STORY TITLE: Titolo: Lydia 
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Titolo: Lydia


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Titolo: Lydia

by Jager49
Viewed: 442 times Comments 2 Date: 07-02-2023 Language: Language

L’aveva rincontrata per caso in libreria
Con la coda dell’occhio, avvicinandosi il più possibile, sbirciava quella che gli sembrava essere una silhouette che ricordava di aver conosciuto bene.
Non di meno, restò immobile e perplesso, quasi vergognandosi dei suoi ricordi e anche dei suoi pensieri coevi.
Lidia era stata una fiammata, un incontro di lotta grecoromana, un temporale estivo, breve e violentissimo.
Erano passati ormai più di venti anni, ma quei giorni lontani gli si erano impressi nella memoria; era stato durante un fine giugno caldissimo che l’aveva conosciuta bene, o meglio, aveva conosciuto la sua poliedricità.
Complice un invito ad un week end al mare, ospiti entrambi di amici comuni.
Finalmente aveva avuto il modo di parlarle per più tempo; erano diversi mesi che in un modo o nell’altro si incrociavano in facoltà, a volte salutandosi quasi impercettibilmente, a volte condividendo una veloce colazione assieme a decine di altre persone tutte indaffarate e rese ciarliere dall’ora mattutina.
Appena gli fu possibile la avvicinò in spiaggia e le chiese se avesse voglia di una birra fresca; lei aveva accettato e da quel momento avevano stabilito una comunicazione vivace, intervallata da diverse calate in mare e interrotta da qualche pagina di lettura o ascolto di musica, mentre prendevano il sole.
Aveva potuto guardarla bene; aveva qualcosa di felino ed esotico nel corpo, un tratto quasi distopico, un corpo che sembrava avesse un’impercettibile percentuale di sangue latinos.
Si erano visti qualche giorno dopo, in città, e poiché lei era studentessa fuorisede, erano finiti a bere e sfumacchiare a casa sua.
Quella prima sera era stata speciale.
Aveva guardato i suoi capezzoli, che giurava fossero perennemente turgidi, per tutta la serata e lei se ne era accorta, compiaciuta e per nulla imbarazzata; poi avevano preso a parlare vicini vicini, con quella strana confidenza, carica di elettricità, che di solito contraddistingue il primo approccio.
Era stato in quel momento che aveva azzardato e tirandola a se aveva preso a baciarla con passione; lei le aveva risposto con impeto, anche se fisicamente era notevolmente più piccola, aveva dimostrato una reattività ed un’energia nascosta, rispondendo con foga a quel bacio e avvinghiandosi a lui, confessandogli in quel preciso istante la sua voglia.
Avevano continuato in cucina e già le loro mani iniziavano a frugarsi, tastare, sbottonare.
Lydia era mancina e stranamente lo aveva capito solo quando lei aveva iniziato a esplorarlo in lungo e in largo.
Fu quando ormai in preda ad una eccitazione travolgente le strappò via la maglietta, che sentendo un “Oh, si”, colse immediatamente una punta di remissività che rinfocolò la sua audacia e lo spinse violentemente contro la donna, come una forza incontrollabile, una molla, che si spezzava, una lenza che cedeva.
Fu un attimo e con decisione la spinse contro il divano ordinandole di voltarsi; lei obbediva ciecamente, imbambolata, rapita da quel violento dominio che iniziava a dispiegarsi e complice dello stesso, con un tratto di fedeltà quasi canina.
Le fu addosso e la girò violentemente, poi le alzò sui fianchi la gonna corta che portava, e con un piede le divaricò le gambe; Lidia stringeva le labbra socchiudendo gli occhi, fu allora che le mollò il primo sonoro ceffone sulla natica, lei sussultò, ma ebbe la forza di tramutare quello che sembrava un lamento in un gemito di accondiscendenza e piacere, e con questo tacitamente invitandolo a continuare.
