Velata e la setta - prima parte
by XXX_DirectorVisto: 561 volte Commenti 6 Date: 21-02-2024 Lingua:
Avevamo organizzato tutto nel minimo dettaglio per quel sabato sera, io e il tuo Padrone.
Non mi avevi mai veduto, ma sapevi di me. Sapevi di quanto rispettavo e ammiravo il tuo Padrone; sapevi anche che la sinergia che si era creata tra me e lui aveva amplificato all’inverosimile la nostra perversione.
E soprattutto sapevi che l’oggetto di quella perversione saresti stata sempre e solo tu.
Ne avevamo ampiamente discusso io e lui e il suo amore nei tuoi riguardi e la mia particolare etica ci avevano fatto convenire su una idea comune: la tua integrità fisica e sociale sarebbero state una certezza imprescindibile; tutto il resto è terreno da esplorare senza limiti.
Ti abbiamo adeguatamente informata di questa nostra decisione, perché è giusto che tu conosca e accetti con impegno il tuo percorso.
Avevamo organizzato tutto nel dettaglio e quella sera quando sei arrivata, guidata da un indirizzo via messaggio, avevi molti timori. Era la prima volta che venivi convocata da questa nuova intesa e se conoscere così profondamente il tuo Padrone un po’ ti rassicurava, la mia presenza e soprattutto il mio apporto organizzativo erano motivo di grande preoccupazione.
Il parcheggio indicato si apriva dietro una grande fabbrica in zona industriale, poco illuminato da un unico lampione, deserto. Arrivando riconosci l’auto che tante volte ti ha portata in giro la notte e il tuo Padrone, fuori, in piedi davanti al portellone. Io sono seduto sul sedile del passeggero, hai visto la mia sagoma.
Lui apre il portellone del bagagliaio. Spegni la tua auto e scendi salutandolo con un bacio affettuoso che ricambia e con tono paterno “Questa notte sarà dura. Non potrai usare la safeword. Solo noi potremo fermare le cose a nostro giudizio. So che saprai rendermi fiero di te”.
Poi la sua voce ordina “Spogliati completamente”. Sei avvezza ai suoi comandi e ti spogli senza esitare. Togli la camicetta e il reggiseno. Le tue tette sono così perfette. I tuoi capezzoli turgidi e la tua pelle un po’ appiccicosa per l’afa della sera. Togli le scarpe e rimani a piedi nudi. Sfili la gonna. E togli gli slip. Le forme del tuo culo, che nascondono il suo pertugio preferito, e la piccola pesca rasata lo fanno eccitare. Vorrebbe farti inginocchiare sull’asfalto, chiamare il suo complice e usare la tua bocca in quel parcheggio. Ma resiste. La notte è lunga.
“Girati, metti le mani dietro la schiena”.
Ti lega i polsi stretti con un nastro di gomma. Poi ti mette in testa un cappuccio di pelle nera e lo fa scivolare sulla tua faccia. Ha tre buchi davanti, per la bocca e gli occhi; e sul retro un'apertura da cui fa uscire i capelli e due cinghie che stringono forte per far aderire perfettamente il cappuccio al tuo viso.
“Entra nel bagagliaio”
Ti fa salire e stendere sul fianco, con la schiena verso il portellone. Hai le gambe rannicchiate sul petto per riuscire a stare stesa nel baule.
“Adesso ti devi rilassare più che puoi”
Prende dalla tasca un tubo di lubrificante con un lungo beccuccio. Ti divarica i glutei con una mano e spreme un po’ di lubrificante sul tuo pertugio. Lo spalma bene. Poi inserisce il beccuccio e spreme mezzo tubo dentro al tuo culo. Senti il gel freddo entrarti dentro.
“Piccola adesso stai rilassata. Farà un po’ male, ma ti abituerai in pochi minuti… e credimi che sarà molto utile per dopo”.
Inserisce due dita nel culo. Lo lavora un po’ come ha già fatto altre volte. Dentro e fuori e in circolo, allargandolo piano piano. Poi prende un plug. E’ molto sottile in punta, ma poi si allarga rapidamente fino al punto più largo e quindi si restringe di colpo per incastrarsi bene nello sfintere e mantenere una dilatazione importante quando è in sede.
Te lo punta sull’ano e inizia a spingere lentamente ma progressivamente. Il buco inizia a dilatarsi e ad accettare il plug. Non si ferma. Spinge con forza. I tuoi muscoli sono allenati e spesso sei stata abusata analmente, ma quel ordigno si dimostra enorme.
“Padrone mi fa malissimo… ahi….” Ti lamenti.
