Il risveglio
by GalaPigmaVisto: 15 volte Commenti 1 Date: 02-03-2025 Lingua:

Mi sveglio con un respiro trattenuto, il corpo rigido. Come ogni giorno da trenta mattine l’erezione lotta contro l’acciaio freddo del mio dispositivo di controllo. Accanto a me Elena dorme ancora, la schiena nuda è illuminata dalla luce che filtra dalle tende. È sempre così: lei serena, io in guerra con me stesso.
Un mese fa, nel tribunale, ho creduto che per me fosse finita. Il mio avvocato di ufficio mi aveva fatto capire che se fossimo arrivati al giudizio non avrei avuto nessuna speranza di essere assolto. E io sapevo benissimo quale era la condanna per chi viene riconosciuto colpevole. L’avvocato mi aveva detto che l’unica speranza era patteggiare. Il giudice mi concesse 48 ore per trovarmi una protettrice, una donna Alfa disposta a mettermi sotto il suo controllo. Nella disposizione della giudice c’era però anche un’altra prescrizione. La protettrice si doveva impegnare a farmi pagare la mia colpa. Mi fecero uscire dalla prigione con un braccialetto che serviva a geolocalizzarmi nel caso avessi tentato di scappare. L’unica donna Alfa che conoscevo era Elena, una donna con cui prima della rivoluzione avevo avuto una storia ma che avevo ripetutamente tradito. Quando bussai alla sua porta e me la ritrovai davanti mi sembrò molto più bella e affascinante di come la ricordavo. Le fu immediatamente chiaro perché ero lì, io cercavo di nascondere la mia disperazione ma era uno sforzo inutile. Mi disse “Marco, io non ti perdonerò mai, sarai mio e questa volta non scapperai.”
Lei si gira ora, gli occhi verdi che mi fissano come se leggessero ogni mio pensiero. “Buongiorno,” la voce ancora velata dal sonno “pronto per i tuoi compiti?”
Annuisco, stringendo le lenzuola. I compiti sono qualunque cosa lei ha voglia di farmi fare. Io devo essere perfetto. Devo farle vedere che posso essere diverso.
Ma Elena non mi rende facile nulla.
Si alza, lasciando cadere il perizoma ai piedi del letto. “Vieni,” ordina, indicando la doccia.
La seguo a denti stretti, gli occhi fissi sul pavimento. So cosa succederà. È lo stesso rituale da settimane: io in piedi, tremante, mentre lei si fa insaponare tutto il corpo dalle mie mani. Il sapone scivola sulla sua pelle, dalla nuca alle caviglie, mentre lei sorride compiaciuta. “Attento,” sibila, quando le le lavo il sedere, il seno, l’interno coscia. “Non vorrei che ti distraessi.”
Il dispositivo sembra incandescente, il dolore si mescola a una vergogna che non oso nominare.
Dopo la doccia, mentre asciugo ogni centimetro del suo corpo con un telo di lino, lei estrae un reggiseno e delle mutandine di pizzo nero dal cassetto e le indossa con calcolata lentezza. A terra, vicino al letto, noto le calze velate che indossava ieri. Li ha lasciati cadere apposta, lo so. “Mettile,” dice, indicando i collant con un calcio del piede. “Ti piaceva così tanto quando eravamo insieme… ricordi? ti eccitava la biancheria sexy e soprattutto le calze. Ricordi? quando avevi voglia di scopare con me me mi chiedevi sempre di indossarle. Chissà se lo chiedevi anche a tutte le altre”. Ricordo benissimo.
La guardo, cercando di non tradire l’imbarazzo. Lo sguardo che mi lancia è sufficiente a farmi capire che non ci sono i di trattativa: obbedisco. Le calze sono lisce, velate, tanto sono sensuali quando coprono le gambe di Elena quanto sono ridicole su di me; so che è parte della punizione. Penso che Elena potrebbe essere molto più severa e che non mi posso lamentare. Il nylon delle calze mi aderisce alle gambe, portano ancora il suo odore, una sensazione che non so definire: è umiliante ma anche piacevole, è un ricordo distorto di quando amavo vederle indossare quelle stesse cose. Ora tocca a me, la mia pelle brucia mentre il cazzo preme nuovamente contro la gabbia. Dolore, frustrazione, eccitazione.
“Ti ricordi,” dice all’improvviso, accarezzandomi il viso “quando eri tu a comandare? Quando lavoravi in quel prestigioso studio legale prima della rivoluzione? Quando mi trattavi come se fossi una cosa tua? una cosa di cui potevi disporre a tuo piacimento’?”
Non rispondo. Non devo. Un lampo di soddisfazione appare nei suoi occhi. Sa che ogni parola è un colpo. Sa che ripenso a quel tempo: io in giacca e cravatta, potente, sprezzante. Ora sono qui, con addosso le sue calze a sperare in una sua concessione, a contare i minuti che mancano alla sera quando, forse, mi permetterà di massaggiarle i piedi.
“Vattene,” dice infine, con un sorriso che non è clemenza, ma noia. “Visto che oggi non hai nulla da fare puoi lucidare i pavimenti.”
Mentre passo il panno sul parquet e sui marmi dell’enorme casa di Elena il metallo della gabbia mi ricorda chi sono. Non più Marco il potente avvocato a cui si aprivano tutte le porte, ma Marco il protetto, il sottomesso, l’ex. Eppure, a volte, quando Elena mi lancia uno sguardo che mi sembra quasi di affetto provo una gioia diversa e più intensa di quella mai provata prima
Mi chiedo se lei, al di là del suo potere, ogni tanto mi desidera.
So che è però un pensiero pericoloso. Meglio concentrarsi sul mio compiti.
Voglio essere perfetto. Essere degno. Non la voglio deludere
Forse un giorno sarà meno severa, forse smetterà di punirmi.
O forse, come il dispositivo, questo è solo l’inizio.
Non so cosa sperare.