Ripetè il gesto più volte e fu quando si sfilò la cinta, che colse un brivido correrle per la schiena; era una massiccia cinta di cuoio nero, Marco con maestria seppe avvolgerla ad una mano lasciandone abbastanza da poterla ripiegare e tramutarla dunque in scudiscio.
Le aveva assetato subito un paio di cinghiate e con la sinistra le aveva toccato la fica per sentirne il grado di piacere raggiunto e fu ben lieto di sentirla prontissima per il resto della seduta.
La prese per la coda dei capelli e la penetrò; prima rimase immobile dentro di lei, costringendola a non muoversi, ma obbligandola a quel meraviglioso supplizio, poi prese a sbatterla con foga, ma anche con metodo, attendendo i suoi orgasmi e continuando imperterrito: “Voglio che mentre stai per venire mi lecchi la mano, perché solo allora comincerò a sbatterti per davvero”, e così andò avanti per molto, molto tempo. E lei era lì, decisa a resistergli, sottomessa ma attiva, scoprendo che solo nell’obbedienza esiste la misura della libertà.
Erano stati giorni di sesso estatico, duro e tirato, in una città che si andava svuotando e che copriva col suo silenzio i loro versi animaleschi che si perdevano nella notte.
Poi di colpo l’estate li aveva inghiottiti e si erano persi di vista.
In settembre lui partiva per l’Erasmus e non l’avrebbe vista più
Fu lei a destarlo dai ricordi e a chiamarlo:” Ma scusa ma sei tu, Marco, caspita non può essere”, e lui quasi balbettando aveva annuito rispondendo e mentendo: “ Ciao Lidia, si, non ero sicuro fossi tu, ero indeciso se avvicinarmi, come stai?”.
Era ancora bella, pensò, mentre si accomodavano al bar della libreria per bere un caffè assieme, inoltre era vestita bene e da “sciura”, con una borsa di Gucci molto costosa che non poté evitare di notare.
Avevano discusso del loro presente, indugiando poco sul passato che li aveva divisi per tanti anni, ma li aveva divisi sul serio? Marco sentiva che anche Lei sentiva. Cosa era quel sentimento che si riaffacciava dalle nebbie della memoria, un episodio che a rigor di logica sarebbe dovuto rimanere ibernato in quell’angolo dove accatastiamo i ricordi belli e brutti che ci hanno attraversato, cosa riemergeva?
Aveva risposto alla sua curiosità gentilmente e a sua volta aveva appreso come Lei fosse insieme da pochi anni, dopo un precedente matrimonio fallito, ad una persona molto più grande, praticamente un uomo anziano.
Intuì in lei un fondo di inquietudine; non aveva avuto figli, aveva troppo tempo per pensare a se stessa, queste erano le parole che aveva utilizzato: “troppo tempo per sé”.
Gli raccontò delle sue giornate e del suo lavoro che consisteva in alcune consulenze, un lavoro per riempire il tempo, senza ambizioni e senza affanni.
L’uomo con cui stava, o avrebbe dovuto dire il vecchio uomo con cui stava, era un ricco professionista noto in città, uno di quei personaggi che decidono di vivere in provincia per esserne una star, quelli sempre sulla breccia, con le mani in pasta.
Umberto, un ingegnere, era il Presidente di una importante società di servizi, un lavoro molto remunerativo, coperto da importanti agganci e conoscenze nel campo della politica, ma aveva quasi 68 anni e lei era una donna di 43, un lasso di tempo infinito correva tra i due e fu subito spinto ad alcune considerazioni poco piacevoli che tenne per sé.
Cosa spingeva una ancora giovane e attraente donna d instaurare una relazione con un uomo così più avanti nell’età?
Ricordava, perché lei stessa glielo aveva raccontato che aveva perso il padre da molto piccola, forse era un riflesso di quella mancanza, un tentativo di recuperare una paternità che non aveva mai vissuto, una debolezza, o forse c’era dell’altro, ma cosa?
La ricerca di una vita senza problemi? Un rapporto scevro da patemi d’animo? Forse comodità e paura di restar soli.
Forse, più profondo degli abissi è il cuore degli uomini.
