HISTORIA TìTULO: SANDRA VA A PRESTITO 
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SANDRA VA A PRESTITO


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SANDRA VA A PRESTITO

by MirellaMarco
Visto: 750 veces Comentarios 4 Date: 28-02-2025 Idioma: Language

“Ma non è un tema......”.

“Mi sembra che lo sia”.

“Non lo è mai stato”.

“Appunto, ma ora è diventato un tema?”.

“Nessun tema, no.....certo è che……siiiiiì”.

A parlare alternativamente siamo io e la mia compagna Sandra, in una chiacchierata svoltasi al termine di una scopata mitica come sottolineato dal suo “siiiiì” finale, e il tema che non è un tema e non si capisce da quando lo sia diventato, se lo è diventato, in realtà è un problema di aritmetica applicata.
O, meglio ancora, di metrica. A dirla con precisione millimetrica, espressione quanto mai adatta, è un tema/problema di centimetri.

I miei.

Anche se sarebbe meglio dire i nonmiei, quelli che non ho, insomma. Quelli che, invece, ho vanno bene e anzi sembrava andassero benissimo fino a quel momento, cioè alla conversazione che ho riportato sopra.
Quelli che mi mancano, però, sono diventati all’improvviso importanti. Diventando un tema, appunto.
Lei non lo ammette, ma quel suo “certo è che…” mi conferma che il tema esiste. Anzi, il problema. Un problema del cazzo a mio parere, un problema di centimetri del mio cazzo a dirla bene e a interpretare correttamente il suo pensiero. All’improvviso, io che sapevo di avere un cazzo “normo” e dalle prestazioni apprezzate, mi ritrovo ad averlo piccolo. O ad avere una compagna, giovane, bella e vogliosa, che lo ritiene tale. Il che è molto peggio.

È un tema o no? Secondo me, sì.

Mannaggia a me che avevo aperto quel discorso. A volte, ci si mette nei guai, così, per gioco e per eccesso di sicurezza. Non date, mai nulla per scontato, credete a me.
E insomma, ora il problema ce lo avevo, o meglio sapevo di averlo, poiché evidentemente lo avevo anche prima, ma non essendocelo detto io e lei, era per me inesistente.

Comunque sia, eccomi con il tema tra le mani (per misurarlo, cosa avete capito), così scottante che lo affrontai subito. Passando per tutti gli stadi tipici di questi casi.

1. La negazione: “piccolo, pfui, ma se l’ho sempre fatta urlare che anche il vicino gay se ne è accorto...?”.
2. L’autocommiserazione: “già sei più vecchio di lei e grasso, poi ce l’hai anche piccolo, la perdi, patetico coglione!!!”.
3. La negoziazione: “ma dai, piccolo poi, non grandissimo, diciamo, ma funzionale… eppoi ecco, sono grasso, il grasso lo nasconde, dimagrisco e voilà, gioco fatto”;
4. La rabbia: “troia, dì che ne vuoi un grosso come un paracarro che ti sfondi tutta, io col mio faccio godere chiunque, io, tse…”;
5. E infine la rassegnazione: “insomma dai, guardati in giro in palestra e ammettilo. Un po’ striminzito è... ma se dimagrisci qualcosa recuperi, ma di più non puoi fare…”.

Ammettere un problema o un tema è già un impegno per risolverlo, no?

E mi impegnai, almeno a provarci. Il primo passo fu compitare la nostra signora Bibbia contemporanea, il Libro dei Libri, in cerca dell’illuminazione o quanto meno del sito per essere illuminati. E Google, da bravo libro rivelatore più che rivelato, mi indicò due tipi di possibili miracoli.

Il primo sono gli esercizi del pene a “mano libera” (sì, sì, a dirla così fa ridere, ma chi propone il metodo è serissimo come un cardiologo davanti a un infartuato) o da eseguire con speciali attrezzini (macchinine evidentemente progettate per palestrine lillipuziane adatte anche a esercizi del… cazzo).

Il secondo, è la falloplastica.

Alcuni guru propongono la combinazione dei due metodi per ottenere la Crescita Definitiva, la Magnifica Crescita o la Crescita e Basta, definizioni che variano a seconda delle diverse correnti sacerdotali del culto unico del Grande Cazzo. E tutti per crescita intendono soprattutto quella dell’ego del minidotato (chiamato pietosamente fallopenico) ovvero del successo sociale dello sfigato in questione oltre che del suo score con le donne.

“Un centro a ogni botta, siori e siori e la paura passhaaaa”.
Insomma, ogni setta propone addizioni falliche dai 2 ai 6 centimetri che dovrebbero cambiarti la vita più dei 10 mila chilometri di un pellegrinaggio a piedi sul Gange in India.