“Ssssh…. Stai zitta che siamo in un parcheggio… stringi i denti… tra pochi minuti passerà tutto… te lo garantisco…” E con un colpo secco te lo sbatte tutto dentro fino a farlo bloccare nello sfintere.
Lacrime solcano le tue guance e il dolore è pungente, quasi ti avesse infilato una lama nel retto.
Ti accarezza il culo. E piano piano il dolore svanisce. Rimane una sensazione di ingombro mai provata prima e il tuo sfintere pulsa per adattarsi a quel diametro.
“Meglio adesso? Possiamo partire?”
“Si mio Signore”
“Bene. Vedrai che mi ringrazierai”.
Chiude il portellone, sale, avvia l’auto e rivolto a me “Mi spiace di averle fatto male” Io sospiro “Immagino, ma vedrai che dopo capirà che è stato un gesto d’amore, partiamo che siamo in ritardo”.
Le nostre voci ti arrivano confuse dal suono del diesel, ma capisci di aver già sentito la mia voce. L’uomo seduto di fianco al tuo Padrone, il suo nuovo complice, una delle menti dietro ai tuoi futuri supplizi è qualcuno che già conosci. Ma non riesci a dargli un volto.
Guida per circa tre quarti d’ora.
Non riesci ad avere una precisa cognizione del tempo e della strada nel bagagliaio.
Ogni tanto qualche sobbalzo della strada di fa sbattere contro qualcosa, e quando ti irrigidisci per le curve, ti si stringe lo sfintere e il grosso coso che hai dentro si fa sentire di più.
Però ormai ti sei abituata e più passa il tempo più senti che il tuo culo si sta adattando a quella dilatazione. Quando non sei sballottata dalla macchina, è quasi una sensazione piacevole sentirsi così piena.
La macchina si ferma. Si spegne. E senti le portiere che si aprono e si chiudono.
Poco dopo il cigolio del portellone.
“Ecco. Siamo arrivati. Puoi scendere”
Ti aiutiamo a scendere. Sei un po’ indolenzita per la posizione. E quando ti siedi sul bordo del bagagliaio senti il plug che spinge dentro. Esci e ti alzi in piedi.
Subito io ti metto un mantello nero e realizzando che non sono il Padrone sforzi lo sguardo abituato al buio per vedermi in faccia. Vedi solo una maschera veneziana bianca. Ti giri e anche lui ha il volto coperto dalla stessa maschera.
Ti guardi intorno. La notte è buia. Senza luna e senza stelle. Ma capisci che sei in un piccolo viale e vedi a poche decine di metri una grande cascina illuminata con luci fioche. Il silenzio della notte è interrotto solo da un abbaio in lontananza e dal canto di uccelli della notte.
“Andiamo”. Ti aiutiamo a camminare, con le braccia legate dietro alla schiena, il plug e i piedi nudi rischieresti di cadere.
Percorriamo il vialetto fino alla porta di ingresso.
La casa è ben tenuta, ma comunque traspare l’età del fabbricato. La porta di ingresso è massiccia e illuminata da un piccolo lampione.
“Da questo momento in poi devi stare zitta. Nessun lamento. Nessuna incertezza. Nessuna resistenza. Qualsiasi cosa avvenga è per mio volere e tu sei mia proprietà. Noi saremo sempre presenti e controlleremo ogni cosa. Non hai diritto alla safeword. Parlerai solo e unicamente se interrogata. Sono stato chiaro? Se hai qualcosa da dire dilla adesso o mai più!”.
Lo guardi attraverso il cappuccio. Annuisci in silenzio.
Ti bacia. Mi fa un cenno e busso alla porta.
Si sente il rumore di un chiavistello e poi la porta si apre lentamente.
Compare un uomo massiccio, alto e grasso, coperto da un lungo mantello nero. Non porta la maschera. Ha la barba bianca e i capelli bianchi e lunghi tenuti insieme in un codino. Avrà circa 70 anni. Il viso paffuto e segnato, le sopracciglie folte.
Ci stringe la mano in modo amichevole.
“Bene arrivati. E grazie di aver portato la schiava. Avete fatto un’ottima scelta, vedrete che avrà modo di dimostrare il suo valore”. Ha una voce baritonale e roca. Mette i brividi.
Poi si rivolge verso di te, allunga la mano nodosa e ti stringe le guance così forte da farti emettere un lamento. Ma sai che non devi fiatare. Mai. Ti guarda negli occhi. Abbassi lo sguardo. Lui tira su col naso, raspa la gola e ti sputa in faccia. La saliva ti colpisce un occhio e poi cola dietro al cappuccio sul tuo viso fino alla bocca.
