Pausa Pranzo.
by MarmottaViewed: 557 times Comments 2 Date: 14-03-2025 Language:

Quand'ero alle superiori, nella seconda metà degli anni Zero, frequentavo un istituto tecnico caratterizzato da un orario particolarmente lungo, le giornate finivano sempre nel tardo pomeriggio, alle diciotto. Il mattino era dedicato alle normali attività scolastiche ed il pomeriggio ai laboratori professionalizzanti; avevamo due lunghe pause, una alle undici di quaranta minuti e un'altra alle quattordici e trenta, di un'ora, che fungeva anche da pausa pranzo.
L'ambiente della scuola finiva per essere qualcosa di simile a un collegio o una seconda casa più che a un istituto superiore.
I rapporti con i compagni divenivano a loro volta particolarmente assidui per inevitabilità.
La bizzarrìa del mio temperamento e dei miei interessi, l'avere un abbigliamento legato alle controculture giovanili, mi portarono ad essere inviso ai più, a stare da solo durante queste pause, non che facessi qualcosa per evitare l'esclusione, ero lieto di autoalienarmi.
Se avanzava tempo dopo aver mangiato sostavo in un angolo del parcheggio della scuola a chiacchierare al telefono e fumare.
Durante il terzo anno, nei miei sedic'anni, conobbi due ragazzi di altre classi, un ragazzo e una ragazza, una coppia di fidanzati con cui presi l'abitudine di trascorrere le pause; erano persone interessanti, non noiose per i miei canoni, condividevano alcuni interessi che allora nutrivo anch'io, il principale era quello della musica.
Lei era molto carina, di una bellezza non convenzionale, lui poteva piacere, io non lo trovavo attraente anche se lei sembrava esserne stregata.
A volte sembravano sinceramente portati da un affetto che trascendesse le moine dell'età.
Il tempo passato insieme durante le pause era in chiacchiere e scherzi, scambi d'opinione sulla cultura pop dell'epoca.
Progressivamente il clima tra noi virò sempre più verso un gioco allusivo in cui loro si mostravano a me in contesti velatamente erotici, si baciavano con una dedizione spropositata, si toccavano con audacia; lui le cingeva le spalle, abbracciandola da dietro mentre eravamo seduti tutti e tre su una panchina.
Vigevano delle regole taciute tra noi. All'epoca i costumi erano molto diversi rispetto ad oggi, nel duemilasei i ragazzi avevano norme comportamentali più rigide in termini di trattazione del sesso, sulla perversione.
Sembravano godere del fatto io fossi lì, in qualche modo, pur non lasciandomi intendere di essere invitato a partecipare al ménage; godevano della mia esclusione e della mia presenza in egual modo, forse intuendo mi piacesse l'apparente irraggiungibilità che manteneva per me l'atto d'amore.
Questo relazione paradossale assunse delle tinte sadomasochistiche nella forma di piccoli dispetti, degli scherni più o meno bonari che mi indirizzavano. Situazioni che studiavano con curiosità, osservando come potessi reagire a questo o quello.
Mi prestavo al gioco, un po' perchè mi divertiva, mi eccitava, un po' perchè mi annoiavo terribilmente.
Un giorno andammo al bar dell'istituto invece di mangiare su una panchina come eravamo soliti fare, il lui era rimasto indietro per non so quale motivo, ci raggiunse una decina di minuti dopo; io e lei prendemmo posto a un tavolo, il bar era gremito ma riuscimmo a trovare due posti a sedere.
Quando arrivò lui con un contegno misto di scherzo e sopraffazione mi costrinse ad alzarmi per prendere il mio posto.
Per il resto della permanenza nel bar restai lì in piedi, era particolarmente imbarazzante per me eppure ero così eccitato dalla situazione.
Accadevano spesso queste piccole cose tra noi.