Se non fosse che... se non fosse che corri il rischio di avere sì un’apprezzabile proboscide tra le gambe, ma che ti resta penzoloni e del tutto non erettile e men che meno prensile e che ti si restringe dopo qualche settimana di ostentazione in palestra per tornare mignon peggio di prima. Peggio: pare che ti possa anche diventare tutta bitorzoluta a distanza di qualche mese.

Eppoi, che fai?

Siamo pratici, mi dissi. Funzionare ha sempre funzionato, perché rischiare? Ma restava il problema. Anzi, il tema. Che ripresi con la mia compagna, mentre scopavamo, per correre meno rischi, fidando sulla prestazione assoluta a caldo e non sull’apparato scenico, che prevale a freddo. Anzi, affrontai il tema nella sua posizione preferita che glielo fa sentire tutto dentro: quella a cavalcioni su di me.
“Ti faccio godere col mio cazzo?”
“Siiiì...”.
“Dillo che ti piace”.
“Siiiiiiì, mi fai morìreeeeee”.
“Ti piacciono i cazzi grossi, vero troia?” (siamo seguaci del dirty wording o per farla semplice ci piacciono le parolacce mentre lo facciamo).

“Siiiì, ne vogliooo prendere tantiiii e groooossiii”.

“Con tanti centimetri…”.

“Tanti ne voglio. Siiiì… (una donna non è mai così tanto affermativa come quando scopa, fatele qualsiasi domanda e risponderà sempre con un “sì” dotato di almeno quattro “i”)”.

“...E quelli che non abbiamo (sarebbe “non ho” in realtà, ma il problema mica era solo mio?) possiamo farceli prestare...”.

Preso dalla foga del momento assestai quella che voleva solo essere una provocazione arrapante, ma che in realtà era una soluzione. Ma a questo neanche feci caso. E neanche lei.
Almeno, mi sembrò.
Venimmo come due forsennati, le spalmai sulla schiena lo sperma che le avevo fatto cadere sulle sue monumentali natiche da statua greca e il problema sembrava superato. “Gli manca qualche centimetro, ma vedi spruzzare spruzza come la fontana di Trevi, no?”, mi dissi. E mi tranquillizzai.

Ma...

…Ma le donne non dimenticano, pare. Tutte figlie di P… enélope sono… Anche quando il tema che pongono non è un tema.
“...Siiiì, amico Fidel ne avrebbe di centimetri da prestarti… prestarCI, scusa...”.

“…E ce li sta prestando alla grande…”.

La prima frase è della mia compagna, la seconda mia, Amico Fidel, invece stava zitto e faceva il suo lavoro di nostro dildo preferito: un totem di 23 centimetri di nervi e vene scolpite di color ebano, sormontato da una capocchia rosso inferno, battezzato così perché all’atto dell’acquisto in negozio ci immaginammo fosse la copia di qualche originale cubano, dedito al sollazzamento delle americane all’Avana. Eravamo di nuovo a letto a scopare, credo già il giorno dopo la mia brillante idea del prestito e le stavo succhiando la figa rumorosamente (le piace sentire il sonoro della mia lingua a contatto con le sue mucose: slap, slurp e così via) e con grande impegno (su quello non mi batte nessuno: che sia un’inconsapevole tecnica sostitutiva, mi chiedo ora?).
Amico Fidel, intanto la penetrava, lasciandosi guidare dalla mia mano libera (l’altra era intenta a saggiare la splendida consistenza delle mammelle di Sandra) e sopperendo bene bene alla mia penuria. E come sempre, quando la penetro dopo il nostro amichetto immaginario, la trovai aperta e profonda, con i miei centimetri che calzavano a meraviglia. In questi casi si bagna così tanto che mi ritrovo inzuppate anche le palle e l’interno cosce.
Che volevamo di più?
“Fùnziònaaaa”, gridava lei, poiché le donne in quei momenti abbondano di tutte le vocali, non solo delle i e gli accenti li mettono ad minchiam.
“Siiiì?” (questa volta ero io a pronunciare il sì, ma con un punto interrogativo, poiché gli uomini sanno essere dubbiosi, anche quando scopano).
“Samuel, ne avrebbe di centimetri da prestarci… siiìì” (e questa è lei che viene per la terza volta nella stessa domenica pomeriggio, suo tempo d’elezione per lanciare i suoi “sì” entusiasti fino a turbare la signora Brambilla vedova Cattaneo del quarto piano).

“E Samuel chi è, mo’?”.