“Andiamo. Ci stanno aspettando” Si gira e lo seguiamo lungo un corridoio.
L’uomo ci fa strada. Alla fine del corridoio la luce di una porta aperta sulla destra illumina meglio il percorso. L’uomo entra e poco dopo facciamo altrettanto.
La stanza è circolare, le pareti sono completamente nere, così come il pavimento di pietra. E’ illuminata da centinaia di candele accese su cinque grandi candelabri nel perimetro.
A circa un metro dalle pareti c’è una specie di divano circolare, al centro della stanza, un pezzo unico che si interrompe solo in un punto, formando una apertura in direzione dell’unica altra porta della stanza, dalla parte opposta da dove siamo entrati. Quella porta è chiusa.
Al centro del divano circolare c’è una piattaforma, anch’essa circolare e alta circa mezzo metro.
“Bene. Direi che possiamo cominciare. Inutile perdere tempo, la nottata è lunga”
Interrompe il silenzio il nostro ospite. Ti prende per un braccio e con fare brusco ti tira verso di sé. Guardi impaurita il tuo Signore. Vorresti chiedere cosa succede. Lui porta il dito alla bocca in segno di stare zitta.
Il Vecchio ti indica la pedana nel centro della stanza e ti spinge “sali li sopra, in centro e stai ferma immobile”. Indugi un attimo, ma senti una spinta. Sali sopra alla pedana e ti fermi nel mezzo. Ci guardi. E guardi quell’uomo.
Ci allontaniamo e prendiamo posto su due poltrone vicino alla porta da cui siamo entrati.
L’uomo si avvicina a te. Sale sulla pedana alle tue spalle. Ti toglie il mantello. Armeggia sui tuoi polsi e ti scioglie le mani. Ti fanno male.
“Braccia lungo il corpo e allarga le gambe” Ordina perentorio l’uomo. Tu esegui e subito lo senti armeggiare con una mano in mezzo al tuo culo. Lo senti che afferra i bordi del plug che hai dentro. “Bene, sento che è bello grosso” dice, e subito con uno strattone te lo strappa via dal culo. Soffochi un urlo di dolore!
L’uomo getta il plug per terra e subito infila tre dita nel buco del culo, prima che abbia tempo di chiudersi. Le spinge dentro fino in fondo con forza e senti la pelle ruvida delle sue dita. Le gira dentro di te due tre volte. ”Beh… direi che il plug ha fatto il suo lavoro. Hai lo sfintere bello morbido. Si vede che il tuo Padrone ti ama molto… stasera ti aiuterà essere ben aperta.” E scoppia una risata volgare mentre ti scopa il culo con le dita così forte che quasi cadi in avanti.
Scende dalla pedana. Si siede sul divano circolare a circa un metro e mezzo da te. Ti guarda.
“Il tuo Padrone ha deciso di portarti qui. La cosa che mi interessa è chiarire poche cose con te. Da quando sei entrata nella mia casa l’unico modo che hai per uscire è aspettare l’alba. Qui dentro comando io e io soltanto. Qui sono il Sacerdote e tutto avviene secondo la mia volontà. Il tuo Padrone e il suo complice mi hanno dato carta bianca. Solo loro hanno facoltà di fermare questa cerimonia e rimarranno sempre presenti per vigilare su di te. Ma per quanto mi riguarda stanotte sei un pezzo di carne.”
Ci cerchi con lo sguardo, siamo seduti nell’ombra e non riesci a vedere che due sagome. Sai che ci siamo. Guardi il Sacerdote e annuisci.
L’uomo toglie dal mantello un campanello e lo fa suonare.
Sei in piedi nel centro della pedana. Nuda. Il tuo sfintere, appena affrancato dal grosso plug e violato dalle dita ruvide di quel vecchio brucia e avverti che è ancora aperto perchè del lubrificante sta colando sulle tue cosce.
La luce dei candelabri proietta verso il divano e lascia ombre che nascondono le pareti della stanza. Riesci a vedere il divano circolare tutto intorno; e vedi la figura enorme del vecchio Sacerdote in piedi davanti a te, ricoperto dal mantello nero. Noi siamo nell’ombra.
Un rumore metallico attira la tua attenzione. Vedi la seconda porta spalancarsi lentamente. Alte ombre scure mantate entrano nella stanza. In fila, una dietro l’altra. Fai un po’ di fatica a intravedere i volti, ma appena la luce delle candele si posa su quelle teste fai un sobbalzo. Sgrani gli occhi incredula e impaurita. Quei lunghi mantelli sono sormontati da terrificanti maschere dalla foggia di maiale; musi allungati e deformati in un ghigno terrificante, zanne arcuate verso l’alto e una folta peluria che incornicia occhi imperlustrabili. Neri come i mantelli.