Lui le disse che aveva un figlio di dieci anni, ma che si era separato dalla moglie ormai da più di cinque e che ad ogni modo aveva con la stessa un rapporto civile. Le disse di aver lavorato per svariati anni a Berlino, ma non le volle rivelare come in quel lunghissimo soggiorno avesse sviluppato una passione per il mondo bds&m e per i giochi di ruolo legati alle dinamiche nei rapporti di sesso.
Non le disse che aveva un profilo anonimo, un alter ego su di un sito legato al mondo dello cuckoldismo e del bds&m, un luogo dove si proponeva come master, esperto dominatore e bull. Il suo mondo segreto, l’angolo dove spogliarsi di tutte le sue identità per assumerne una che fosse definitivamente falsa e temporanea vera.
“E’ tardissimo”, fece lei all’improvviso, ed in effetti erano passate più di due ore da quando s’erano rincontrati e anche lui aveva perso la cognizione del tempo.
Si salutarono non prima d’essersi scambiati il numero di telefono e ognuno aveva ripreso per la sua strada.




2

Quella sera stessa, non aveva resistito, aveva surfato tra i diversi social della donna, spiando tra le sue foto.
Una serie di feste, viaggi, con tutto il corollario di una banale vita alto borghese di provincia; ovvero stesse facce, stessi chirurghi plastici, stesse case ordinate e pulite da identiche filippine.
Gli amici del suo uomo erano suoi coetanei o giù di lì, una serie di abbronzature da barca a vela, e di golfini portati sulle spalle, mille e mille foto inutili di volti uguali e sorridenti, un mondo a circuito chiuso, a loop, uno di quei programmi con le risate a comando, finte, un universo che sapeva di dopobarba e Dior.
Marco ricopriva un ruolo importante in una multinazionale, e, seppur giovane, era figura nota in città, ma vuoi per la sua età, vuoi per una sorta di ritrosia di classe, cioè della classe da cui proveniva, lui, figlio di un operaio specializzato, quel mondo anche se avrebbe potuto frequentarlo di fatto gli era estraneo.
Eccola Lidia, tra questi pagliacci tristi; aveva un amante? Come riusciva a soddisfare la sua natura sensuale in quel cadaverificio? Sicuramente aveva un amante, questa fu l’idea che lo conquistò, la certezza a cui aggrapparsi in quel mare di selfie e nulla, e questa idea improvvisamente glie lo fece diventare duro.
Non si erano sentiti né mai più visti quando di ritorno dalla palestra, una sera gli arrivò un messaggio di lei nel quale lo invitava ad una festa.
Era dicembre e già iniziavano cene che avviavano a quell’orgia di cibo e spreco che erano diventate le festività natalizie.
“Ciao Marco, come stai? Io sto organizzando una festa con un po’ di amici a casa nostra e mi piacerebbe molto che tu ci fossi, puoi portare chiunque se vuoi, mi farebbe piacere rivederti”, non aveva risposto subito al messaggio, non lo faceva mai quando doveva decidere cose più serie, aveva imparato come la comunicazione istantanea dei social e di wozapp tirasse brutti scherzi.
Piuttosto si chiedeva se gli andasse di rivederla, o meglio voleva rivederla ma non sapeva se scegliere quell’occasione per farlo.
Incontrare gente, conoscere “il Vecchio”, aveva iniziato a chiamarlo così tra sé e sé, e magari annoiarsi fino allo sfinimento erano i motivi per cui non sapeva se accettare l’invito.
In fine capitolò e decise di andarci e il venerdì della settimana seguente si presentò dietro l’uscio di casa tutto sbarbato, pettinato e tirato a lucido, con un bel mazzo di fiori per la signora e una bottiglia di vino per la situazione.