Già, chi è? Samuel è ivoriano e non è una copia, ma l’originale del nuovo giardiniere factotum del nostro condominio. 30 anni, mese più mese meno, e un busto che sembra l’Atlante De Agostini dei muscoli umani. Ci sono tutti e tutti al loro posto, tutti lunghi e scattanti come lame. Pure troppo per le gardenie del nostro giardino condominiale, ma abbastanza per solleticare la curiosità sulla scienza anatomica dell’inquilina dell’edifico di fronte, che pare molto interessata e, guarda la combinazione, ha una sporta enorme di bucato da stendere ogni giorno. Dico il busto perché è quello che si vede normalmente. Le gambe le tiene coperte da un paio di calzoni di tela beige, ma posso immaginare che sia la seconda dispensa dell’Atlante De Agostini.

“Siiiì?”, dico, intendendo: “Pensi ne abbia?”

Faccio il sorpreso a quell’affermazione di Sandra, ma c’è poco da cincischiare: si può scommettere che Samuel abbia centimetri da prestare anche al vicino, oltre che a me.
Che dovevo fare? Nicchio, anche se mi arrapo più di quanto non sia già, a quel riferimento. Immagino il giardiniere piantare l’asta, innestare il manicotto, menare la vanga. Insomma, immagino la bionda e delicata testolina della mia compagna, che sobbalza ai colpi dei centimetri sovrabbondanti di Samuel. E vengo. O meglio spargo il mio seme.

Ho qualcosa del giardiniere anch’io, no?

Da quel momento ho incominciato a vedere Samuel dappertutto, anche nello stesso giorno. Nel cortile, in ascensore, nella farmacia all’angolo e perfino al bartabacchi dove qualche volta scappo a farmi una birra tagliacentimetri (l’alcol pare sia una cesoia per il cazzo, un rasoio lento ma precisissimo). E ogni volta che lo vedo penso a lui come mutuatario di millimetri, erogatore di volumi mancanti, portatore sano di misure lineari, compensatore di insufficienze. Lo vedo e la cosa un po’ mi diverte e un po’ mi irrita. Eppoi, chi mi dà la sicurezza che non abbia anche lui bisogno di integrazioni? La media dice che l’uomo nero eccelle in misure, ma la media è media e c’è chi ne ha di più, chi di meno. Anche io faccio media. In meno.

Va avanti così per qualche giorno, finché, dopo diverse volte che è venuto nella nostra camera da letto in forma di spirito elargicentimeti su evocazione di Sandra, non vedo Samuel sul terrazzo di casa nostra. È sabato pomeriggio e le nostre quattro margherite pare che abbiano avuto un improvviso bisogno di assistenza professionale. Secondo me bastava innaffiarle tutti i giorni, ma Samuel sta lì, piegato sulle ginocchia ad auscultare le nostre asteracee, grave e severo. Scuote la testa e dondola il culo, la cui spaccata viene fuori per metà dai calzoni di tela. La mia compagna appare raggiante sulla soglia della sala che dà sul terrazzo, dove io sorveglio il neo assunto gardner. Lei, la gran figlia di P… enélope, porta della limonata esibendo degli short che non le vedevo da due anni e una camicetta alla quale ha dimenticato di abbottonare almeno due bottoni.

“Sai, Fatty (modo affettuoso, ma impietoso per ricordarmi le mie eccedenze in grammi, che pare non si possano sommare algebricamente alle mie insufficienze in centimetri), Samuel è stato così gentile da venire a dare un’occhiata alle piante – mi dice percorrendo la stanza ed è anche disposto a prestarci i suoi...”.

A quel punto il rombo di una moto, una Harley a giudicare dallo spernacchiamento, copre la sua voce. Ma io ho sentito lo stesso, ha detto: “i suoi centimetri”. La guardo strabuzzando gli occhi. Non è possibile. Ma mi spiego i suoi short e tutto il resto.
“Vero Samuel che può lasciarci i suoi attrezzi fino a lunedì?”. Attrezzi. Ha detto attrezzi. Non centimetri. Pare. E gli dà del lei.

Fiuuu.

Fatty, che sono io, ringrazia il “gardy” che nel frattempo si è messo a sedere a gambe larghe per terra. I calzoni si tendono nell’inguine. E sono impietosi.
Samuel ha centimetri da
• affittare
• vendere
• allocare
• proporre all’asta di beneficenza della chiesa
• prestare per un giro di prova

E comunque gliene resterebbero abbasta per l’uso personale.

Almeno, almeno dico, un paio di quelli e starei a posto.
Ed è così a riposo.
Figurarsi...