Inizi a tremare. Anche se nella stanza fa un caldo infernale. Vorresti non farlo, ma il tuo corpo non risponde. La fila di maiali entra in silenzio. Uno dietro l’altro. Mantelli tutti uguali. Lunghi fino al pavimento. Chiusi e neri.
Entrano nel cerchio descritto dal divano, sfilano davanti a te, senza degnarti di uno sguardo. Con la mente cerchi di contarli. Uno, due, tre, quattro… sette… nove… dodici. Dodici esseri con la terrificante testa di suino sono in piedi attorno a te, a pochi centimetri dalla piattaforma su cui sei immobile, sei alla destra e sei alla sinistra del vecchio Sacerdote. Tremi. Ci siamo. Ma non ci vedi. La porta da cui sono entrati si chiude.
Il Sacerdote, l’unico senza maschera, prende la parola. “Signori benvenuti. Come di consueto il nostro circolo si riunisce per compiere il dovere nel nome di Slaanesh, sommo dio dei piaceri terreni e della perversione. Questa sera abbiamo una splendida schiava. E’ stata scelta dal suo Padrone per raggiungere la perfezione. Oggi è qui in mezzo a noi perché il suo Padrone ci ha chiesto di metterla alla prova in modo esemplare… Come sappiamo fare… e scoppia in una risata sguaiata che rimbomba nella sala e scatena dodici altre risate grottesche che si uniscono in un terrificante baccano.
“Come potete vedere questa volta abbiamo a che fare con una fanciulla bellissima; ha già percorso la via della schiavitù… ma è giunto il momento che si renda conto di cosa significa essere davvero un pezzo di carne… e so che questa sera sapremo darle ciò che merita… affondiamo le nostre zanne nella sua giovane pelle… sapremo piegare la sua mente per renderla ancora più mansueta e obbediente”.
“Signori! Le regole sono sempre le stesse… ma è bene ripetere. Questa notte non ci sono limiti. La preda è nostra. E’ nostro dovere usare il suo corpo in ogni modo. Nessun risparmio. Nessuna remora. Ma, come prevede il nostro credo, domattina dobbiamo riconsegnarla integra nelle mani del suo legittimo Padrone. Usata, abusata, sporcata… ma senza averle torto un capello! Adesso potete sedere”.
Il Sacerdote si siede. E con lui tutte le maschere si siedono sul divano circolare.
Di fronte a te è seduto il vecchio senza maschera. Ti guarda dal basso in alto. E per guardarlo negli occhi dalla pedana hai la testa abbassata come in un inchino.
I suoi occhi fissano i tuoi, ti scruta dentro con un sorriso beffardo stampato in faccia.
“Bene, diamo inizio alla notte. Mettiti a quattro zampe, come si addice alla cagna che sei!” ordina. Indugi. Scatta in piedi il Vecchio “Ti conviene obbedire immediatamente cagna!” dice con una sadica freddezza “Ti conviene!
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Non ti resta che piegarti in ginocchio sopra alla piattaforma, le mani per terra… quattro zampe… come ti ha ordinato… nuda davanti a tutti.
Dall’ombra spunta un ometto basso e panciuto che senza fiatare e con fare furtivo, quasi a non voler disturbare o non essere visto, si avvicina alla piattaforma; ha con sé una grossa scatola di legno, la apre e ne estrae due barre di ferro che fa scorrere rapidamente sopra la piattaforma e sotto di te, una vicino alle tue mani e una vicino alle gambe, da un lato all’altro del cerchio; prende poi quattro cinghie di cuoio e con una incredibile rapidità le gira attorno ai tuoi polsi e alle ginocchia, e le fissa con dei moschettoni alle due barre di ferro. Chiude la scatola, la appoggia sulla piattaforma e con il ginocchio la spinge a fatica tra le tue braccia e le cosce, sotto il tuo ventre. Alla fine stringe con decisione le fibbie delle cinghie, e ti da un violento spintone, confermando che ora è impossibile muoversi da quella posizione.
Il piccolo sgorbio si mette sull’attenti davanti al Sacerdote “Signore la scrofa è pronta”. E senza attendere risposta sparisce nell’ombra da cui era venuto.
Il Sacerdote armeggia sotto al mantello e con un rumore metallico la piattaforma inizia a girare, molto lentamente, gira e la luce delle candele illumina le tue forme, un chiaroscuro che mette in evidenza la tua schiena, i tuoi glutei, le tue bellissime gambe affusolate, le spalle e i tuoi seni in penombra.