Era come se l’aspettava che fosse; la musica come sfondo, una serie di ingegneri, avvocati, avvocati, ma quanti erano ‘sti avvocati…qualche barone dell’università, un critico d’arte, anzi Il critico d’arte della città, qualche politico immancabile qua e là. Un paio di inservienti gentilissime offrivano ai presenti tartine, pezzi piccoli di polenta fritta e bollicine, qualcuno era intento a fumare sul terrazzo di questa splendida casa che affacciava sul centro storico, tutto come da copione.
Lidia si muoveva agilmente in quell’ambiente e gli si avvicinò subito presentandogli Umberto; alto, dinoccolato, con un maglioncino di cachemire addosso, i capelli completamente bianchi, ma ancora belli, su di un fisico asciutto.
Era uno sportivo, un velista e non nascondeva la contentezza di essere al mondo e d’essere sé stesso; scambiarono poche parole, poi dovette allontanarsi e a Marco sembrò che fosse stata una scusa per lasciarlo in compagnia di Lidia.
Si guardarono negli occhi e a lui parve che lo sguardo di lei fosse un misto di desiderio e tristezza qualcosa più dell’insoddisfazione e meno del dolore; per sua fortuna incontrò un vecchio amico di università e passò il resto della serata a ricordare aneddoti e avventure passate.
Era mezzanotte quando rincasò.


3

Il tempo di farsi una doccia, versarsi due dita di Black Tot, il suo rhum preferito e sentì l’avviso di messaggistica ricevuta: “Ti sei molto annoiato?”, era lei e le rispose “No, non preoccuparti, una serata tranquilla, dai” e continuando ”Ti ho vista molto a tuo agio nel tuo ambiente, piuttosto a volte non ti annoi ad incontrare le stesse persone? Io ormai ho rinunciato alle comitive”, di risposta lei scrisse” Ci sono ben altre cose che mi annoiano, a dirti il vero”.
Era un chiaro messaggio che attendeva sviluppi, lui scrisse “Posso immaginare” e all’improvviso ebbe la certezza che la storia sarebbe ben presto degenerata in qualcosa di abissale.
“Il sesso, ti annoia il sesso con lui? Ricordi quei giorni lontani in estate? Io periodicamente ci ho pensato a quella storia, sai?”
“Anche io”, rispose immediatamente lei; “Ricordo tutto per filo e per segno, anche i segni che ti lasciai addosso e il tuo piacere”, “Oh siii, anche io, mio caro. Ora, invece, vedi è tutto così difficile, sai io non sono cambiata affatto, è cambiato il mondo tutt’attorno a me”; la situazione andava precipitando, Marco sentì contemporaneamente una stretta al cuore e al muscolo inguinale, poi le disse:” Ho vissuto diversi anni a Berlino e mi sono specializzato in quelle, diciamo, tecniche, quella è una città che offre tantissimo”, e lei ”Sarebbe interessante scambiare qualche idea in merito, non trovi?” e Marco: “Si sarebbe interessantissimo, ma vedi io cerco donne un po’ particolari in questo periodo, non so se posso..”, “Certo, caro, puoi dirmi tutto, anzi devi dirmi tutto”, “Beh allora se posso, io cerco una puttana che sappia stare al suo posto”.
Lo aveva scritto, non si tornava indietro; da questa situazione sarebbe potuto uscire solo in due modi, un vaffanculo oppure la totale, unilaterale volontà di essere in sua balia.
Lei gli rispose con due faccine con i cuoricini al posto degli occhi e con un “Ma tu, così, mi elevi al rango di Puttana”.
Presero appuntamento per il giovedì successivo a casa di lui.
Si videro alle 19.00, lei fu puntualissima, come infatti ricordava fosse e non arrivò a mani vuote.
Intanto obbedendo ai suoi ordini, in macchina si era dovuta sfilare le mutandine e aveva dovute riporle in una borsettina da shopping, e appena arrivata, assieme al vino gli consegnò il pacchetto.
