HISTOIRE TITRE: la nifa e il satiro 
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la nifa e il satiro


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la nifa e il satiro

by arcornuto
Vu: 116 fois Commentaires 4 Date: 18-08-2023 Langue : Language

il caldo di quella torrida giornata invogliava ancor più ad una ritemprante immersione nelle limpidissime acque di quel torrente che incrociava il sentiero della fitta boscaglia entro la quale ci eravamo addentrati, proprio alla ricerca di un maggior refrigerio.
il totale silenzio all’intorno, rotto solo dal gorgoglio dell’acqua che, infrangendosi spumeggiante tra le rocciose pietre, rendeva ancor più desiderabile per G. la stimolazione di lasciarsi accarezzare l’intera epidermide da quell’impetuoso turbinio.
senza oltre indugiare, togliendo dalla enorme borsa un accappatoio, e distendendolo sopra ad una grande pietra a bordo del torrente vi si adagiò sopra nella più totale nudità, quasi fosse una lucertola che si crogiola ai raggi del sole, del tutto incurante che potessero sopraggiungere altre anonime presenze.
quando la calura andava facendosi molto intensa ecco che il contatto con le gelide acque del torrente provvedevano a mitigarne l’arroventata temperatura corporea, creando un violento contrasto che le imperlava il corpo di gocciolante rugiada, oltre a procurale frementi reazioni, rese vistosamente più evidenti dalla turgidità dei capezzoli.
come una ninfa emergente dalle acque, ogni volta che dirigeva verso quel rumoreggiante fluttuare del torrente, G. non poteva passare inosservata neppure ad un individuo che, a propria volta, aggredito dalla calura, aveva improvvisamente fatto capolino da oltre la folta vegetazione, ed il cui aspetto, in quel particolare contesto, poteva essere abbinato a quello di un vecchio satiro, libidinosamente attratto da una così gratificante visione.
G. , per nulla preoccupata da quella sopraggiunta presenza, coprendosi parzialmente con l’accappatoio, tornò a distendersi su di esso, per nulla infastidita da quell’estraneo che non disdegnava certo l’opportunità per osservarla in una esposizione così integrale.
dal canto mio tentavo di comprendere se oltre quei cespugli l’uomo fosse intento a qualche ulteriore attività di origine manuale, preso a mia volta in un vortice di morbose elucubrazioni mentali, immaginandomi di fiabesche avventure erotiche in cui numerosi altri fauni avrebbero preso parte ad un baccanale propiziatorio in cui la dea delle acque sarebbe divenuta il centro di ogni loro libidinosa attenzione.
perso in questo fantasticare, e come avvolto da un torpore la cui origine poteva trovare ragione solo in una sorta di malefico sortilegio, a permettere che gli abitanti di quel bosco incantato potessero prendere vita, e con essa il sopravvento su di noi comuni mortali, ecco che dai cespugli anche il corpulento individuo si materializzò nella sua forma più esplicita.
reggendo tra le mani un pene già bello turgido, anche se non di proporzioni estreme, lo manipolava freneticamente, interpretando la nostra immobilità in un potenziale incentivo che lo sollecitasse ad esprimere, privo di ulteriori remore, le proprie spregiudicate intenzioni.
senza alcun indugio, ed avvicinandosi ancor più a noi, prese ad esprimere il proprio eloquente consenso per la nudità che la mia compagna pareva non voler in alcun modo occultare, rivolgendosi direttamente a lei con esplicite manifestazioni, quasi che la mia presenza non costituisse per lui un possibile impedimento.
indeciso se intervenire, o verificare sino a che punto anche la mia stessa compagna fosse disponibile nell’assecondare quel particolarissimo gioco che ci stava coinvolgendo, avvolgendoci in maniera reciproca, permisi a che il vetusto individuo proseguisse in quello che ormai gli doveva essere parso come l’implicito consenso a poter soddisfare le proprie voglie.
tuttavia, appena la mano grinzosa dello sconosciuto, prese a percorrere le cosce della mia compagna, senza che lei si ritraesse a quell’ambizioso contatto epidermico, un senso di ineludibile gelosia iniziò ad erodere le mie viscere, attanagliandomele in una morsa di turbinosi conflitti emotivi.
ora poi che quella impertinente esplorazione andava facendosi sempre più invasiva, unitamente all’altra mano, che proseguendo nella solerte attività manuale si apprestava a violare audacemente anfratti invano ambiti da molti, non era più la calura del sole a bruciarmi la pelle, quanto ciò a cui nell’inerzia più assoluta stavo assistendo.
le dita presero gradualmente possesso delle intime labbra, la cui umidità ne facilitava ancor meglio la profanante esplorazione degli anfratti già destinati ad infradiciarsi ancor più quando, con insospettata abilità, il senile individuo prese a torturare la clitoride obbligando la musa ad intonare una ode di inconfutabile soddisfazione.
schizzandole repentinamente sulle cosce il proprio orgasmo la imbrattò risvegliandola dall’ipnotica disponibilità, e facendola fuggire verso il torrente in cui andò a depurarsi osservandomi divertita per la mia frastornata immobilità.
incapace di reagire, persino alla vista del vecchio porco, che con quel suo pungiglione, ancora grinzosamente penzolante, la raggiunse avvinghiandole il corpo in una morsa ad impedirle di potersi divincolare, imprigionandola saldamente e sospingendola contro ad una roccia strizzandole i seni.
le risa della mia compagna, per nulla intimorita dalle gesta del vetusto aggressore, mi perforavano i timpani, rendendomi sempre più preda dell'incantesimo come solo quello di una sirena ammaliatrice avrebbe potuto ottenere.
poi, mimando verso di me un esplicito movimento della mano, come volendo esortarmi a compierne quel rituale, schernendomi nella usurpata virilità, senza troppo opporsi alle attenzioni che le venivano ulteriormente rivolte, lasciò al vetusto individuo piena libertà di procedere nell’intendimento di sopraffarne la flebile resistenza.
come un mitologico cerbero prese mostruosamente possesso della bellissima musa, lasciando me prigioniero del tortuoso labirinto in cui ero stato relegato, complice mio malgrado di quella intricatissima unione di corpi, talmente dissimili che neppure il divenire un tutt’uno, poterono liberarmi dal sortilegio malefico di cui mi ero reso io stesso vittima.
invano tentando di trovare un filo di arianna, che potesse condurmi a trovare l’uscita del dedalo impervio in cui mi trovavo, potevo solo udire il grugnito animalesco, di un ansimante cinghiale, che andava arrogantemente soddisfacendosi entro le viscere della mia sempre più consenziente compagna, a propria volta entusiasta per aver assolto con estrema efficacia al mio desiderio insistente di essere reso finalmente un vero cornuto.

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