Inizialmente tieni la testa alzata per guardare quelle maschere terrificanti che ti scorrono davanti, per scorgere umanità negli occhi di chi le porta, inutilmente. La piattaforma gira lentamente ma vedi solo sadico desiderio che si ripete quasi fossero mille quei maiali e, per proteggerti, abbassi la testa tra le spalle, in attesa. I mantellati borbottano tra di loro parole incomprensibili.
All’improvviso un sibilo e subito un dolore fortissimo alla schiena. Una lama affilata? Ancora un sibilo. Vivo dolore sulla coscia. Ancora uno sul culo. E ancora. Ancora. Ancora. I dodici hanno estratto ognuno una frusta dal mantello e ti stanno frustando a loro piacere. Stanno seduti sul divano e aspettano che gli venga offerta la parte del tuo corpo che voglio colpire e sferrano il colpo con forza. La frusta sembra arrivare da ovunque. E colpisce ogni centimetro del tuo corpo. Ancora. Ancora. Ancora. La piattaforma gira e i fendenti arrivano sempre più frequenti. Il dolore è insopportabile, cerchi di percepire l’arrivo del colpo per schivarlo ma è inutile… arrivano dall’ombra e legata come sei sarebbe comunque impossibile sottratti… gomiti e ginocchia cedono e ti abbandoni inerme a quel dolore, sorretta dalla grossa scatola incastrata sotto di te.
Sono minuti interminabili. Ogni centimetro della tua pelle brucia. E ogni contrazione dei tuoi muscoli amplifica il dolore sulla pelle. Hai lasciato ogni velleità di resistenza. Hai imparato bene dal tuo Padrone… opporsi serve solo a prolungare l’agonia. La tua mente sa staccare la spina, sa lasciare il corpo per guardarlo da una posizione protetta. Ma oggi è molto difficile. É difficile perché mai ti era stata chiesta una prova così difficile. Perché non riesci ad immaginare fino a dove possa arrivare la perversa sinergia nata dall’unione delle menti del Padrone e del suo nuovo complice. Perché, anche se il Padrone c’è, non lo vedi, e il suo sguardo ha il potere di darti forza.
“Basta così” sbraita il Sacerdote. L’ultimo colpo di frusta colpisce il tuo culo tra le natiche. Non reagisci. Non riprendi il tono e rimani sfiancata sopra a quel cubo di legno. Non trovi la forza. E poi tirarsi su per cosa? Per constatare quanto poco movimento ti sia concesso? In quella forzata posizione non potresti opporti a nulla. Sei a quattro zampe sopra ad una piattaforma che gira per esporti allo scherno di tredici animali, legata e inerme sopra ad una scatola di legno che ti sta segnando il ventre e i seni. La pelle in fiamme. Che senso avrebbe lottare?
“Bene Fratelli. La frusta piega le membra e le volontà più ferree. Guardatela è già stremata. Vedrete come sarà docile per tutta la notte.”
“Questa notte sarà dura…” la tua mente cerca conforto nelle parole del Padrone “So che saprai rendermi fiero di te.” Il dolore della frusta sta diventando sordo e capisci che lasciando il tuo corpo totalmente rilassato la pelle trova sollievo. Un pensiero si fa spazio e ti da conforto… e quel pensiero da un fiato alla tua voce… alzi la testa e guardi verso l’ombra, oltre le facce dei suini, e articoli “Padrone non ti deluderò mai!”, sperando che lui possa leggere le tue labbra. La testa ricade e la voce dentro di te risuona decisa e adesso fate quello che volete con questo pezzo di carne!
Il Sacerdote si alza in piedi. E così fanno i dodici maiali. Il suo mantello cade a terra e subito dopo anche le toghe dei dodici. Sei circondata da un muro di corpi nudi. Con la testa abbassata tra le spalle vedi i loro piedi e le gambe. Esausta alzi la testa per cogliere le loro intenzioni e il lento girare della piattaforma somministra alla tua vista uno spettacolo raccapricciante.
Corpi deformati dall'età, ventri gonfi, peluria animale, cicatrici chirurgiche, vene varicose, callosità. Ma soprattutto la fiera dei sessi. Scroti enormi e sudati, cazzi di tutte le fogge, alcuni minuscoli e mosci, altri nodosi, altri lunghi come un avambraccio e altri ancora grossi come bottiglie di vino. Alcuni hanno il cazzo già eretto. Alcuni barzotto con chiari segni di aver già sborrato per il piacere di frustarti.
Il Sacerdote parla
Signori la cagna è nostra. Prendetela e usatela senza risparmierle nulla!
Continua...