Ho cinquantadue anni e ho imparato che non serve affrettare nulla. Il fascino non è nelle parole gridate, ma negli sguardi che durano un istante in più, nei silenzi che lasciano spazio all’immaginazione.

Li ho osservati a lungo, quella sera. Una coppia affiatata, ma con un desiderio nascosto che si percepiva tra le pieghe dei loro gesti. Non ho cercato di impormi: ho atteso. Ho sorriso appena, ho versato il vino, ho lasciato che fossero loro a notare la mia presenza.

Mi piace guidare senza forzare, insinuarmi nei pensieri più che nelle azioni. Ho lasciato che i miei occhi parlassero, che le mie parole, poche, scivolassero come carezze sottili. Non c’era nulla di esplicito, eppure tutto era già detto.

Quando ho colto i loro sguardi, ho capito che il gioco era iniziato. Non servivano promesse né inviti diretti: bastava la tensione che cresceva, il modo in cui le loro mani si sfioravano un po’ più nervose, come se aspettassero che fossi io a compiere il passo successivo.

Io non ho fretta. Il piacere sta nell’attesa, nell’avvicinarsi con calma, nel far crescere la curiosità fino a trasformarla in desiderio. So che mi seguiranno, non perché lo chiedo, ma perché lo vogliono. E quel momento, quando la resa diventa scelta, è la vera essenza del mio gioco