Si baciarono avidamente, subito a lungo, sull’uscio, lingua contro lingua, stringendosi e tastandosi, ritrovando una corporeità sopita e dimenticata; a fatica seppero governarsi, per non bruciare troppo i tempi, lui presa la bottiglia di vino, andò in cucina ad aprirla; al suo ritorno lei si era accomodata sul divano, ma stranamente, Marco, in mano portava un calice di vino e una coppetta in acciaio che posò ai suoi piedi, per terra, subito dopo prese a versare il vino nel suo bicchiere e nella ciotola argentata e le disse di servirsi.
Per farlo era chiaro che lei si sarebbe dovuta mettere carponi per terra, e lui si accorse immediatamente di una luce che brillò a lungo nella sua pupilla, come di una stella filante che muore a fatica, lentamente e di un rossore lieve che le attraversava le guance.
Colse solo un attimo di gratitudine e di esitazione e lo sfruttò: afferratala per la lunga coda di cavallo la spinse per terra dicendole: “Allora troia, vuoi bere sì o no?”, “Che devo fare, pregarti?”.
Lei allora prese a bere in quella scomoda posizione e mentre lo faceva lui le scopri il fondoschiena, tirandole in su la gonna e lasciandola esposta in quella posizione.
“Non provare a muoverti di qua>>, le disse, dopo di ché si accese una sigaretta e prese a sorseggiare il suo vino. Penetrandola e godendosela già con gli occhi.
Dopo un tempo che a lei dovette sembrare lunghissimo, si inchinò verso la donna e con una mano prese a toccarle la fica e a stringerle le natiche; volutamente lo faceva come un mercante di schiavi, ritrasse le dita rese umide dalla voglia della donna e glie le ficcò in bocca, con l’altra mano le mollò un sonoro ceffone sul culo condito da una bestemmia, cosa che produsse nel corpo di Lidia una scarica di elettricità e piacere che la fece sussultare.
Poi le morse una natica, lasciandole l’orologio e sentendo uno strillo di piacere.
“Continuano a piacerti gli schiaffi e immagino anche altro”, “Mi piace tutto ciò che mi vuoi fare” lei rispose, quindi intimandole di rimanere in quella posizione si alzò e si recò al suo armadio dal quale tirò fuori un borsone.
Ah…quel borsone, era un immenso parco giochi per adulti, frutto di un accumulo berlinese e di altra roba che aveva acquistato in Italia.
Scelse per lei un collarino che sviluppava due catenine con alla fine dei gancetti per capezzoli, e uno stimolatore wand e le si avvicinò; sedutosi sulla poltrona le ordinò di avvicinarsi, ma sempre in ginocchio, cosa che lei fece: “D’ora in poi mi chiamerai padrone, questo è poco ma sicuro”, e lei di rimando “Si, Padrone”, ora accostati che voglio farti dono di questa bella collana: ”Oh, si esaltami, innalzami al ruolo di cagna, tua e soltanto tua, Padrone”.
Lidia rispondeva alle sue provocazioni ed era già venuta più volte, e lui realizzò che con lei si sarebbe potuto spingere molto più in là, avrebbe potuto osare l’inosabile, ne ebbe la piena consapevolezza e dunque si adoperò per perseguire lo scopo.
Intanto dopo averle posizionato le mollettine sui capezzoli, improvvisamente lo tirò fuori e spinse la bocca della donna sul suo glande; lei si avvinghiò a quel membro, riempendosene la bocca, leccandolo avidamente per tutta la sua lunghezza e assoluta durezza, ma guardandolo fisso negli occhi, senza distogliere di un attimo lo sguardo dal suo e beandosi del godimento dell’amante: “Oh si continua, che puttanella che sei, non fermarti, ancora”, poi ad un tratto cambiò registro e tentò di districarsi da lei, ma non riusciva a distaccarsene.