Figurarselo, se lo figura Sandra, seduta sulla sdraio mentre passa lo sguardo dalla mia patta a quella del giardiniere sempre più preoccupato della salute delle margherite. Lo sguardo di lei, che passeggia lento e meticoloso da un sottoventre all’altro, vale una tesi di laurea in urologia comparata: Samuel ha quel che mi manca, senza ma e senza se, come dicono i politici che non hanno nulla da dire.

Il giardiniere dotato e ignaro di tutto, non fa a tempo a chiudersi la porta di casa nostra dietro le sue spalle da discobolo nero, portando con sé il cadavere di due margherite, che mi ritrovo la lingua di Sandra a ispezionarmi l’ugola. È infoiata nera (è il caso di dire) e mi trascina in camera per il colletto della camicia. Viene fuori una scopatona gigante con Samuel a fare da convitato di pietra.
“Siiiì, da quello dovresti farti prestare i centimetri amore mioooo (da Fatty passo ad amore quando erogo le mie modeste dotazioni) e io non avrei nuuulla da dire......”

“E che dovresti dire?” chiedo, ma non so se lo penso o lo dico.

Intanto, stantuffo regolare e a mia volta infoiato come un pazzo. La scena finale immaginata a due per il coito di coppia è il giardiniere che innaffia lei con la sua nera pompa privata in un unisono interrazziale con me che la innaffio con il mio misurato erogatore bianco. Fine dei giochi, grazie della visita Samuel.

E Samuel scompare dalla mia vita fino alla sera, quando a cena sul terrazzo chiedo alla mia compagna se gli short e i bottoni sbadati del pomeriggio erano stati per accogliere il giardiniere.
“Uhuum sì mi fa ma soprattutto per te che vedevi che l’avevo fatto per lui”.
“Ammazza quanto cerebrale sei diventata”, e le mollo un bacio prima sulle mani, poi sulla bocca.
“Dì che non ti è piaciuto…”.

Mi è piaciuto così tanto che voglio subito replicare la scopata del pomeriggio, senza darle il tempo di assaggiare la crema gelato cioccolato e caffè che ha davanti. Mi alzo, tiro fuori ogni millimetro dell’uccello già in erezione e glielo piazzo davanti, dritto come un fuso all’insegna dell’antico adagio “duro che dura di qualsiasi misura”.
Lei lo guarda, titilla il filetto prima con l’unghia dell’indice, poi con la punta della lingua, guardandomi dritto negli occhi. Nei quali, all’improvviso si accende una scintilla. Senza smettere di leccarmi la cappella afferra una manata di gelato al caffè e la spalma su tutta l’asta, dalla base, fino alla punta, solleticandomi le palle con l’altra mano. Lascio fare intontito e impaurito che il freddo possa farmelo ammosciare e quasi succede quando la mia Sandrina, si allontana per guardare l’opera ed esclama: “Che bello il cazzo mulatto”, con una voce così roca che sembra avere la tracheite e su di me ha l’effetto di un ricostituente.
Non finisce neanche di dirlo che si ingoia tutto il cazzo in un solo boccone, per poi imboccarselo e massaggiarlo su è giù con le labbra, per gustarselo tutto fino in fondo. Quando è ben pulito, mi riguarda in faccia, sorride languida e giù con un’altra passata, questa volta di gelato al cioccolato. E sembra soddisfatta del risultato anche più di prima.
“Uhuuuum, Fatty, sapessi il cazzo nero quanto è bello, poi!”. È così estasiata che lecca i miei pochi centimetri, in adorazione e tanto lentamente da farli sembrare il doppio.
Va avanti a lungo, con me che faccio ogni sforzo per trattenermi e godermi più che posso quel capolavoro che sta facendo. Si interrompe solo per dire due cose: “dimmi quando stai per arrivare” e “dimmi che sono troia”.
E che faccio, non l’accontento?
“Troia, succhia il cazzo nero, mangiatelo per bene e beviti la panna che sta per uscire”.
Due o tre ingoiate ancora e la mia panna esce per davvero, finendo praticamente tutta nel piattino del gelato ormai semi sciolto che lei mette sotto per raccoglierla tutta. Quando ho finto, alza il piattino e si lascia colare gelato e sborra sulla lingua, sulle tette, sulle dita che lecca meticolosamente per non buttare via neanche una goccia.
“Sono stata brava con il cazzo nero?”, mi chiede con vocina da gatta, mentre mi accascio esausto sulla sedia.
E che le dico? Io posso mentire, il mio cazzo no. Centimetri contenuti o meno, ha dato il meglio di sé nel pomeriggio e anche ora, e la comparsa del giardiniere, diventato fantasia più reale di quanto lo fosse stata fino a quel momento, ha avuto la sua parte. Ragazzi, voi potete mentire, ma il vostro cazzo dice sempre la verità.

