora finito. Mi avvicinai, gli sorrisi, un sorriso che era un misto di indulgenza e una nuova, quasi crudele, sensualità.
Ciao, mio schiavo,
sussurrai, le mie dita che gli accarezzavano il viso.
Sei stato bravo. La tua padrona è soddisfatta.
Matteo mi guardava con gli occhi spalancati, il suo corpo che tremava.
Giada... dimmi tutto. Dimmi ogni cosa. Voglio sapere. Voglio godere con te.
Gli tolsi la gabbia di castità, liberando il suo membro che balzò fuori, teso e dolorante. Lo presi in mano, le mie dita che lo accarezzavano lentamente, mentre mi accomodavo accanto a lui. E iniziai a raccontare, con dettagli espliciti, ogni singolo momento del mio pomeriggio con Michele: il suo tocco, i suoi baci, la sua foga, il modo in cui mi aveva riempito, le parole che ci eravamo scambiati. Ogni mia frase era una spinta, una carezza, un tocco sul suo pene che continuava a crescere e a pulsare sotto la mia mano. Matteo gemeva, ansimando, il suo corpo che si contraeva in spasmi di piacere man mano che la mia narrazione si faceva più vivida, più audace. Alla fine, mentre descrivevo l'orgasmo di Michele dentro di me, il suo corpo si contorse e venne nella mia mano, un getto potente e liberatorio, il culmine del suo tormento e della sua eccitazione. Ero io, la sua Padrona, a dargli il piacere, a controllarlo, anche quando l'oggetto del desiderio era un altro. Pulii via il suo seme con un fazzoletto, con un gesto di profonda familiarità e possesso.
Questo è solo l'inizio, mio schiavo,
gli sussurrai all'orecchio, mentre Matteo riprendeva fiato.
La tua padrona ha molti altri desideri da esplorare. E tu sarai sempre lì, a facilitarli, a goderne.
Matteo annuì, il suo sguardo pieno di devozione, accettando il suo destino.