Dovette darle due ceffoni per staccarla e poi la spinse con la schiena per terra, ordinandole di aprire le gambe e di restare in quella posizione oscena; dopo di ché le si avvicinò e prese a lavorarle la fica con il wand, un vero martelletto per clitoride, lei si fece più avida e allargò ancora le gambe, mentre lui la incitava con parole oscene ”e allora dimmelo, dai dimmelo che ti piace farlo cornuto con me il tuo uomo”, e lei ”Si, sei il mio maschio, dovrebbe proprio vedere come si tratta una moglie”, “Immagina se ora entrasse e ti vedesse così”,”Ohhh, siiii, continua ti prego non fermarti”, e lui “Ma certo che non mi fermo, voglio vedere un lago sotto le tue gambe”, “Si sei il mio porco e adoro farlo cornuto con te”, “Se entrasse lo metterei su una sedia a guardare”, fece lei, e in quel preciso istante, lui seppe cosa doveva fare.


4
Avevano preso a vedersi almeno una volta al mese e in questi incontri lui aveva avuto conferme indirette su quell’ intuizione.
Credeva di aver capito che Umberto voleva guardare, o meglio voleva osservare Lidia, godersela così.
In un momento di particolare euforia sessuale lei gli aveva confessato di come il Vecchio, di quando in quando nella loro intimità le confessasse di immaginarla con altri uomini. Conosceva queste situazioni; già in passato gli era capitato di essere amico ad una coppia che aveva voglia di vivere questo genere di divertimento.
Alla fine di quella storia l’uomo della coppia si era ridotto a tassista, cameriere degli stessi, vero filippino; praticamente una volta al mese, uscito dal lavoro si recava da loro e si comportava come fosse il padrone di casa, un perfetto menage a trois.
Tutto lasciava pensare che pian piano avrebbe potuto filare la sua tela, il suo istinto di predatore si era attivato.
Ma il predatore è nulla senza la preda, senza cioè il suo rapporto con la preda, è egli stesso il feticcio della preda, un rapporto a doppio filo, una interdipendenza nell’ordine naturale delle cose, l’esecuzione di un teorema divino, yin e yang.
Lei le era necessaria, e a lei lui era necessario.
Prese a frequentarli, vincendo la ritrosia congenita ad un tipo di socialità così ben strutturato, e anche abbastanza velocemente si fece amico Umberto, al quale non dispiacque scambiare due racchettate e un paio di uscite in barca, assieme ad altri.
Durante una di queste lui gli si fece accanto: “So che in gioventù tu e Lydia siete stati intimi, me lo ha raccontato lei”, e Marco, mentre pensava tra sé: “Ecco, la preda ha fatto la sua mossa”, cogliendo la palla al balzo, rispose : “Vero, che ti ha raccontato quella monellaccia?”, aveva usato apposta quel termine, che lasciava intravvedere un epilogo punitivo, ”Beh a dirti il vero è stata abbastanza esplicita e mi ha raccontato diverse cosucce”, “Caspita, allora ora sono stato smascherato, chissà cosa pensi della faccenda” e mentendo spudoratamente aggiunse “Ma tranquillo è una vecchia storia”.
Per un attimo ci fu silenzio poi Umberto riprese “Devo dirti che la cosa mi ha molto interessato. Adoro Lidia e ne sono pazzamente innamorato e gelosissimo, eppure saperla con altri uomini, pensarla in un passato che mi è interdetto per sua natura di passato, mi fa uscire pazzo e allo stesso tempo mi eccita da morire”, “Ah ma tu sei un bel libertino, caro mio” fece Marco strizzandogli l’occhio, vennero interrotti da una coppia di amici che chiedevano da bere.
Si erano scritti diversi messaggi, erano diventati più intimi.
Umberto si era lasciato andare, cercava complicità e Marco gli piaceva.
Mentre il venerdì successivo la penetrava selvaggiamente, le ingiunse di scrollare i messaggi e leggerli ad alta voce; mentre lei leggeva, lui era fermo dentro di lei immobile, allora lei partiva con i messaggini del tipo, messaggi in cui lui e lei giocavano al cornuto e alla sweet, quando smetteva di leggerli, prendeva a sbatterla con foga ingiungendole di chiamarlo cornuto e dicendole; “Non ti vergogni puttana, farti scopare mentre leggi i messaggi di quel cornuto? Dovremmo proprio coinvolgerlo, non credi? Non se le merita ste corna”, e lei annuiva mentre emetteva rantoli di piacere, le stava scopando il culo.