In ogni caso, Samuel e i suoi centimetri si ecclissano, almeno per me, fino al pomeriggio della domenica. Quando il giardiniere bussa alla porta recando margherite in piena salute. Lo accolgo in casa e si dirige sicuro sul terrazzo.
“Sono fiori nuovi questi... Non c’è più bisogno che vi presti i mie attrezzi, ma posso sempre prestarvi i miei...”.
La solita Harley romba, mentre Sandra ci raggiunge, ma questa volta ho sentito bene.
Ha detto: vasi. Sì, vasi.
O no?
“Sempre che sia d’accordo anche lei. Ieri, la signora mi pareva convinta”.

Sandra ci squadra come sbigottita. Poi erompe in una risata frizzante come un ghiacciolo alla cocacola.

“Ma certo Samuel, sono sempre ben accetti, non chiederemmo niente di meglio, vero Fatty? Siamo d’accordo”.

Mentre cerco di capire la natura dell’accordo che avrei fatto, Samuel sorride con una quantità non perfettamente numerabile di denti bianchissimi e armeggia con la cintola dei pantaloni di tela beige con un movimento pacato e come sbadato.
“Ma come si sistema strano questo qui”, penso io. E penso male.
Mica si sta sistemando? Tutt’altro.

La cintola dei calzoni è come un morbido sipario che scenograficamente fa emergere millimetro dopo millimetro una sorta di serpente nero dalla testa umida e rosata che punta vorace verso di noi. Venticinque calcolo a mente, quando la bestia è tutta fuori sopra due pilastri in vago stile dorico, di forma ovoidale, comunemente chiamati coglioni.
“Quanti centimetri volete che vi presti?”.
“Direi tutti, vero Fatty?”.
Cerco di organizzare una risposta, ma subito mi ritrovo tirato in camera per il colletto della camicia, mentre Samuel viene trascinato direttamente per, diciamo così, il manico.
Io e il giardiniere ci guardiamo negli occhi mentre ce ne stiamo impalati con Sandra seduta sul bordo del letto a ingoiare alternativamente tutti i centimetri multicolor che ha a disposizione.

“Non era un tema, ma che bello svolgerlo”.
“Non era un tema, ma l’hai svolto centimetro per centimetro direi”.
La mia dolce metà del cielo, da gran figlia di Penélope quale è, dopo il suo quinto orgasmo del pomeriggio, filosofeggia. Io ascolto guardando pensieroso il soffitto. Samuel sonnecchia, esausto, dopo averla squassata per ora in ogni buco senza che per me restasse molto da fare. I centimetri di Samuel bastavano e avanzavano, tanto da restare per buona metà fuori dalla fighetta di Sandra mentre la prendeva a pecora, e un quarto abbondante mentre glielo affondava dietro.
In tutta quell’abbondanza il mio unico ruolo è stato segarmi e tenerle le natiche o le grandi labbra aperte, mentre il giardiniere conficcava il suo tronco dovunque avesse voglia.

Da allora sono passati sei mesi. Io ho perso 21 mila grammi da fianchi e pancia compensati da 18 millimetri di cazzo guadagnati. Un bel risultato, ma non abbastanza per non andare ancora a prestito. Tre, quattro volte al mese, qualche mese anche di più, il giardiniere passa per elargirci il suo soccorso compensatorio.

Il rapporto tra me e Sandra va a gonfie vele, non mi lamento, anche se di tanto in tanto cerco invano di capire se quel sabato pomeriggio in mia assenza il contratto di mutuo con Samuel l’aveva fatto al buio, senza testare la merce, o aveva assaggiato prima. Io resto “Fatty” anche se ormai sono magro e “Amore” quando scopiamo, anche quando siamo in tre con Sammy, che continua a portare pantaloni di tela anche in inverno.
Sandra mi pare felice.
Tra me e Samuel, del resto, mettiamo su qualcosa come 40 centimetri e io non sto più a formalizzarmi troppo su chi conferisce di più chi di meno.
Alla fine, è solo un prestito, no?

Un giorno magari i sacerdoti del Grande Cazzo troveranno la formula magica per la Crescita definitiva e non avremo più bisogno di chiedere integrazioni. Fino ad allora mi toccherà pagare gli interessi, però. Ma che volete che sia? Sono solo corna alla fine e finché la signora Brambilla vedova Cattaneo non se ne accorge, chi se ne frega.
Se Sandra è felice, lo sono anch’io.

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