5
Arrivò il giorno.
Si presentò l’occasione e fu invitato da loro due ad una cena più intima.
Di fatti erano loro tre e nessun altro; c’erano gli elementi per la tempesta perfetta.
Lidia era la sua amante e il suo compagno ne era all’oscuro, oppure, forse sospettava qualcosa e in quel caso anche lui giocava una parte attiva, ad ogni modo ufficialmente gli lasciavano rivestire il ruolo di padrone del gioco, padrone si fa per dire.
Lidia dal canto suo sapeva dei desideri sconci del compagno e sinceramente aveva una gran voglia di assecondarli.
Marco li attendeva entrambi.
La serata iniziò con uno splendido aperitivo innaffiato da generosi calici di champagne, la conversazione frizzante, la musica era spinta più del solito e Marco si accorse che Umberto si assentava spesso lasciandoli da soli, andava in cucina e ci rimaneva un bel po’.
Prese la palla al balzo e si mise a ballare vicino a Lidia che era intenta alla danza con un calice tra le mani.
Le si avvicinò e le disse in un orecchio che la trovava splendida quella sera, al ché lei gli rispose con un sorriso che era un invito ad osare; Marco allora le si avvicinò ulteriormente e afferratala per i fianchi la strinse a sé nel preciso istante in cui Umberto portava un vassoio con delle tartine, fu allora che colpì.
“Bravo Umbi, adesso, però, tieni, questi sono i calici, va ad aprire un’altra bottiglia e riempi, e già che stai abbassa la luce”, lo disse senza incertezze né possibilità da parte di quello di poter ribattere, anche la donna prese a guardarlo fisso e intendeva dire: “Fai il bravo e vai”.
Umberto, trasalendo, uscì dalla stanza con in mano il vassoio e i due bicchieri e non dimenticò di abbassare l’interruttore della luce.
Al suo ritorno la sena era notevolmente mutata; i due erano sul divano, lingua contro lingua mentre reciprocamente e senza nasconderlo si masturbavano.
Facendolo a bella posta e nonostante avessero avvertito la sua presenza, i due lo ignorarono e continuarono imperterriti ad esplorarsi, poi ad un tratto Marco gli disse ”Vieni, portaci i calici, poi mettiti seduto su quella poltrona vicino alla finestra, lì bello lontano, ma non abbastanza da non vedere come mi scopo la tua ragazza”, e quello come un automa e con un evidentissima erezione, eseguì alla lettera.
Il tempo di bere un sorso e lui la denudò di forza e la spinse ai suoi piedi in ginocchio, poi estrasse il suo uccello, enormemente gonfio, con la punta violacea che sembrava rilucesse e stesse per esplodere e trovò rifugio e sollievo nella sua bocca.
Per un tempo infinito le fece succhiare il cazzo, chiamandola in presenza di Umberto con i nomi più offensivi, mentre il Vecchio si massaggiava la patta impunito.
A quel punto Marco si denudò e buttò i suoi slip in faccia all’uomo in segno di sottomissione.
Poi gli ordinò, se voleva masturbarsi, di mettersi per terra come un cane, scomodo a guardare.
Umberto ormai era in sua balia e Lidia vedendo il suo uomo in estasi, ridotto a quel ruolo, raddoppiò il lavoro di bocca che andava facendo già da almeno dieci minuti.
Mentre succhiava il cazzo gli fece il segno delle corna e gli disse: ecco finalmente lo sei diventato
A quel punto Marco, tirò fuori dallo zaino, un lungo enorme cazzo in lattice, un manufatto stupendo e quindi lo applicò ad un muro della casa, tramite la base a ventosa, dopodiché ordinò a Lidia di impalarsi su e appena lei l’ebbe fatto glielo rimise in gola.
Con la cosa dell’occhio vide il Vecchio masturbarsi furiosamente.
Era iniziata la partita, stavano giocando.




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